Il clero bolognese, la guerra, il dopoguerra

Giampaolo Venturi

1. Triste autunno, quello del 1939, al di là dei proclami e della inevitabile curiosità per le operazioni di guerra; non si era ancora spenta la sorpresa per l’accordo nazista - sovietico, che aveva nettamente indebolito il campo occidentale e aperto la via alla conquista della Polonia, e già la guerra era in atto. Inutili i tentativi diplomatici, per arrestare un conflitto, che a troppi arrecava, se non duraturi, almeno immediati vantaggi; inascoltate, come già per la prima guerra mondiale, le parole del papa (da poco Pio XII), teso a ripetere accoratamente: "nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra"; maggiori, almeno teoricamente, le possibilità di circoscrivere il conflitto, nonostante la dichiarazione di guerra da parte di Francia e Gran Bretagna; immediate, infine, le ripercussioni in tutta Europa: restrizioni valutarie, limitazioni ai consumi.

Del tutto vantaggiosa, sulle prime, la posizione dell’Italia; almeno, fino a che fosse riuscita a tenersi fuori dal conflitto. Speranza che non mancava agli italiani, viste le manifestazioni di gioia che avevano accolto Mussolini, l’anno prima, al ritorno da Monaco. Il duce stesso, per altro, era per il momento dello stesso avviso: le guerre precedenti (Etiopia, Spagna) erano state troppo dispendiose (e così il mantenimento delle colonie) per lanciarsi in avventure che, oltre a trovare il paese militarmente ed economicamente impreparato, avrebbero rischiato di bruciare in un attimo quanto era stato faticosamente raccolto negli anni precedenti. Sì alle iniziative necessarie, quindi, come la occupazione dell’Albania, no al resto.

Il clima, per altro, in Italia, era clima di guerra; il combattimento, e non certo semplicemente spirituale, era troppo alle radici dello stesso movimento fascista per non permeare di sè tutto il sistema educativo, per non giustificare ogni scelta. Scuola, università, lavoro (tutta l’economia di pace) non erano altro che pause fra guerre, preparazione al supremo cimento. Il mondo cattolico, in occasione della grande guerra, aveva teorizzato e applicato il ‘supremo sacrificio’ per la patria; era disposto a ripetere, in una certa misura, queste affermazioni; era anche disposto, in certa parte, per la sua somiglianza con il servizio alla monarchia, a identificare le scelte mussoliniane con il supremo servizio alla patria; non aveva cambiato idea sulla estraneità del socialismo alla dottrina cristiana e sulla completa opposizione fra questa e il comunismo sovietico. Ma tutto questo, in fondo, fino ad allora era stato abbastanza facile, perché i conflitti affrontati avevano buone radici in una certa tradizione e nella difesa della fede ma, soprattutto, non avevano coinvolto se non marginalmente la situazione del paese: anche la Spagna, a quei tempi, e tanto più con il filtro della censura, era una terra lontana. Ma se il conflitto si fosse generalizzato? Se avesse coinvolto più direttamente il nostro paese?

Senza contare, per la sensibilità cattolica italiana, la stranezza della alleanza con un regime totalitario e a-cristiano (per non dire: anti-cristiano) come quello nazionalsocialista. Un regime del quale si era fatto in tempo a conoscere l’ideologia neopagana, le violenze, le nefandezze, prima che l’avvicinamento e l’Asse, poi il Patto d’acciaio, fermassero queste rivelazioni. Un regime tale, che la visita del suo capo in Italia era stata contrassegnata dalla decisa indisponibilità, chiaramente espressa dal papa e applicata nei luoghi di visita della Chiesa cattolica. Un regime il cui programma poggiava sulla teoria del sangue e della razza.

Dal 1938, queste teorie della razza, che avevano fino allora contagiato solo un piccolo gruppo marginale di fascisti, avevano fatto progressi inattesi, passando a precise disposizioni di legge. Mussolini stesso, sia pure con le consuete oscillazioni d’umore e di valutazione, aveva dato una spinta decisiva a questi provvedimenti. Era apparso evidente che, pure non volendo entrare nel merito di taluni aspetti considerati marginali e pure usando di tutta la necessaria prudenza, il Vaticano non era disposto ad accettare questo tipo di legislazione senza proteste e resistenza. La voce del papa aveva, come era immaginabile, trovato decisi riscontri in interventi di vescovi, a cominciare da quello di Bologna che, disponibile fin che si vuole ad accettare opportuni modus vivendi e a riconoscere i meriti del regime in taluni settori, non per questo era intenzionato a tacere ad ogni costo.

A Natale, dal pulpito della Metropolitana il cardinale Nasalli Rocca condannò la dottrina razzista dichiarando: "Bando a certe esotiche ed inconsulte ideologie ispirate ad un esagerato ed esasperato nazionalismo, che approdano a scavare abissi incolmabili e ad erigere muri di divisione tra popolo, tra nazione e nazione, tra stato e stato, disconoscendo il vincolo naturale della comune origine e il vincolo soprannaturale dell’affratellamento universale nel Verbo di Dio".1

Nell’atmosfera ormai opprimente, fra 1938 e il 1939, della guerra possibile; tanto più, a guerra iniziata; apparivano lontani, tutto sommato, gli anni, non solo di maggiore accordo fra Chiesa e Stato; ma gli stessi, pure duri, scontri del 1931 nei quali, anche, il card. Nasalli Rocca aveva avuto un ruolo di protagonista. In verità, come emerge meglio dalle attuali, più attente, ricerche, i rapporti fra le due parti erano sempre stati in qualche misura problematici, per la natura stessa, per le motivazioni e gli obiettivi della Chiesa e del regime; in applicazione di quanto più di uno, negli anni venti, aveva immaginato, attraverso una spassionata analisi delle caratteristiche del nuovo partito. Senza contare i facili cambiamenti di umore e le suggestioni subìte da varie parti dal capo, sempre più mitico e distaccato, ma anche in difficoltà in un panorama europeo nel quale il gioco internazionale sfuggiva sempre più alle sue possibilità progettuali e di controllo.

Questa situazione microconflittuale sarebbe stata anche più grave, probabilmente, senza la progressiva erosione (tante volte lamentata dai fedelissimi, a cominciare da Farinacci) della macchina statale e di partito da parte dei cattolici, singoli e associati. Quindi, senza un continuo temperamento delle direttive, la loro interpretazione benevola e la ricerca di maggiori punti di incontro; nonché la pressione per la adozione di provvedimenti, per quanto possibile, consoni agli obiettivi della Chiesa e sia pure nella cornice del partito: le scuole, la partecipazione alle iniziative religiose, la morale pubblica e così via.

Se il laicato già impegnato, in questa situazione (non contando i fuoriusciti) si era o formalmente allineato o defilato, in attesa di tempi migliori, magari continuando a fare da riferimento morale ai giovani, a cominciare da quelli ‘inquadrati’ nella A.C. (come, ad es., a Bologna, Fulvio Milani, al quale possiamo unire almeno i nomi di A. Baroni o di R.Manzini) e tenendosi aperto oltre che all’approfondimento religioso, a fermenti culturali internazionali (letture di Maritain, Monnier, ecc.). Altrettanto il clero, vecchio e nuovo, di varia provenienza ed esperienza, aveva cercato e cercava, di trarre il meglio dalle circostanze presenti, fiducioso talora, nelle buone intenzioni e nelle capacità del capo di Stato (come taluni sacerdoti, più o meno giovani) o scettico per fatti passati e lotte precedenti (come un don Faggioli o certa parte del vicino clero di Imola), o dubbioso e timoroso di preoccupanti sviluppi (come in una certa misura, generalizzando, è espresso in più di un bollettino parrocchiale).

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2. L’ingresso in guerra dell’Italia, concludendo la fase di non belligeranza e frustrando, ancora una volta, come già nel 1915, le speranze di non coinvolgimento dell’Italia nel conflitto chiamava più direttamente in causa il Paese, in tutte le sue strutture. Si esigeva da tutti un doveroso tributo di auspici e proclamate certezze, implicando inizialmente, un carico, almeno in apparenza limitato, sia per la lontananza dei fronti (Libia, Etiopia), sia per la brevità dell’intervento armato per terra al confine francese. Limitata appariva anche la gravosità delle prescrizioni legate all’ingresso in guerra e, comunque, per il momento, da computarsi con i vantaggi, alla pace: territoriali, economici, commerciali...

Certo: la guerra, per un cattolico, è sempre cosa particolare. Lo era stato già vent’anni prima; lo era stato, tutto sommato, anche in Etiopia, al di là della retorica del regime. Quanto potevano, le proclamate rivendicazioni territoriali giustificare l’ingresso in guerra e l’allargamento del conflitto? Quanto poteva apparire sensata la guerra alla Grecia, specie una volta constatato (carte geografiche alla mano) che il conflitto presentato come facile e breve, sembrava sempre più insolubile? Senza contare, nel conflitto in atto, il crescere inevitabile dei toni violenti, la denigrazione e tutto quell’insieme di comportamenti che non potevano riuscire particolarmente graditi al mondo cattolico più abituato, dalla tradizione e dalla stampa propria, all’esaltazione delle imprese dei martiri, se mai, alla resistenza ai rossi (in Spagna, in URSS o alla liberalmassoneria) specie nel conflitto interno in atto negli anni Trenta in Messico.

"Chiediamo per l’Italia nostra la celeste tutela perchè continui nel mirabile cammino che fra tante aberrazioni, sotto la guida sicura di chi la governa, batte sicura nel felice conserto dei due grandi amori della religione e della patria"2. Piuttosto che ad una guerra fra popolazioni cristiane, nella quale, per di più, paesi cattolici come la Polonia e il Belgio si trovarono invasi e asserviti; addirittura la Polonia caduta, in parte, sotto il dominio del comunismo sovietico, come gli interventi di Pio XII sottolineavano.

Non sarà inutile ricordare che fin dalla sua prima enciclica Pio XII aveva sottolineato, come centrale e imprescindibile, il tema della pace, facendogli eco i vescovi, a cominciare da quello di Bologna: "E che cosa Le domanderemo in particolar modo quest’anno? Il dono della pace agli uomini"3.

Cercare la pace non era segno di debolezza: "Non vorrà credersi infatti che di cristiano coraggio non abbiamo bisogno tutti, perchè non è col negare la realtà delle cose, che si temprano gli uomini. Scioccamente si accusa la religione di infiacchire gli spiriti, perchè inculca a volersi bene. Ci volgiamo a Maria e non cessiamo di invocarla infine Regina pacis, come Benedetto XV imperversando l’altra grande guerra volle chiamare la Madre divina. Bella conquista degli intrepidi e vittoriosi nostri soldati sia propria questa: farci ritornare... nella pienezza di pace...per lunga età di laboriosa e feconda civiltà"4.

Se tali erano le indicazioni del pontefice e del vescovo, avrebbe potuto essere diversa e sia pure con tutti gli elementi di contingenza, l’atteggiamento del clero? Sia come tale, sia nei riferimenti ed esperienze analoghe precedenti?

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3. Esiste una tipologia particolare del clero bolognese? Si è notato che allora le caratteristiche più tipiche del clero bolognese apparivano con una certa raffinatezza formale, data dalla consuetudine colla grande città l’essere i sacerdoti operosi ed industriosi in tutto il campo della pastorale.

"Questo clero non amava sbandierare quello che faceva. Anche perchè la situazione politica, prima dominata dal fascismo e poi dal comunismo, aveva reso un po’ diffidenti di fronte alle novità imposte dall’alto, anche sul piano ecclesiale.

Ma era un clero che si apriva facilmente all’amicizia e alla cordialità. E questo spiega come i preti sentissero particolarmente vicino il card. Nasalli Rocca, che si interessava dei più piccoli fatti personali dei suoi preti, dalla salute alle opere. Sarebbe lungo fare l’elenco dei nomi degni d’essere meglio ricordati: da mons. Mimmi, grande educatore non solo di chierici, al teologo mons. Carretti, a mons. Gallinetti, abate di S.Giuliano, al can. Cremonini... ai grandi parroci, da mons. Messieri di S. Procolo a mons. Venturi di Pieve di Cento, da mons. Cantagalli di S.Giovanni Persiceto a mons. Trombelli di S. Bartolomeo...ai responsabili e docenti del seminario da d.Serrazanetti a d. Rivani che hanno educato i seminaristi ad una vita disciplinata ma serena, ad uno spirito di famiglia e d’amicizia, ad una pietà soda e sincera, con accentuazioni eucaristica e mariana. Senza contare la caratteristica tipica della diocesi bolognese, le decennali, o la preparazione e lo svolgimento del Congresso eucaristico divenuto, con Nasalli Rocca, anch’esso decennale.

Questa attenzione alla vita spirituale che s’apriva con particolare riferimento alla vita religiosa, che ha portato alla fondazione di congregazioni (da parte di parroci), o all’incoraggiamento di altre, sorte nel proprio territorio, dalle Serve Mantellate, alle Visitandine, trovava una guida esemplare nei padri spirituali del seminario, attenti alle scuole moderne di spiritualità da mons. Tubertini a mons. Balestrazzi.

Anche il panorama culturale era elevato.

Sul piano pastorale, agli esempi dei parroci (e le grandi figure finivano per costituire una sollecitazione per tutti) si univa l’insegnamento del parroco di S.Giovanni in Monte, mons. Faggioli. Certo, il loro stile era piuttosto autoritario, ma era lo stile del tempo. Non a caso il grande arciprete di Pioppe di Salvaro, mons. Mellini, era chiamato il vescovo della montagna. Nel bolognese era poi stata sempre grande l'attenzione alla gioventù, che il can. Mariotti aveva concretato in quattro oratori... Ardor e Virtus, Salus e Fortitudo. Ogni parrocchia di un certo rilievo aveva il suo oratorio, diretto e animato dal cappellano e dal parroco stesso. E come non ricordare il piccolo seminario di Borgo Capanne per tante vocazioni, soprattutto nell’Appennino?

Anche l’Azione cattolica era fiorente e seppe preparare gli uomini per la non facile testimonianza cristiana di questo territorio. Come si è potuto notare meglio negli anni del dopoguerra, poi, il clero bolognese ha sempre avuto cura della liturgia. Infine, sul piano della carità concreta, Bologna era sempre stata all’avanguardia dai fratelli Gualandi alle iniziative per gli operai di mons. Bedetti e all’ONARMO; per non parlare di mons. Nascetti, dei SS. Giuseppe e Ignazio, di mons. Trombelli, parroco di S. Bartolomeo, di padre Marella, o degli stessi don Fornasini, don Marchioni e altri5.

Un clero che poteva annoverare personaggi come don Bedetti, don Baccilieri, don Gualandi, don Codicè, mons. Tarozzi, solo per citarne alcuni, insigni nel ministero come nella carità e nell’impegno sociale; una città che era stata la culla e il riferimento mondiale della Società (poi AC) e dell’intero MC italiano; non potevano che affrontare le prove del periodo bellico con uno spirito adeguato alle circostanze. Ben convinti che "per il mondo il prete è in primo luogo un mistero e che se il mondo non tollera Dio, non può tollerare i suoi preti ma che, quanto meno, il prete cattolico non si può levare dalla storia dell’occidente e della sua cultura"6.

E, magari, che un parroco "ha bisogno veramente di tutto l’eroismo di un martire per comparire tutti i giorni con il cuore aperto alla speranza"7.

Dalla preoccupazione per la formazione del clero futuro era venuto anche l’acquisto del vasto terreno "situato in parrocchia di S. Benedetto, che pur essendo entro le antiche mura, nella vicinanza della porta Galliera, era formato di prati e di orti. Volgarmente si chiamavano gli orti di Garagnani, zona allora sgombra di case, ben arieggiata, libera, appena solcata dal tracciato di via dei Mille, che allora stava sorgendo in base al piano regolatore. Chi avrebbe allora previsto? Il Seminario di Benedetto XV, fu venduto ad un industriale, che doveva trasformarlo nel più noto albergo della città. L’area fu acquistata, per circa due terzi, dalla S. Sede per il Seminario regionale e, per un terzo, dall’arcivescovo di Bologna per il suo Seminario arcivescovile"8.

"In Seminario i superiori avevano fatto del loro meglio per immunizzarci dall’ottimismo del Miniculpop. I giornali che entravano erano l’Avvenire d’Italia, ritenuto dai fascisti di tiepida fede patriottica e l’Osservatore Romano.

Mons. Tubertini aveva voluto che noi imparassimo a giudicare i fatti del giorno alla luce degli acta diurna, mons. Bolognini compiva ogni tanto qualche disgressione per dimostrarci, con rigorosi sillogismi, che i tedeschi non avevano alcuna possibilità di vincere la guerra.

Una parte di noi s’illudeva sulla vittoria finale dell’Asse: ma c’era anche chi si augurava che la guerra segnasse la fine del fascismo. Si approfondiva, alla luce dell’etica filosofica e della morale evangelica, se fosse lecito odiare il nemico o bisognasse amare anche gli inglesi. Un trinomio fondava le attività del Seminario: pietà, studio, disciplina, guidati da mons. Balestrazzi e mons. Tubertini alla cui opera silenziosa e nascosta la diocesi di Bologna deve molto. E una triplice attenzione: anzitutto alla Messa, poi, alla devozione alla Madonna; infine, l’impegno di fedeltà al papa, sia Pio XI, tutt’altro che tenero verso il fascismo: nella ...Quadragesimo Anno noi imparammo a distinguere bene la dottrina sociale della chiesa dal corporativismo fascista. Ma ricordiamo soprattutto la solenne protesta quando Hitler venne a Roma e quando l’Italia decise di entrare in guerra: i fascisti bruciavano nelle piazze l’Osservatore Romano"9.

Si è parlato del laicato impegnato.

Nota Pecci: "l’obbligo fascista era inviso e mal sopportato dalla stragrande maggioranza dei giovani, un fallimento per il regime. Ecco perchè in gran numero, molti anche per amicizia e tantissimi pensando a divertirsi, finissero nella GIAC che trasse vantaggio dall’essere ridotta allo stato ecclesiale, era negazione dei due pilastri della pedagogia fascista, l’obbligatorietà e la militarizzazione. I parroci, naturalmente in prima fila (sia pure con qualche difficoltà d’adattamento e qualche riserva nel clero più anziano), assistenti ecclesiastici delle nuove associazioni, da soli non ce l’avrebbero fatta. Furono i laici a contare prendendo sul serio l’impegno della collaborazione all’apostolato gerarchico della Chiesa. Negli anni ’30 la GIAC contava a Bologna più di 5 mila, il che voleva dire un altro migliaio di frequentatori non tesserati; un migliaio di dirigenti si dedicavano attivamente alla GIAC: Bastia, Beghelli, Cavallaro, Melloni, Salizzoni, Faenza, Bersani, Catti, altissima qualità umana e religiosa dei tanti che meriterebbero memoria. I vecchi padroni liberali e nuovi gerarchi fascisti si tenevano alla larga da cattolici che si dichiaravano apertamente tali.

Agli inizi del 1941 cambia il quadro. La guerra in Albania ristagna fra mille difficoltà, sono tanti gli italiani ad essere perplessi...i discorsi e le confidenze si fanno trasparenti, è un brusco risveglio.

Anche nella GIAC la storia si sdoppia. Fulvio Milani, nella prima riunione espressamente politica da lui presieduta, dimostrò doti di conversatore infaticabile, era il più brillante oratore mai conosciuto..."10.

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4. E’ difficile comprendere il comportamento del clero e dei religiosi bolognesi, senza tener presente il metro particolare (per dare un riferimento ricapitolativo) delle opere di misericordia. Potremmo aggiungere, senza tener conto di quanto queste siano alla base, con l’attenzione all’uomo che esprimono, anche di ogni intervento sociale - da quello di urgenza e assistenziale a quello più duraturo.

Quando si parla di religiosi, si intendono naturalmente anche le suore ed è significativo che, nonostante si tratti di persone "abituate ad operare nascostamente" siano rimaste numerose testimonianze, rese da parte di coloro che ne beneficiarono, in asili, ospedali, carceri, orfanotrofi, disposte a nascondere braccati, curare feriti, passare informazioni, aiutare fughe...11.

In questa ottica, magari difficile, ma non impossibile, con tutta la libertà della propria impostazione e valutazione di ricerca, deve quindi porsi lo storico.

Allo stesso modo, potremmo dire, per contrario, sta l’opposizione del clero a quanto e a quanti negano questa antropologia integrale, la ostacolano, rendono difficile o impossibile la diffusione della verità, il cammino della salvezza. Il positivo, in altri termini, chiarisce il negativo; l’innominato va combattuto nel suo essere nell’errore, accolto benevolmente (nuovo figlio prodigo) quando riconosce la verità; don Rodrigo, che pure non dà segno di cambiamento, va assistito e curato se possibile, salvato dalla malattia, anche a costo della propria vita quando, per di più, gli altri, suoi amici e sostenitori, già lo hanno abbandonato.

Sarebbe certo una semplificazione, vedere il clero bolognese degli anni quaranta solo nelle vesti del buon samaritano, sarebbe altrettanto una semplificazione, vedervi un blocco compatto, fornito di un solo modo di interpretare e di sentire. D’altra parte stiamo parlando di uomini e sarebbe per altro interessante sapere come mai quegli stessi che trovano naturale che i partiti siano articolati in correnti, magari fra loro anche risolutamente divergenti, trovino strana qualche diversità di interpretazione, riferimenti e soprattutto sensibilità nel clero.

Un altro rischio interpretativo da evitare, per la verità, sarebbe quello di giudicare il clero bolognese e altro che sia non solo dall’esterno, anziché dall’interno, ma da un solo lato. Dall’atteggiamento verso il socialismo e il modernismo, gli ebrei, o il comunismo, quasi che questo, e non tutt’altro, fosse il suo proprium.

O, se si vuole, quasi che il compito del clero fosse, di volta in volta, quello di aderire alla moda del momento. Chi abbia dubbi, si rilegga le invettive di Mussolini ed altri (a cominciare da Farinacci) nei confronti di quei sacerdoti dimentichi, a parere loro, dei propri fondamentali doveri: stare in sagrestia, quando uscirne poteva ostacolare il cammino del fascismo; uscirne, quando lo starvi non fosse tornato conveniente allo stesso fine; non parlare di nulla nelle omelie, nel primo caso e appoggiare senza riserve, nel secondo.

Se, per gli anni trenta-quaranta, spostassimo lo sguardo dall’Italia alla Germania, queste riflessioni apparirebbero tanto più evidenti e significative, anche per i tempi successivi.

Il fiume di iniziative sociali, in fraterna concordia fra laici e sacerdoti, preoccupati tutti del bene comune e animati dallo stesso spirito, è solo un aspetto dell’immagine complessiva; si tengano presenti le dimensioni spirituale, liturgica e sacramentale.

E’ impossibile esemplificare adeguatamente. Sono stati tanti, fra la fine ottocento e gli anni quaranta, i parroci come mons. Meotti a Gaggio Montano, o i sacerdoti come d. Vancini, arciprete di Medicina, promotore di iniziative sociali.

Si dovrebbe fare l’elenco completo di sacerdoti, non dimenticando i seminaristi e quel gruppo di laici che, avendo studiato in seminario, non continuarono su quella via, ma non per questo cessarono di essere fermento, liturgico e spirituale nel contesto sociale, civile e politico.

Si potrebbe ipotizzare una ricerca di tipo sociologico, o di tipo statistico, o entrambe. Si potrebbe esaminare, caso per caso, lista alla mano dei sacerdoti in attività nella diocesi di Bologna fra il 1940 e il 1950, i loro ricordi, ove ancora possibile, soprattutto le loro carte, le loro iniziative.

Non credo che una ricerca puntuale di questo genere sarebbe negativa per l’immagine che potremmo ricavare del clero in quel periodo, al contrario. Le molteplici testimonianze raccolte a vario titolo in questo campo, in parte pubblicate, mi autorizzano ad affermarlo, anche se, attualmente non si sono tradotte in una raccolta documentaria completa.

Come descrivere bene, d’altra parte i vari parroci di montagna; di campagna, di città, di periferia, giovani e meno giovani, vita del seminario (meglio: dei seminari), i collegamenti con la tradizione e i sacerdoti più anziani, con i vescovi? Un esempio significativo lo troviamo nel bel volume di d. Gherardi.

Tuttavia c’è qualcosa nella valutazione che ci interessa, che va al di là di questa raccolta di dati. E non è solo questione di mistero della Chiesa.

Il primo compito di un pastore è quello di preoccuparsi delle sue pecore; l’immagine rende bene, a condizione di non semplificarla o renderla stereotipata.

Come richiamare i bombardamenti, gli sfollamenti, l’indigenza, le mense? E così via. Naturalmente, non è facile (come si è visto anche dalla testimonianza sopra riferita) superare il passato proprio dal mondo che cambia (lo stesso fascismo) e passare al nuovo che avanzava (cattolici, sì, ma anche repubblicani, socialisti e comunisti).

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5. L’esperienza della prima guerra mondiale, per quanto distorta; la lezione di Benedetto XV per quanto poco ascoltata, l’insieme degli interventi di Pio XII a non tenere conto della lettura stessa evangelica, ebbero un effetto sui laici e sul clero. Effetto che non passava necessariamente attraverso la distinzione fra partiti o tesi sociali e politiche, come una certa tendenza alla semplificazione potrebbe fare pensare.

Perchè lo richiamiamo?

Un periodo vissuto in situazione totalitaria, quindi, senza possibilità di dibattito e informazione libera, potrebbe essere meglio giudicato nelle sue linee tenendo presente l’andamento in situazioni analoghe in periodo non totalitario; specie quando fra i due momenti vi sia, come è in questo caso, una differenza di anni di una sola generazione. Ciò può valere tanto più per il clero; che certo non si presenta al nuovo appuntamento di guerra con le stesse caratteristiche, con gli stessi uomini almeno in toto; ma, tuttavia in buona parte, con gli stessi personaggi e comunque con sensibilità e orientamenti maturati in connessione con il gruppo precedente.

Chi esamini la stampa bolognese nel periodo della grande guerra, non può non rilevare l’eccezionale impegno profuso in varie direzioni (morale, sociale ed economica) dal clero, sia locale, sia in collegamento con iniziative più ampie. Aspetto non secondario, sia per il contesto complessivo di allineamento al farsi la guerra nonostante il riferimento al magistero pontificio, sia per l’occasione, tanto attesa e ricercata (come si vede dalla stessa corrispondenza di G. Acquaderni) dell'assistenza alle truppe, sia per la possibile unità di intenti fra mondo liberale, filantropico e Chiesa.

Ora, come il clero italiano aveva partecipato in vario modo alle vicende della prima guerra mondiale, direttamente come soldati e come cappellani; indirettamente, per così dire, in varie iniziative morali, assistenziali, ecc., così fu nella seconda; alternando speranze e dubbi, fiducia e sfiducia; constatando, prima di tutto, il crescere delle sofferenze in tutti, in quanti si trovavano in servizio armato, come nella popolazione civile.

Non sarebbe forse inutile, nell’impostare le nostre ricerche locali, superare una certa tendenza provinciale, che ci fa guardare agli avvenimenti nostri come staccati dal resto della storia; e cominciare a guardare ai fatti locali come parte di un disegno immensamente più ampio. Nell’ambito del quale, le iniziative dei laici e dei sacerdoti bolognesi non solo si collegano, in vario modo e a vario titolo, con quella dei laici, sacerdoti e religiosi di altre parti dell’Italia occupata, ma con quelle dei laici e sacerdoti di altre parti d’Europa: dalla Polonia, alla Germania, alla Francia.

In questo contesto, l’insieme illumina il particolare, almeno quanto il particolare dà concretezza alle descrizioni e valutazioni di insieme. Padre Kolbe, p. Brandsma, i ragazzi della Rosa bianca, non sono altri da don Fornasini, don Comini, Salvo d’Acquisto e via dicendo. Fanno parte, tutti, di quella parte d’Europa che mise a disposizione la propria vita, la propria intelligenza, la propria azione giornalistica, il proprio servizio agli altri, in nome di un principio superiore, per uomini precisi, contro ogni forma di oppressione, di totalitarismo, di negazione della verità. Esigenza sempre attuale, che sempre ha richiesto testimoni, importando relativamente che questi atti giungano a notorietà.

E’ in questa prospettiva europea, e per certi aspetti mondiale, che va vista l’azione e anche la sensibilità della Chiesa locale, a cominciare dal clero e dai suoi pastori. Il sentire e l’azione, la preghiera e il sacrificio di un p.Brandsma, di un p. Kolbe, di una E.T.Stein e di tanti altri, non sono estranei, lontani, di un altro mondo o livello: sono sostanziati dello stesso sentire, della medesima ispirazione, fede, ascolto e capacità di donazione, umile e convinta, di tutta la Chiesa confessante, comunque nei confronti dell’Anticristo, sotto qualsiasi veste si manifesti, e quindi della Chiesa martire. Siano essi sacerdoti, religiosi, laici, uomini o donne, giovani o vecchi, in Italia, in Europa o in Africa o in Asia, pastori locali, diocesani o missionari o altro; venga il martirio di sangue o sia solo accettati; ma non ottenuto (presagito), come p. Kolbe o Stein o d. Casagrande; desiderato, accettato o sia inatteso, imprevisto, se può esservi qualcosa di imprevisto, in questo tipo di circostanze.

"Quanto leggevamo allora! Si era divoratori di libri, dalla storia sacra, ai romanzi paleocristiani. E quante prove di penna! E non era letteratura" (ricorda d. Gherardi e lo confermava d. A. Carboni)12.

Certo, le letture, le conoscenze, i testi e i riferimenti sono tutt’altro da quelli contemporanei e anche questo ci rende più difficile il comprenderli e, forse, l’apprezzarli convenientemente; perchè il poi sembra essere sempre ricorrente tentazione cronocentrica o positivistica maggiore del prima essendone diverso. Ma è veramente così? O si danno livelli, in ogni tempo che sanno esprimere il massimo delle possibilità, comprendendo ciò che noi magari oggi non capiamo più e, comunque, sapendo donare tutto ciò che si ha a disposizione, a cominciare dalla vita?

La lettura dell’Osservatore Romano e dello stesso Avvenire, l’attenzione ai messaggi, specie a taluni radiofonici del papa, l’atteggiamento sempre più corrispondente alle esigenze del momento da parte della gerarchia, tutto questo (se ve ne fosse stato bisogno e poteva essere) non poteva non influire sulla opinione, l’atteggiamento, le decisioni dei sacerdoti e, forse, specialmente dei parroci, sia nella prima parte della guerra, sia nel capovolgimento del fronte, sia nella fase tragica dell’approssimarsi della linea di difesa tedesca e delle violenze, specifiche e occasionali, conseguenti.

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6. "Il 24 settembre 1942 G.B.Nasalli Rocca erigeva l’istituto per la preparazione dei cappellani del lavoro, opera nazionale di assistenza religiosa e morale nella quale ritroviamo mons. Ferdinando Baldelli, can. Filippo Cremonini e mons. Angelo Tubertini, don Armando Nascetti e d. Aristide Trentini. Con il 1943 inizia l'assistenza religiosa agli operai con il fine di superare lo stacco tra la vita industriale e la vita della famiglia. Il ritardo nell’impegno contro lo sfruttamento del povero urgeva un impegno particolare per le nuove masse enormi, catalogabili nel quadro del territorio parrocchiale, a seguito della crescita demografica urbana, sulla linea della azione delle conferenze di S. Vincenzo. Continuando le scelte dei predecessori, Svampa, Della Chiesa, Gusmini furono costituite nuove parrocchie urbane negli anni trenta, la parrocchia non costituiva più un riferimento costante...neppure la famiglia: era venuto il momento di accettare una presenza sacerdotale nelle fabbriche con iniziative spirituali senza indebite commistioni in una azione di testimonianza"13.

Torna alla mente quanto venne scritto in quel periodo in una prefazione a un manuale di studi sociali per sacerdoti:

"E’ opportuno questo libro? La domanda è superflua. Il trattato De Justitia et Jure mentre è quello che più diffusamente si svolge nei corsi di insegnamento teologico, è poi quello che meno occorre nel ministero della confessione; raramente avviene che ci si sottoponga al giudizio autorevole del sacerdote per essere illuminati o essere assolti da ciò che si è fatto o si intende compiere in materia di affari"14.

E’ pur vero che la sensibilità sociale aveva portato il mondo cattolico, parroci in testa, dalla fine degli anni ’30 in poi, a fondare ovunque Casse Rurali e Popolari e a promuovere altre iniziative, in modo capillare, per il miglioramento delle condizioni di contadini, artigiani e lavoratori in genere. Ma l’azione del fascismo e le crisi ricorrenti, avevano arrecato duri colpi a queste organizzazioni sociali e la guerra stava facendo il resto15.

La decisa tendenza presa dalla guerra alla fine del ’42 divenne un cambiamento di rotta inequivoco, almeno all’osservatore neutrale, con il gennaio del 1943. Su tutti i fronti le potenze dell’Asse del Tripartito, per estensione, arretravano o, addirittura, erano in netta ritirata. Se il pericolo appariva ancora lontano sia sul fronte orientale, dove si stava consumando una vera tragedia, sia sul lato occidentale, dove il nuovo fronte era solo in ipotesi, ben diversa era la situazione dal lato Mediterraneo, il più vulnerabile per l’Italia. L’invasione avrebbe potuto essere questione di mesi, forse solo di settimane.

Se l’andamento negativo della guerra che pure, per il Nord dell’Italia, non sarebbe finita tanto presto, né tanto facilmente, riportava in corsa, in ambito cattolico, gli elementi ex-popolari, diminuendo la forza dei filo-fascisti. Solo il licenziamento ufficiale di Mussolini e, in uno con esso, lo sfaldamento immediate impressionante del regime, avrebbe potuto segnare un nuovo orientamento. Con tutte le limitazioni, oltre con ovvia prudenza, imposte dalla gestione del potere del nuovo governo e dalla stessa continuazione della guerra, nell’estate di quell’anno.

Né piccolo motivo di preoccupazione e problema erano, accanto alla presenza tedesca in crescita, i bombardamenti volti a interrompere in modo irreparabile o almeno a danneggiare gravemente le comunicazioni stradali e ferroviarie fra nord e sud; con particolare attenzione, quindi, al nodo di Bologna. Con effetti noti da ogni lato.

Fra il dicembre del ’43 e la metà di gennaio del ’44 i tentativi di avanzata degli anglo-americani verso nord si infransero contro le difese di Monte Cassino (Linea Gustav) e ad Anzio.

La guerra ristagnava. La guerra, anche civile, non poteva che inasprirsi. Violenza chiamava violenza: il terrore era sempre più, come in ogni altra parte d’Europa attraversata dal conflitto, uno strumento di lotta. E non è retorica, come le cronache dolorose del tempo confermano.

Le necessità si moltiplicavano, mentre le disponibilità apparivano sempre più scarse. Anche il clero, in via diretta e attraverso i laici impegnati, cercò di farsi tutto a tutti; sul fronte delle violenze, dei perseguitati, delle necessità materiali, come di quelle spirituali. Le zone del bolognese poterono contare su una grande generosità dei sacerdoti e non lamentare, di massima, defezioni o estremismi nel quadro complessivo del conflitto e nel suo degenerare progressivo; bene immaginabili, anche solo come eccezione16.

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7. Così è nel caso, particolare, degli ebrei. Si pensi, come è stato ricordato recentemente a un don Arrigo Beccari parroco di Nonantola.

Le figure, disponibili, sono state la stragrande maggioranza.

Molti erano gli studenti ebrei presenti nell’Università di Bologna, provenienti da ogni parte d’Europa: 600/800 studenti, di varia nazionalità, esentati dalle tasse per la disponibilità del fascismo, prima della nuova deliberazione. Si pensi a un don Busacchi, in via Nazario Sauro.

Profonda fu l’umanità della popolazione; dopo tutto, non era facile prestare aiuto ad un perseguitato eppure, se 35 mila ebrei su 45 mila si salvarono e 8 mila circa furono i deportati, ciò significa che molti dovettero la loro vita all’aiuto della popolazione17.

Così per i rastrellati. E’ il caso della Pro-Ra. (strellati):

La notte stessa, grazie a un pesante bombardamento molti fuggirono. Don Giulio Salmi divenne figura leggendaria. Girava in bicicletta lungo la Gotica con la sua valigetta ed il permesso di dire la Messa ad ogni Vangelo ripeteva il suo incitamento alla ribellione e alla fuga.

"Un giorno fecero assistere alla Messa un tedesco che capiva l’italiano e dopo il Vangelo arrestò don Giulio con la sua valigetta e la bicicletta. Poi riapparve graziato per interessamento del cardinale Nasalli Rocca che aveva ottenuto dal comando tedesco la sua libertà promettendo che avrebbe cessato la sua attività".18

Non è facile sgranare gli anni come le avemaria di un rosario, passando dai misteri gaudiosi a quelli dolorosi; continuando, nel mutare delle circostanze, secondo una tradizione millenaria, a svolgere comunque i propri compiti, con un occhio rivolto al mondo e uno al cielo.

Un mondo, ha scritto qualcuno, che solo oggi esce dal paleolitico e ne è uscito proprio attraverso la sofferenza della guerra. Certamente, un mondo ricco di illusioni e di delusioni, incerto fra la nostalgia del paradiso perduto e il desiderio del paradiso prossimo.

Si trattava certamente di un clero formatosi alla guida di vescovi di primo ordine e alla intersecazione di avvenimenti ecclesiali e civili fondamentali. Sia il clero della città che quello della campagna legato insieme alla tradizione e disponibile alla novità legittima, animato da cultura e buon senso.

Significativo il diario di d. Nascetti: "Mi dicono che il governo ha imposto alle Conferenze maschili di S.Vincenzo de' Paoli di cessare ogni attività assistenziale alle famiglie perchè basta l’attività dell’Ente assistenziale del comune. Da Roma verrà la decisione. Un grave errore causato dall’invadente partito anticlericale fascista sul partito stesso che non potrà mai impedire le opere di carità cristiane. Hitler è un persecutore".19

1940 - primo anno di guerra tra allarmi e fughe nei rifugi. La carità continuava pure nel razionamento dei viveri e ristrettezze imposte dalla guerra.

1941 - missionari della Madonna di S. Luca. Predicazione al popolo e inaugurazione casa S. Francesco Saverio.

1942 - paio di scarpe a un povero. Fine ’42 sangue, terrore, fuga, bombardamenti, terribile stato della popolazione bolognese.

1943 - tolte le campane per farne armi - 24 luglio: 1° grande bombardamento di Bologna (60 morti, molti feriti, sfollamento) 25 sett.: bombardamenti, lutti rovine, distruzioni, spavento, allarmi, via vai di sofferenti politici e di poveri.

1944 - gennaio: salvo da terribile bombardamento - nessuna bomba in zona, venerdì santo terribile bombardamento.

"Le desolazioni della guerra sono senza numero. La persecuzione contro il clero è barbara. Più di 40 parroci sono stati cacciati dalle proprie chiese: chi ha visto distrutta la propria chiesa, chi la canonica, chi l’una e l’altra dopo lacrimevoli profanazioni. Fuggiti questi ministri di Dio dalle loro abitazioni senza le necessarie provviste di cibo e di indumenti. Le loro popolazioni disperse. Chi è stato ucciso, chi nascosto nelle grotte, chi geme nelle carceri. Quanti sacerdoti fucilati, sputacchiati e schiaffeggiati. Abbiamo in seminario una 30.na di parroci rifugiati , o perchè non possono andare alle loro abitazioni o per fuggire il rastrellamento. Qualche sacerdote è stato bruciato vivo in canonica con i suoi genitori. Si vedono correre in città profughi appena coperti, bambini, donne, vecchi bisognosi di tutto, in cerca di abitazione. Sotto la pioggia, nel freddo, è una desolazione. Salga al Signore come valore espiatorio e impetratorio la somma di tante lacrime e di tanti dolori. Ma salgano al Signore anche tante bestemmie, tante disonestà, tante vendette, tante iniquità! Che Dio si commuova a pietà convertendo i peccatori, santificando i buoni, che in questi avviliti tempi danno prova di tanta fede e di tanto amore".20

E così per un personaggio ancora più noto, come d. Marella: "Durante il conflitto molte famiglie delle case popolari, assistite da Don Olinto, sfollarono verso le collini bolognesi oppure verso la città di Cento. Padre Marella rimase a Bologna e il suo appartamento divenne rifugio di perseguitati politici e di adulti bisognosi. Tra lo schianto e il fragore delle bombe passava nei rifugi, ricoverando i feriti e provvedendo a coloro che rimanevano senza tetto. Nessuno sapeva dove e quanto mangiasse e dormisse. Non c’era allora bambino, giovinetto abbandonato dai suoi che non trovasse accoglienza e ospitalità; così anche vecchie e vecchi, anche ricovero e soccorso materiale".21

"A quel magazzino pedalava instancabilmente il grande benefattore di tutti. Ma molti non sapevano che oltre ai vecchi assistiti a Cento, alla tenuta del Conte e in altri luoghi si rivolgeva a tutti i naufraghi che la grande tempesta della guerra e dell’odio civile sbatteva alle soglie della sua casa di S. Mamolo: ebrei ricercati dal fascismo, rastrellati dalle SS tedesche, repubblichini ricercati da partigiani, partigiani inseguiti dalle brigate nere erano accolti, nascosti, rifocillati, salvati dall’odio degli uomini. Continuava a insegnare, soprattutto insegnava ai giovani sconvolti dalla guerra come ci siano fonti inesauribili di bene, anche quando il male ha tutto sopraffatto ed avvilito".22

Gli episodi specifici sono un po’come i fioretti salvati da un lavoro nascosto e intessuto nella stoffa stessa della propria parrocchia e diocesi, arricchita dagli avvenimenti sociali e civili, locali e internazionali, certo non fortunati nel fatto che la grande storia attraversa su ogni località ogni paese.

"Chi avrebbe potuto prefigurare che l’area di Monte Sole sarebbe divenuta l’immediata retrovia di uno scontro fra potenze mondiali e il teatro di una lotta intestina pro e contro un ex-alleato, trasformatosi in oppressore e aggressore?".23

Come nel prospettare un quadro della situazione politica, etica, sociale, degli anni fra le due guerre siamo sempre tentati di semplificarne la complessità, attraverso indicazioni tanto chiare, quanto imprecise, riportando una volta per tutte colpe e meriti, aggressori e aggrediti e così via. Così, nella valutazione degli avvenimenti regionali locali e tanto più ecclesiali, rischiano sempre riduzioni e incomprensioni.

Rientra nella logica e tanto più nel rispetto dell’effettivo contesto storico il principio dell’inquadramento di un aspetto nelle sue effettive caratteristiche e la percezione delle distinzioni.

Adottare l’uso di una chiave semplicemente politica o economica o comunque non religiosa, significa sperare di comprendere ben poco di una realtà religiosa, perchè è un volere capirne l’essenza attraverso i suoi collegamenti occasionali e le manifestazioni contingenti, anziché l’inverso.

Non guardiamo solo ai momenti ecclesiali ma anche al lavoro, alla presenza quotidiana, nella campagna o in montagna, specialmente quando il fronte fu, ovunque e non solo, nella linea di demarcazione militare.

Innumerevoli gli episodi e i problemi.

Anticlericalismo , divisioni, contrapposizioni, incomprensioni, ritornano qui come altrove.

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8. Giungeva l’autunno del ’44 ma le speranze suscitate dalla avanzata degli alleati fra la primavera e l’estate dovevano lasciare il posto alla delusione e alla tragedia. "Per tutta l’estate il pendolo oscillò fra timore e speranza. L’avvicinarsi del fronte a Castiglione dei Pepoli sembrava autorizzare il presagio di una imminente liberazione. L’ottimismo prevalse fino agli ultimi di settembre. La gente del luogo si sentiva anche protetta dalla copertura dei partigiani. Poi la situazione mutò radicalmente e vennero i giorni dell’amarezza".24

Nel maggio l’arcivescovo aveva rinunciato a fare scendere l’immagine in città per i bombardamenti 25 dopo avere ricordato che la città era ancora seminata di macerie, con le case tutte segnate da un lutto. Aveva anche insistito, in una notificazione, contro il farsi giustizia da soli: "Non accrescete i già fortissimi dolori, che ci vengono dal di fuori colla discordia e l’odio fraterno. Basta col sangue versato da fratelli per mano di fratelli. Basta colle denunce dettate da spirito di vendetta che coglie il triste momento presente per sfogarsi. Basta colla maledetta avidità di guadagno che approfitta della guerra per fare salire a favolose cifre i prezzi specialmente i generi di prima necessità. Il giusto guadagno non è vietato ma ricordiamoci che soprattutto in questa era, carità di Cristo e carità di patria c’impongono di venire in soccorso di chi ha fame, di chi è senza tetto, senza vestito".26

Era cresciuto il problema degli sfollati e dei rastrellati; la provincia aveva accolto per quanto possibile quanti erano fuggiti dalla città, in bilico fra città aperta e presidio tedesco. Ma tutto peggiorava con l’arrestarsi e il ristagnare del fronte.

E’ così difficile tradurre storicamente la santità, tuttavia, è pure una forma di eccezionalità; (cfr. sia in tempi continuati quotidianamente, sia in circostanze particolari il ricambio naturale di clero, fra 1939/1940 e il 1946/1948, accentuato dalle aggressioni che non raramente colpirono il clero più giovane).

"A ben comprendere ed inquadrare opportunamente certi fatti coraggiosi spesso anche eroici di cui è protagonista il popolo umile e anonimo, è opportuno premettere che è necessario tener conto del profondo sentimento religioso che animava allora il popolo della nostra terra, dominato, nella sua vita pubblica e privata, dall’ideale cristiano e non ancora avvelenato dalla propaganda politica atea e materialistica.

Il pensiero dell'al di là dominava tutti gli altri pensieri e parlava alla mente e al cuore dei fedeli con un linguaggio più vivo ed efficace delle stesse cose terrene. La vita scorreva semplice e laboriosa, modesta per tutti e i centri di riferimento erano la casa, il lavoro e la chiesa.

Una prova, del resto di tutto questo, si è avuta nei momenti più terribili della burrasca quando le popolazioni furono trovate sempre strette ai loro sacerdoti e parroci, dentro alle chiese, ai cimiteri, agli altari".27

Comunque si consideri la cosa, nulla giustifica l’assassinio, il massacro, ecc. tanto più indiscriminati, se non la legge del terrore o, se si vuole, della disperazione, situazione nella quale intere comunità, pastore in testa, giunsero alla fine.

Bastano alcuni frammenti: "la carità esercitata giorno per giorno fino al sacrificio, la fraternità sacerdotale e religiosa, il morire pregando e benedicendo, la comunione totale in vita e in morte con il popolo affidato per una sola estate, e quasi per caso, al loro ministero. Don Giuseppe Cortelloni, don Giovanni Molena, don Antonio Cobianchi, l’uomo faro della pieve di San Martino a cui la morte sopravvenne poco tempo prima dei giorni dell’ira, don Basilio Roda a Casaglia (a cui successe don Ansaloni) e il fratello di don Basilio, don Giovanni, a Sperticaro, mai piegato a servile ossequio verso il regime fascista; mons. Fidenzio Mellini, l’ottantaduenne patriarca della comunità di Salvaro allargata quasi a città di rifugio".28

"Fornasini, nell’ambito del presbiterio locale, è un sicuro riferimento; un ponte umano fra le parti. Con una prospettiva di libertà e di giustizia sociale, orientata in modo inequivocabile dai messaggi di Pio XII, il parroco di Sperticaro si è attestato su una linea di servizio, senza alcuna discriminazione, fratello e padre di tutti, specie dei più deboli e indifesi.

Agli inizi dell’ottobre ’44, in limine mortis, lo stesso don Fornasini ne parlò con un teologo del Regionale, Giovanni Catti: "Io sono pastore e servo di tutti. Ogni anima mi è cara e offro a ciascuno dei miei l’aiuto religioso e fraterno".

Risulta chiaro che l’opera eroica e diuturna di don Fornasini è da ascriversi nel conto della sua condizione sacerdotale. Ciò che si afferma per lui si può estendere a don Ubaldo Marchioni, a don Casagrande e agli altri che, a prezzo di lacrime e sangue, saldarono il debito della stola parrocchiale con la popolazione e con la propria coscienza.

La loro veste li pone allo scoperto, nel mirino del sospetto e della rappresaglia".29

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9. Il 21 aprile, mentre si avviava il crollo del fronte Sud, lungo la linea gotica, iniziava, in piena mattinata, l’attacco a Berlino.30

Il crollo della linea gotica corrispondeva pressoché esattamente, nel suo svolgimento, alla fine del Reich, che precedeva (in relazione, soprattutto, alla morte di Hitler) solo di pochi giorni. Come è stato scritto: "Non c’è requie per chi viene a trovarsi sulla strada della guerra".31 A Bologna, Nasalli Rocca si augurava che, con la città incolume, le famiglie fossero risparmiate dal pianto per gesti di passione.32 Ci si rendeva conto che nel periodo del dopo guerra si doveva rinnovare la fede del popolo attraverso le iniziative precise, a cominciare dalle missioni.

Non era nemmeno finita la guerra e già cominciava l’esame di coscienza.

Ne traiamo qualche spunto da uno scritto proprio di quell’anno. "E quand’anche fossero sventure improvvise e tragiche...".

"Ci manca (ai sacerdoti) un calore che è dato dalla vita intima, dalla via di distacco...da una esistenza di donazione e povertà".33 Ma "Un fermento nuovo agita sparsamente il clero d’Italia. E' l’urgenza sofferta di emergere dalla mediocrità spirituale, l’assillo di vivere il proprio ideale fino all’eroismo. Anche l’aspettativa dei laici si orienta verso un clero che viva integralmente.

Un clero eroico".34

Purtroppo qualche pulpito ha servito più in là della misura alle invettive, sia pur legittime, contro il socialismo, sottacendo però il non possumus della Chiesa anche contro le aberrazioni del capitalismo tanto palesi nella Rerum novarum e nella Quadragesimo anno.35

"Né è a temere... Anche il divino Maestro... Ma il legittimo e giusto amore verso la propria patria... dell’umanità. I gretti egoismi nazionali devono essere superati dall’umanesimo della concezione cristiana dello stato".36

Avvenimenti di portata internazionale, capaci di coinvolgere così direttamente ogni parte, specie nelle nostre zone che si aveva l’impressione che accadessero solo nel proprio territorio; o che solo là si scatenasse l’orrore che, invece, coinvolgeva tutte le zone attraversate dalla guerra.

In questo contesto, maturarono le molteplici tragedie dei primi anni del dopoguerra.

La fine della guerra non aveva portato la pace; quella pace, almeno, della quale aveva parlato Pio XII nei suoi radiomessaggi; in campo internazionale, come nell’interno dei Paesi.

Il necrologio del clero bolognese, come di altre zone limitrofe sta a dimostrarlo. E della violenza del momento è conferma (anche se comune ad altre situazioni analoghe, allora e in altri momenti, in Europa e altrove) il fatto che in un certo numero di casi, di sacerdoti come di laici, non si sia potuta avere a tutt’oggi adeguata notizia.

Questo martirologio non deve la sua causa al disimpegno dei sacerdoti alla fine della guerra; a una loro mancanza di senso sociale e civile, al contrario. Indubbiamente l’impegno dei sacerdoti, al passaggio del fronte, per evitare o limitare al massimo violenze, vendette, esecuzioni sommarie da talune parti, fu consapevolmente o no, frainteso.37 Come, certo, era difficile da comprendere l’impegno per quanti non disponevano più di nulla, anche in Germania; come la richiesta, nel ’47, a belgi e olandesi (i popoli che forse più avevano sofferto l’occupazione tedesca) ,da parte di p.W. Von Straaten, a favore della popolazione tedesca.38

Straordinario segno di sensibilità cristiana, della capacità di "perdono", che ebbe più di un riscontro nelle nostre zone.39

Accanto a d. Dogali, caduto in Jugoslavia, e mons. Balestrazzi, vittima dei bombardamenti nel ’43, si aggiunsero, nel 1944, d.M.Barbieri, d.F.Casagrande, d. Tarcisio Collina, d.E.Comini, d.M.Capelli, d.M.Fornasari, d.A.Giovannini, d.I.Lazzeroni, d.G.Lodi, d.U.Marchioni, d.Ildebrando Mezzetti, d.Mario Ruggeri.

Nel 1945, persero la vita d.C.Bartolini, d.E.Donati, d.A.Filippi, d.D.Gianni, d.A.Montanari, d.A.Reggiani, d.E.Scanabissi, d.G.Tarozzi.

L’elenco sarebbe più ampio, tenendo conto della vicina diocesi di Imola; e sarebbe ancor più significativo, se si contassero altre zone vicine.

Accanto ai caduti per l’infuriare, per così dire, bellico, della guerra, stanno gli assassinati, in varie forme di rappresaglia. Spesso, in contemporanea con laici, della loro stessa zona o di zone vicine.

"Il movente, diceva don Angelo Carboni, è stato identico per tutti: liberarsi di una presenza scomoda, castigare chi predicava pace, chi si adoperava per salvare vite umane, chi deplorava l’odio e le stragi. Tanti nostri preti hanno pagato con la vita una semplice espressione di dissenso pronunciata durante una predica, in Chiesa. Molti altri sono stati uccisi solo perchè indossavano la tonaca. Se, dopo la liberazione, ogni compagno avesse ucciso il proprio parroco, ogni contadino il padrone, a quest’ora avremmo già risolto il problema. Questa ultima frase fu pronunciata nel 1946, nella Casa del Popolo di S.Giovanni in Persiceto. E in quell’anno, alcuni nostri confratelli caddero per mano assassina di ex partigiani comunisti.

Don Francesco Venturelli, l’arciprete di Fossoli, il paese del famigerato campo di concentramento, era stato il cappellano di tutti: prima degli inglesi, poi dei partigiani, infine dei fascisti e collaborazionisti. Lo uccisero solo perché aveva detto di detestare gli atti di vendetta politica.

Don Ernesto Talè, parroco di Castellino, in provincia di Modena, fu attirato col solito tranello dell’assistenza da prestare a un moribondo. Accorse con l’ampolla dell’olio santo e fu ucciso dopo sevizie indicibili. Il giorno dopo, uno dei suoi carnefici fu udito lamentarsi: Quella carogna non voleva morire.

Il 18 giugno 1946, don Umberto Pessina, parroco di San Martino di Correggio, sbottò. Già 19 suoi parrocchiani erano stati prelevati nottetempo dai "giustizieri" comunisti ed erano scomparsi. Era ora di finirla. Il sindaco comunista del paese, per quel sacrosanto scatto di indignazione del prete, lo fece freddare con una raffica di mitra. Bisogna dire che quasi tutti i preti uccisi dai partigiani si erano pronunciati contro le stragi e per la pacificazione."40

L’esito del referendum ’46, se pure segna una svolta, non appare essere decisiva ad interrompere la spirale della violenza; anzi, per certi versi, sembra accrescere il rischio.

Tutt’altra cosa con le elezioni del ’48 e la partecipazione corale di sacerdoti, laici, religiosi a questo evento che apparve ripetere, accresciuta in intensità, l’esperienza del ’19, non è, in questo contesto, priva di significato.

D’altra parte il ’48 segna uno spartiacque chiarificatore, in fondo, nella contrapposizione dei due blocchi; con il passaggio, destinato a durare, nonostante tutto, per quarant’anni, degli stati del centro-est europeo alla sfera di influenza sovietica.

Nell’azione per la ricostruzione; nell’ambito delle iniziative di ricerca di un accordo sovranazionale, atto a superare una volta per tutte le contrapposizioni fra gli europei, si avvicinava, ma chi avrebbe potuto prevederlo e prevederne gli sviluppi che abbiamo davanti, il tempo della nuova proposta di Schuman.

Ho cercato di cogliere, con l’aiuto delle testimonianze dirette, alcune delle caratteristiche del clero di Bologna e di delineare il suo comportamento fra guerra e dopo guerra.

Ho sottolineato la convinzione che l’uno e l’altro momento storico non vadano visti solo in termini provinciali, quanto in un più vasto contesto; nel quale la particolare missione del clero, sempre in connessione con la presenza di religiosi e laici, di azione sacramentale, presenza, testimonianza, condivisione, ha avuto nelle vicende terribili di quegli anni, molteplici occasioni di evidenziarsi. Quasi contadino fra contadini, cittadino nella città; predicatore di autentica pace accanto ai perseguitati del momento senza questioni di colore, di ideologia, di razza; solo preoccupato dell’uomo, di superare la tragedia incombente, di traghettare tutti oltre la tragedia del conflitto.

Non è da meravigliarsi che testimonianze, presenza, denuncia, anche semplicemente silenziosa, risultassero scomode, a quanti, nella esaltazione del momento o per deviazione d’animo, avessero scelto la violenza, anche la più ingiustificata, come solo strumento di lotta e di risoluzione dei problemi.

Un sacrificio inutile?

A distanza di cinquant’anni, non si direbbe.

Accanto a quanti hanno pagato con la vita in quegli anni, altri hanno rischiato e sono stati a un passo dal farlo. Ne abbiamo citato qualcuno.

Accanto a questi, l’impegno di quanti altri sono forse meno spiccati nei riconoscimenti successivi ma non per questo si sono meno impegnati in quelle opere di misericordia che si richiedevano dal loro apostolato.

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Note

1 L.GHERARDI, Le querce di Monte Sole - Vita e Morte delle comunità martiri fra Setta e Reno, 1898-1944, Ed. promossa dal Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna, Il Mulino, Bologna, 1987, p.144.
2 E.LODI (a cura di), I santi della Chiesa bolognese, ACED, Bologna, 1994, notificazione di Nasalli Rocca, 2.5.1938, p. 296.
3 Op. cit, notificazione 24.9.1939, p.297.
4 Op. cit., notificazione 10.4.1940, p. 297.
5 L.BETTAZZI, contributo in AA.VV, La Cupola fra le due Torri, scritti per mons. Luciano Gherardi nel 50° di ordinazione sacerdotale, a cura di G.Matteuzzi e S. Ottani, Ed.Dehoniane, Bologna, 1992; pp.155 ss.
6 G.SELLMAIR, Il prete nel mondo, a cura del sac. dott. Carlo Dell’Acqua, Morcelliana, Brescia, 1943, p.21.
7 MANUEL GONZALES Y GARCIA, Ciò che oggi può fare un parroco, Traduzione e riduzione autorizzata del Parroco di S. Martino Alfieri Sac.D.Silvio Conti, Società anonima tipografica fra cattolico Vicentini, Vicenza, 1930, p.21.
8 L.BERGONZONI, Il cardinale Marcello Mimmi, Ed. Nigrizia, Bologna, 1962, v.bibl., p.35.
9 V.GRANDI, contributo in AA.VV, La Cupola fra le due torri, op. cit., pp.161 e ss.
10 F.PECCI, contributo in AA.VV, La cupola..., op. cit., «La GIAC di Pio XII nella transizione 1941-1945...», pp.167 ss.
11 Traggo le citazioni dalle pagine, che così bene rendono questo argomento, anche se riassuntive, di S.TRAMONTIN, nel V vol. della Storia del Movimento Cattolico in Italia, Il Poligono, Roma, 1981, pp.487-488, dal contributo dedicato appunto a I cattolici e la Resistenza.
12 L.GHERARDI, Le querce..., op. cit., p. 133.
13 A.ALBERTAZZI, contributo in AA.VV, La Cupola fra le due Torri, op. cit., pp.71 ss.
14 G.BICCHIERAI, Il mondo degli affari e la morale, con prefazione di mons. A.Bernareggi, v. coad. di Bergamo (cattedra di Radini Tedeschi; di Gusmini, di Roncalli), Morcelliana, p.VII.
15 Cfr. per maggiori dati il mio volume, in attesa di stampa, sui cento anni del Credito Romagnolo.
16 Cfr.V.FAPPANI-F.MOLINARI, Chiesa e repubblica di Salò, Scarsi effetti, a quanto pare, presso il clero delle nostre zone, nonostante la crescente difficoltà della situazione, della propaganda di religiosi filo-nazisti.
17 Testimonianza del dott. Padoa, ebreo.
18 Piccola miscellanea per il Carme Giubilare a don Giulio Salmi 1943-1993, Lit.SAB, S.Lazzaro di S.(BO), 1993, alle pp.57-58.
19 Cfr. I.CASSOLI, Il Sacerdote Armando Nascetti e le Piccole Apostole del S.Cuore da lui fondate (1874-1954), Lit. La Fotocromo Emilia, Bologna, 1978, p.87(anno 1939). Ho riassunto le parti intermedie.
20 Ib., p.88, (anno 1940) e p.92, dal Diario, 16 novembre 1944.
21 Cfr. p.T.LOMBARDI, Padre Marella, amico dei poveri, Città dei Ragazzi, S.Lazzaro di S.(Bo), 1977, pp.79 e 82.
22 Ib., pp.86 e 87.
23 L.GHERARDI, op. cit., p.230.
24 Ibid., p.75.
25 E.LODI, op. cit., p.299.
26 Ibid., notificazione 3.5.1944, pp. 299-300.
27 A.CARBONI, Elia Comini e i confratelli martiri di Marzabotto, Bologna, tip.Alfa-Beta, 1988, pp.120-121.
28 L.GHERARDI,op.cit.,pp. VII-IX (introd.di G.DOSSETTI).
29 Ibid., p. 231.
30 C.RYAN,L’ultima battaglia, Garzanti,Milano,1966,p.330.
31 AA.VV., Dal 25 luglio alla Repubblica, 1943-1946, RAI, Torino, 1955, p.177.
Come es. di altri casi, v. G.G.PESENTI, Apostoli Imolesi-Madre Maria Zanelli - Canonico Giuseppe Mazzanti, Piccole Suore di S.Teresa del Bambin Gesù, Imola, ed.OCD, Morena(RM), 1988, II ed.: a p.159 - «I tedeschi, incalzati dal nemico,... passano a fare razzie di tutto nelle case, specie nelle campagne, e a rastrellare gli uomini per mandarli nei campi di concentramento in Germania». A p.160 - «(I) ... tedeschi ... hanno infierito sulla nostra città a più non posso. Ci hanno asportato i macchinari; ridotta la città a una trincea; ostruite tutte le strade con buche e reticolati; minato ogni passaggio, ogni ponte». Imola doveva essere distrutta come Cassino. Ingenue, quanto significative testimonianze, analoghi concetti nelle ll. di mons. Tribbioli.
32 E.LODI, op. cit., notifica di Nasalli Rocca, 17.4.1945, p.300.
33 G. CALABRIA, Apostolica vivendae Forma, (per sacerdoti e religiosi, terza edizione, Scuola tip. Vescovile - Casa Buoni Fanciulli, Verona, 1945, p.66.
34 Ibid., p.66.
35 Op. cit., p.105.
36 Op. cit., p.115.
37 Cfr. es. Piccola miscellanea..., op. cit. p.58: «(Alla) liberazione (fu) visto ripartire in bicicletta alla ricerca di soldati tedeschi sbandati e impauriti. Riempì la sua casa, poi li consegnò agli alleati».
38 Cfr. W.VAN STRAATEN, Mi chiamano Padrelardo, Città Nuova ed., Roma, 1962, (titolo originale della ed. olandese: Oostpriesterhulp; Traduzione di Fred Ladeniuns).
39 Come si vede dai ricordi, presentati anche per radio, di p.T.Toschi.
40 D.Angelo Carboni, intervista rilasciata a Gente sul proprio lavoro su d.Comini.