In camicia da notte

(Archidiocesi di Modena)

  I sette preti della provincia di Modena uccisi, sono generalmente parroci dell’Appennino. Quasi tutti della zona montagnosa di Pavullo dove si erano concentrate le brigate partigiane.

  In una vigna di Crocetta di Pavullo fu visto, alla fine del luglio 1945 un cranio fuoruscire dalla terra smossa. Apparteneva al cadavere seviziato e mezzo sepolto di don Luigi Lenzini, parroco proprio di Crocetta. La notte del 21 luglio un gruppetto di gente aveva bussato alla sua canonica. Il vecchio prete, sessantenne, s’affacciò alla finestra dispiacente per non poter scendere. Era già a letto ed era stanco. Alcuni di quegli uomini, malgrado il diniego del parroco, irruppero nella canonica attraverso una finestra fracassata. Don Lenzini, malvestito come era, cercò di sottrarsi e di raggiungere la chiesa. Inseguitolo, lo acciuffarono mentre era dietro l’altare. «E adesso vieni con noi» gli dissero. «Lasciatemi vestire» pregò il vecchio prete. «No, no. Vieni così. Tanto per quel che c'è da fare non importa la tonaca». E in camicia da notte fu portato nella vigna, seviziato e ucciso. La gente ha testimoniato d'aver visto un fantasma nella notte implorare pietà. Una settimana dopo, dal terriccio smosso della vigna, fece capolino il cranio seviziato. Era un carattere battagliero questo parroco. Anche in Chiesa aveva apertamente condannato i metodi estremisti del «far fuori la gente». Il processo si è già fatto, ma non è stato emesso alcun verdetto di condanna «per insufficienza di prove». E tutti, nella zona, conoscono gli assassini di don Luigi.

Abbattere tutti


  Poco più di sessant'anni aveva il canonico Giovanni Guicciardi, parroco a Mocogno quando fu freddato nel corridoio della canonica. «C'era proprio bisogno d'arrivare a questo?», sembra dicessero all’esecutore materiale i compagni, nel sopraluogo alla canonica dopo il delitto. «Tanto li dobbiamo ammazzare tutti i preti, quindi prima o dopo è la stessa cosa», avrebbe risposto l’assassino.
  Nel giugno 1945, una sera, il canonico Guicciardi ospitò in casa un gruppetto di persone cui offrì da bere e da mangiare. Volevano roba: i soldi e il grammofono. Il vecchio parroco cercò di tergiversare e di venire ad un accomodamento. Sembrava tutto finito, quando li accompagnava verso la porta per salutarli. Nel corridoio, uno lo freddò con due colpi di pistola alla testa. L’assassino, pochi mesi dopo, fu preso dai carabinieri e morì in una colluttazione tragica. Aveva ancora indosso la camicia del prete ucciso. Dal diario spirituale di questo santo prete è risultato che egli aveva offerto la sua vita al Papa durante la guerra per ottenere da Dio la pace.

  Nel solito tranello dell’assistenza a un moribondo cadde invece don Giuseppe Preci, parroco di Montalto. Un pretino modesto e arzillo, malgrado i suoi sessantadue anni. Dopo la Liberazione, una sera lo chiamarono per un ammalato. A pochi passi fuori della canonica fu freddato da una scarica di arma automatica. Fu lasciato sul sagrato fino all’indomani mattina. Si è pensato a motivi di interesse, forse a denaro andato alla parrocchia anzichè ad altri. Per un motivo così futile? Ma si aggiunga l’odio al prete, lussureggiantemente seminato dalle fazioni politiche estremiste, e questo delitto s'inquadrerà nella logica cornice disumana ed atea.

Non voleva morire


  «Quella carogna non voleva morire» si dice abbia pronunciato uno dei prelevatori di don Ernesto Talè, anche questi sessantaduenne, parroco di Castellino delle Formiche. Col solito tranello dell’ammalato che sta morendo lo invitarono la sera tardi, dopo la Liberazione, ad uscire. Non si sentiva tranquillo. Invitò il suo contadino con cui coabitava, ad accompagnarlo. Ma il contadino rifiutò. Si prestò la sorella. Uscirono dalla canonica e si introdussero in una stradicciola verso la casa dell’ipotetico ammalato. I particolari del delitto non si sanno. Sia don Ernesto che la sorella furono soppressi e sepolti. I cadaveri si trovarono solamente dopo vario tempo. Più che un colpo di arma da fuoco si dovettero usare maltrattamenti e sevizie contro il parroco vecchio, se uno dei sanguinari (la popolazione di Guiglia non è ignara delle cose) l’indomani fu sorpreso a dichiarare ad amici: «Quella carogna non voleva morire...». Ma il motivo di tanto odio? Il solito clima politico che aumentava i contorni anche alle più giuste richieste economiche fatte da don Ernesto.

  Che il parroco di Monzone, don Natale Monticelli, era stato fucilato a Bologna, l’Arcivescovo di Modena lo seppe da una semplice cartolina postale del cappellano delle carceri di San Giovanni in Monte. «Preghiamo per l’anima di don Monticelli», e, sotto, la sua firma e il timbro postale. Null’altro. Il cadavere non si è trovato. Probabilmente fu gettato in una fossa comune. Venne fucilato dalle «SS» tedesche. Poco più di trent’anni aveva, don Natale, quando lo presero nell’inverno del ]944 dalla sua parrocchietta di montagna nel comune di Pavullo. Una pattuglia di tedeschi si era presentata alla sua canonica per chiedergli dove stessero i partigiani. Don Natale smentì ogni sospetto, ma i tedeschi se lo presero come ostaggio. Durante il viaggio di ritorno avvenne una piccola sparatoria ed essi lo consegnarono al Comando tedesco di Modena. l’indomani veniva trasportato al carcere di Bologna e fucilato come ostaggio. Piccolo, di pelle scura, incrociò sul petto le mani e chiuse gli occhi davanti al plotone di esecuzione.

Per raccogliere un'agonia


  Della «Brigata Italia», partigiana, faceva parte don Elio Monari. Un giovane sacerdote pieno di brio, laureato alla Università Cattolica del Sacro Cuore, insegnante di lettere in Seminario, assistente della gioventù maschile dell’Azione Cattolica modenese. Nato nel 1913, quindi giovanissimo ancora. Già durante la guerra si era adoperato in favore degli ebrei e dei ricercati politici, nascondendoli nella sua chiesa di San Biagio a Modena. Avvenuto l’armistizio, ed essendo egli troppo qualificato per le sue idee antifasciste, andò nella zona montana della Farneta e si arruolò nella «Brigata partigiana Italia». Nell’inverno del 1944 in una scaramuccia coi tedeschi egli accorse ad amministrare i Sacramenti ad un suo partigiano, rimasto gravemente ferito. Senonchè, invece di fuggire subito dopo l'amministrazione sacramentale, si attardò con amore, per raccogliere l'agonia di questo ragazzo. Fu fatta. I tedeschi lo circondarono e lo fecero prigioniero nella zona di Monchio.
  Le ultime traccie sue le ha lasciate a Sant'Anna Pelago, dove fu visto passare tra i tedeschi. Poi più nulla. Ossia il mistero del martirio. Buoni indizi lasciano pensare ch'egli sia stato consegnato alla famigerata «banda Carità», perchè fosse fucilato.

  Anche don Giuseppe Donini fu ucciso dai tedeschi nella sua parrocchia di Castagneto. Fu ucciso proprio poche ore prima della ritirata definitiva. Aveva gli stessi anni di don Monari, un buon ragazzone. I tedeschi lo avevano fatto sfollare dalla canonica, dove si erano installati essi con il Comando tattico. Il povero don Donini dovette arrangiarsi alla meno peggio in un rifugio umido e malsicuro. Per due notti dormì in questo rifugio e la sera, precedente la terza notte, andò in canonica a chiedere ai prepotenti ospiti il permesso di poter prendere alcune coperte di lana dalla cassa. I tedeschi mugugnarono, e dopo averlo investito con male parole lo cacciarono fuori. Nel breve tratto fra Canonica e rifugio fu ammazzato da una scarica di pistole-machine, come fosse un volatile qualunque. Tutta la notte stette là, rovesciato nel suo sangue, mentre il fronte bellico si rendeva sempre più precario per i tedeschi. Infatti la mattina prima di ritirarsi mandarono ad avvertire alcune persone di Castagneto che «pastore essere morto», e se ne andarono.