Questue dietro ordinazione

L'ANPI, falsa esattrice

  Quasi continuamente, le casse del partito di Peppone domandano soldi, biglietti da 100, carte da 1.000. A questo fine spesso i compagni fanno a gara per arrivare dalle vie più disparate.
  Nei comuni di Quattro Castella (Pre-appennino Reggiano) e Fabbrico (Bassa) si ricorre ad una tassazione speciale. Fine di questa è far soldi che, se non vanno proprio al Partito, vanno nelle tasche di gente fidata.
  Alcun tempo fa, per una disposizione della competente autorità venne ordinato di applicare una apposita targhetta, dietro versamento di L. 380, sui bidoni che dovevano servire al trasporto del latte per uso alimentare.
  Per iniziativa dell'A.N.P.I. di Fabbrico tale disposizione venne estesa a tutti gli agricoltori produttori di latte. In particolare un rappresentante dell'A.N.P.I. si presentava al sindaco di Fabbrico, chiedendo l'autorizzazione di potere riscuotere tali somme a beneficio della organizzazione.
  Il Sindaco non esitava a permettere quanto richiesto. Cosicché 180 agricoltori, convinti che la tassa avesse la sanzione governativa o almeno prefettizia, brontolando versavano quanto loro richiesto.
  Poco tempo dopo però il Prefetto, venuto a conoscenza di quanto accaduto, perchè il fatto si era verificato anche in altri comuni ad amministrazione socialcomunista (per esempio: Quattro Castella), interveniva con la solita energia, per mezzo di una circolare che denunziava l'abuso da parte dei Sindaci, che si erano arrogati facoltà di competenza non loro. Il Prefetto dichiarava anche che tale tassazione poteva acquistare carattere di reato; invitava i Sindaci a dare chiarimenti ed a restituire immediatamente le somme eventualmente riscosse.
  In data 23 gennaio 1953 il Sindaco di Fabbrico rispondeva comunicando che l'A.N.P.I. avrebbe restituito le quote raccolte se la Prefettura lo avesse ordinato.
  A dimostrare che diciamo la verità, riportiamo qui di seguito il testo integrale di una cartolina inviata ad un agricoltore di Quattro Castella nel Novembre del 1952, dal sindaco di quel comune rosso, Sig. Renzo Torreggiani:

«OGGETTO: Targa di prescrizione per recipienti latte.
(data del timbro postale).
  Nell’interesse di tutti i possessori di recipienti adibiti al trasporto del latte, si rammenta che l’art. 20 del R. D. n. 994 del 9 Maggio 1929 fa obbligo agli stessi possessori di usare recipienti di metallo, muniti di chiusura ermetica non suscettibile di manomissione, con coperchio munito di cercine di gomma, ovvero di altro materiale idoneo. Il coperchio deve essere collegato, con adatto mezzo, al recipiente.
  All'esterno di detti recipienti deve essere fissata, in modo inamovibile, una targa metallica con la indicazione della loro capacità, del nome del produttore e del luogo di provenienza del latte.
  Gli interessati, sprovvisti delle targhe, onde evitare le sanzioni previste dell'art. 14 della legge 23 Giugno 1927 n. 1070 e art. 218 T. U. Leggi Sanitarie e art. 5 Legge 18 Dicembre 1927 n. 250, sono invitati a presentarsi alla sede di questo Comune il giorno 27 Novembre 1952 nelle ore d’Ufficio, esibendo il presente avviso, per la prenotazione della targa regolamentare.
Il Sindaco
TORREGGIANI RENZO»

  La circolare della prefettura inviata a tutti i Comuni in data 17-12-1952 diceva poi testualmente:
  «Risulta a questa Prefettura che alcune Amministrazioni Comunali, richiamando l'attenzione degli interessati sul dispositivo dell’art. 20 E.D.L. 9 Maggio 1929 n. 994, hanno con apposito stampato invitato i produttori a presentarsi presso la sede comunale a prenotarsi della targa, previo pagamento di una determinata somma. Al riguardo questa Prefettura deve rilevare che tale intervento del Comune si concreta in un autentico abuso in quanto rivolto a coartare la volontà dei cittadini, dato che nessuna disposizione di legge prevede l'obbligo dell'acquisto della targa, di cui trattasi, presso determinati Uffici o Ditte».
  La circolare definisce quindi «ingiustificata la tassazione a carico dei cittadini», dicendola «sensibilmente superiore al costo di produzione» delle targhette stesse, e quindi punibile dall’art. 377 del Codice Penale.
  La circolare diffida quindi i Sindaci «dal prendere qualsiasi iniziativa in materia. Qualora poi, il lamentato abuso fosse già in atto (come nel caso nostro) le SS.LL. dovranno immediatamente farlo cessare, a scanso della propria personale responsabilità e restituire agli interessati le somme già riscosse».

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Elio Vittorini ha scritto il libro «Uomini e no». L'ANPI indisse una sottoscrizione per farne un film. Ecco la cartella che, nel retro, dice: «Questa cartella da diritto all’ingresso gratuito in qualsiasi cinematografo per assistere alla visione del film «Uomini e no». Poi il film non si fece e... i milioni chi li ha fatti su?

La «pastareina» e i cavoli dell'ANPI

  A proposito dell'ANPI, questa è successa a Massenzatico. In paese tutti conoscono «la Pastareina», un'ortolana altrasettantenne ancora arzilla, che da anni gira di casa in casa sul suo cavallino preistorico, magro e secco come una sardella sotto sale, a vendere i suoi ortaggi: cipolla, insalata, rape, carote, ecc. ecc.
  Costei deve essere vista come un pugno in un occhio dai locali caporioni «rossi», dal momento che esiste in paese un concorrente che esibisce su di un bianco quadrupede la stessa mercé ed è detto comunemente «quèl ed l'ANPI», anche se l'autore, come molti altri, non ha mai capito quale parentela intercorra fra un’associazione di partigiani e i cavoli o le carote...
  Fatto sta che, tempo addietro, in località Cantonazzo, dove la predetta «Pastareina» stava esibendo la sua merce, due baldi e prodi giovanotti, mettendosi ai lati della strada, accoglievano il preistorico ronzino dell'ortolana a suon di «randellate».
  La povera bestia, tarda e pigra come una tartaruga di Cipro in tempi normali, in quel frangente smise le abituali maniere e, via, a spron battuto. Vane, naturalmente, le urla, gli improperi di ogni ordine e colore della nonnina ortolana: il linguaggio del manganello non ammette ricorsi! Cavoli, insalata, mandarini e il cappellone di paglia della «Pastareina» andarono a farsi benedire. Buon per lei che le cose non finirono peggio!
  Stava infatti sopraggiungendo l'autopullman del servizio pubblico, che, arrestatosi, lasciava scendere qualcuno che aiutava la «nonnina-ortolana» ad arrestare «il fuggente lion», cioè quella pacifica e innocua bestiola, improvvisamente impazzita...
  — Va bene che diciate che i cavoli dell'ANPI sono più buoni dei miei — gridava la nonnina più tardi, raccontando il fattaccio — ma, boia d'un mond lèder, non c'è mica bisogno di farmi trottare così il mio cavallo che è bolso e zoppo!

Compagni questuanti

  Già abbiamo scritto che, pur di far quattrini, i compagni non disdegnano alcun mezzo, anche se questo fosse di pretta «marca borghese» (esempio tipico i borghesissimi cappelletti).
  Da varie parti della provincia ci vengono segnalati i diversissimi sistemi di tutti i generi e colori escogitati dai «rossi» che sotto tutti i nomi si presentano coll'unico e preciso scopo di far quattrini e batter cassa. Così si svolgono le famose «feste de l'Unità», de «l'Avanti», empori di ogni genere di trovate, dalla tradizionale scorpacciata di cappelletti annacquati con lambrusco o sorbara generoso col solito scopo, di cui sopra.
  Ma non ci si limita a queste parate giornalistico-propagandistico-gastronomiche; i compagni e le compagne vanno in giro per le case per la raccolta della palata di grano, di uova, farina, vino, ecc. per la festa ovvero «dopo la festa» per colmare il deficit, pagare le spese o meglio arrotondare la cifra che sarà poi trasmessa alla «federazione» provinciale e stampata su l'Unità, fatidico e ambito premio.
  Inoltre ci sono le associazioni fianeheggiatrici di ogni genere e qualità, che sguinzagliano i vari adepti per raccogliere offerte, fondi, merce, «quello che volete», tutto... per la solita greppia.

Le udine allevano pulcini per il partito

  Naturalmente le donnette dell'UDI non vogliono essere da meno dei loro mariti e per questo si arrabattano come sanno per potersi fare onore anche loro di fronte al federale. Nelle nostre frazioni di campagna le buone e solerti massaie udine allevano ciascuna una nidiata di pulcini, che dopo quattro o cinque mesi verranno poi venduti a pro del partito. Ma questo è un fatto che ci dovrebbe far pensare: fino a qual punto una ideologia politica sfrutti la gente, e come questa si lasci... dissanguare dal partito.
  E vedere quale tirannico potere esercita la cellula sulle pacifista massaie dell'U.D.I., e quale scrupolo si fanno queste, prodigandosi a gara, per consegnare la più bella chiocciata al partito!
  I rossi papaveri sono riusciti ad imbottire talmente certe scatole craniche per cui le stesse mamme di famiglia preferiscono togliersi di bocca un boccone o negarlo magari ai loro figli, per darlo al partito!
  D'altronde come farebbe il partito a distribuire quotidianamente e gratis et amore «L'Unità», a quanti la vogliono, compagni o meno, «purché la leggano», come avviene in tanti posti, per esempio a Villa Bagno, se nessuno la paga? Vanno bene gli aiuti... «extra», ma bisogna spillare anche dalla povera gente, così anche questa capirà il valore e l'importanza del partito.

Fieno del partito

  La domenica i cristiani fanno festa. I rossi braccianti di Massenzatico no, essi devono lavorare per il partito.
  Infatti nelle domeniche estive — capo-cellula in testa — avanzano in lunga schiera per atterrare il maggengo ai margini delle pubbliche vie. Già sapevamo che la domenica per i «rossi» di Massenzatico è invano il giorno del riposo settimanale, bensì il giorno del partito, ma che poi si aspettasse fino agli ultimi giorni di Giugno e in giorni festivi per falciare il maggengo per il partito, questo proprio è un po’ troppo...
  Manco male che tutto questo lavoro l'ha fatto fare ai braccianti di Massenzatico il capocellula, perchè se c'entrasse De Gasperi... «apriti o cielo!». Invece il capocellula vuol solo il «bene del popolo» e per questo ha istituito questa nuova ginnastica domenicale. Indubbiamente si progredisce: ieri la ginnastica si faceva il sabato pomeriggio, oggi a Massenzatico la si fa la domenica...

Saponette tasse e uova per il partito

  Una certa domenica, per le vie di Rio Saliceto la gente che usciva da Messa poteva osservare uno spettacolo del genere: alcune donnette dell'UDI stavano girando per piazza con una sporta sotto braccio.
  Di che cosa si trattava? Erano le donnette dell'UDI che ritornavano da una grande impresa: erano andate in giro per il paese a vendere le saponette «pro Partito», per poter sostenere le spese elettorali.
  In parecchie frazioni della nostra bassa, come Gavassa e Massenzatico, non è mistero per nessuno che i «compagni» più o meno caldi sono stati bellamente «consigliati» a versare o meglio consegnare un determinato quantitativo di uova per il Partito, variabile da cinque ad otto pro-capite.
  Sappiamo che una famiglia numerosa ha dovuto consegnare 90 uova al Partito. Sempre negli interessi della povera gente (!).

Ballo pro-Stalin

  Ineluttabilmente anche ogni cosa umana perisce.
  Così improvvisamente, ma proprio come tutti gli altri uomini, anche il grande padre Giuseppe Stalin venne alla fine dei suoi giorni terreni. E nella notte fra il 1° e il secondo giorno di marzo del 1953 una paralisi l'ha privato della conoscenza: nulla ha potuto la scienza mobilitata al capezzale del Dittatore, giacché la morte è sopravvenuta per l’estendersi dell’emorragia cerebrale.
  Grandi manifestazioni di lutto e cordoglio come se si trattasse del più grande eroe nazionale: ma erano per lui, per Stalin. Lui, che innumerevoli esempi aveva dato di odio e di rancore, verso il nostro Paese.
  Però a Sassuolo i carissimi «compagni» hanno pensato che tutto sommato, il lutto, il dolore, la costernazione sono tutti sentimenti bellissimi, ma che gli affari sono sempre affari e che, tenuto conto che anche la bandiera era stata ritirata e si riposava dal lutto per riprenderlo il giorno dopo, anche loro avrebbero potuto prendersi una specie di permesso, di riposo, in questo generale cordoglio, e curare i loro interessi.
  Così, come ogni altra domenica sera, hanno, aperto i portoni della Casa del Popolo e hanno tenuto la solita veglia danzante. Naturalmente man mano che all'entrata si presentavano i ballerini e le ballerine per pagare il biglietto d'ingresso, così come ad ogni inizio di una briosa danza, i compagni fedelissimi elevavano il loro pensiero al venerato compagno Stalin al quale chiedevano mentalmente perdono per quella specie di profanazione, ma anche lui doveva capire che coi quattrini si può scherzare fin che si vuole a parole, ma in pratica è tutta un'altra cosa! E così pensando e coprendosi figurativamente il capo di cenere, aprivano il cassetto e incassavano regolarmente borghesissimi biglietti di banca.

Lutto per Stalin...

  Il lunedì, 9 marzo 1953 una donna di Boretto vietò al proprio bambino di recarsi a scuola e, dovendo il giorno seguente giustificare l'assenza, scrisse alla maestra un biglietto concepito testualmente come segue: «Il mio bambino è stato assente per fare il lutto del grandissimo Stalin».
  Il fatto trapelò tosto per le solite vie confidenziali e fu reso di dominio pubblico. Gli osservatori superficiali ne trassero argomento di umorismo, soffermandosi all'esame ed al commento della pura espressione verbale; altri, anziché arrestarsi alla grammatica, si sono spinti a considerare l'idea, di cui il biglietto era eco rudimentale.
  Povera donna, tradita nei suoi più nobili sentimenti di madre!
  Ella dice ancora: «il mio bambino...».
  Non sa o non vuoi sapere che se la Legge di Stalin fosse un giorno applicata a Boretto, quel bambino che ella ancora chiama suo, non sarebbe più suo, ma dello Stato, che le sarebbe strappato dalle braccia e portato in un istituto di educazione sovietica, dove dovrebbe essere spento ogni residuo di affetto familiare.
  Questa infelice donna di Boretto definisce «grandissimo» Stalin. Avrebbe il coraggio di esprimersi così anche di fronte a tante madri, che, dopo ben otto anni da che è terminata la guerra, attendono ancora il ritorno dei loro figli, trattenuti prigionieri nelle desolate terre dell'U.R.S.S.?