La mia vita nel partito

    Che diranno i miei amici quando leggeranno questo opuscolo?
    Conosco già la loro risposta. Alcuni diranno: «Ha ragione, questa è la verità». Altri invece diranno: — «Ha preso chissà quanti soldi per scriverlo; è un venduto, ha fatto tutto per danaro».
    I necrofori che hanno redatto il comunicato della diciannovesima cellula della sezione Galanti del p.c.i., espellendomi per indegnità, dopo che io me ne ero già andato, hanno appunto parlato di pressioni e ricatti. Qualcuno ha detto: chissà quanti milioni ha avuto dai preti. E invece non ho avuto una lira da nessuno. Ho agito io da solo, senza essere spinto da alcuni. Sapevo, ancora prima che uscisse il comunicato del p.c.i., quale sarebbe stato il suo contenuto. Sapevo, che sarei stato espulso; dal partito comunista non ci si può dimettere, si è sempre «espulsi». Uno entra; ma quando, stanco, se ne vuole andare, non può. Bisogna che sia espulso e che dietro di lui siano dette le più orribili e offensive parole. Fino a ieri si è stati dei migliori, dei modelli per gli altri iscritti; oggi si diventa degli stracci umani, delle indegne persone, dei prezzolati.
    Bisogna stare nel partito comunista italiano per essere degli uomini onesti! Solo in questo caso si è degni di chiamarsi uomini!
    Il male del partito comunista è proprio di avere tra le sue fila molti onesti lavoratori in buona fede. Questi lavoratori rappresentano una grossa mina per il partito, una mina che scoppierà una volta che questi onesti lavoratori ragioneranno con la loro testa, e rifletteranno sul comunismo.
    I cervelli della grande maggioranza appartenenti al p.c.i. sono fermi. La propaganda ne ha arrugginito le rotelle. La propaganda, i discorsi comunisti son sempre quelli, pieni di luoghi comuni, di frasi fatte, che sulle masse fanno presa e incantano. È una propaganda che scende lentamente e in modo sempre preciso dalla direzione del partito alla federazione, da questa alla sezione, e infine alla cellula, che la trasmette alla base degli iscritti. Il solito discorso è quindi giunto nel cranio del semplice comunista con le identiche parole con le quali era uscito dalla testa della direzione. Il comunista scende quindi sulla piazza a fare la sua propaganda. Mai però che egli sappia di più di quanto gli dica il partito o di quanto affermino Stalin, Lenin, Togliatti. Sempre il comunista, quando non sa più cosa dire sulla realtà del giorno, inizia con una infinità di affermazioni dei maestri del marxismo, che bene o male si introducono nel discorso; oppure vengono sputate in viso all'avversario le solite minacce del giorno in cui si farà la rivoluzione.
    Il comunista non legge altro che la stampa del partito e non impara altro che quello che dice l'Unità e l'altra stampa comunista. Il partito ha condotto e conduce una grande campagna fra i suoi scritti contro la stampa cosiddetta «reazionaria». Ha inculcato nella loro testa che quella stampa vuole la guerra, la miseria e tutti i possibili cataclismi di questa terra. Esso ha talmente radicato nel cervello del povero lavoratore tali cose, che questi, odia in modo accanito quella stampa e chi essa rappresenta, o rappresenterebbe secondo il pensiero comunista. È libertà questa?
    Ogni uomo deve essere libero di scegliere le letture che crede, senza sentirsi offendere perchè legge l'Avvenire d’Italia o il Giornale dell'Emilia. Dove sono questi difensori di ogni principio di libertà, come si proclamano i comunisti?
    E la tanto sbandierata democrazia interna del partito dov'è? Quello che dice il partito, è legge. Nessuno può mettervisi contro. Un compagno che azzardi dire o mantenere un concetto contrario a quello del partito, viene subito richiamato; se egli non vuol saperne di quel richiamo e rimane nella sua opinione, si studia un provvedimento disciplinare.
    Oggi, siccome sono parecchi quelli che non vanno d'accordo in tutto col partito, non si prendono provvedimenti; ma essi son tenuti nel partito senza che si dia loro alcuna responsabilità.
    La tattica del partito è di portare nelle sue fila il più gran numero di cittadini, siano pur essi elementi di poca fiducia, non importa. Bisogna per ora portare il più gran numero di uomini lontano dalle ideologie borghesi. Fatta la rivoluzione socialista si farà l'epurazione (tipo Praga).
    Dov'è la democrazia, la libertà? Il partito dice così: tu devi dire cosi, altrimenti ti metti contro di esso.
    Per quanto riguarda la distribuzione delle cariche, vige il cosiddetto «centralismo democratico», come del resto per tutta la politica del partito. Quando si tratta di eleggere i comitati federali di sezione o di cellula, o i delegati ai congressi o convegni, i nominativi vengono sempre discussi e scelti in riunioni ristrette; poi presentati alla massa che li approva con voto palese. È il voto per alzata e seduta, con dichiarazione, se uno crede. È questo del resto il voto che alla Camera i comunisti richiedono o rigettano, secondo le circostanze, quando vi sono ordini del giorno, che possono essere sfruttati sulla piazza per attaccare la maggioranza governativa.
    Il voto segreto nel p.c.i. non esiste, perchè esso gioca brutti scherzi ai caporioni. Il tipo di votazione comunista vale anche per quasi tutti i sindacati che dipendono dal p.c.i., cioè la C. G. I. L.
    Questi esemplari di democrazia, della democrazia ne fanno le suole per le proprie scarpe.
    Io sono uscito dal partito appena ho rimesso in moto la mia testa. Da parecchio tempo meditavo. Certe ingiustizie entro gli organismi comunisti mi hanno fatto ragionare. Troppo grande ho trovato la distanza tra i dirigenti e la base del partito. Distanza in senso democratico e in senso economico. Ho sostenuto delle grandi battaglie contro il prepotere dei dirigenti, sono intervenuto parecchie volte a denunciare in riunioni o convegni la scarsa, o per dir meglio l'assoluta mancanza di democrazia dei dirigenti verso i semplici compagni, e la grande differenza dei salari fra direzione e base. La Federazione comunista di Bologna ha alcune mie relazioni scritte su questi fatti. I dirigenti federali sanno che non sono bugie, ma verità, e sanno soprattutto che quelle relazioni sono il frutto di denunce fatte da semplici compagni a me, loro segretario.
    Provino a smentire ciò che dico. Sono in possesso delle copie firmate, non solo da me ma da altri che sono tuttora iscritti al p.c.i. e per di più dirigenti. Le ingiustizie sociali, compiute verso i lavoratori da coloro che si proclamano i loro strenui paladini e difensori, hanno creato in me uno stato d’animo nuovo, non più d’accordo con certi dirigenti del partito. Ho atteso. Aspettavo che gli organi superiori intervenissero a modificare la situazione. Ho cosi continuato la mia attività, lavorando sempre onestamente e sinceramente. Tutti lo riconoscevano, benché nessuno mi imitasse.
    Nel 1948 per la forte attività data alla campagna elettorale caddi ammalato e fui ricoverato in un sanatorio per interessamento del partito. Fu quello il periodo degli elogi più grandi ricevuti dal partito. Nonostante ciò, quando dovetti rientrare al lavoro, incontrai delle difficoltà per riavere il posto di lavoro alla cooperativa. L'intervento di un dirigente della federazione, Bruno Tubertini, ora defunto, fece sì che mi riprendessero. Un amico mio, che era allora dirigente della cooperativa, riferì che in consiglio era stato detto che un t.b.c. come me era meglio non averlo fra i piedi! Questa fu la bella ricompensa per essermi ammalato per il partito.
    Ripresi a lavorare, nonostante ciò, per il partito, riassumendo la carica di segretario di partito, non badando a tutto ciò che si era detto e fatto contro di me.
    Nel 1949 ricaddi di nuovo ammalato. Dopo due mesi di ospedale uscivo quasi rimesso. Avevo però necessità di un altro mese di riposo. Fu mio fratello Walter, che, da buon fratello e da buon cattolico, fece di tutto per mandarmi un po’ in montagna. Andammo insieme ad Alba di Canazei, affittando una stanza nell’albergo dell’Onarmo di Bologna.
    È stato a Canazei che, a contatto con lavoratori che non la pensavano come me, ho potuto fare un attento esame della mia persona. Trovai questi lavoratori tanto diversi dagli altri, affratellati tra loro. I loro modi erano gentili. Si avvicinavano con devozione alla Chiesa, e recitavano le loro preghiere. Nessuno mai mi chiese perchè non andassi a Messa. A Canazei nel '49 risentii, dopo tanti anni, qualcosa in me. Risentii la voce di Dio che mi diceva: ritorna, vieni di nuovo a Me. Fu quella una cosa di breve durata, che però rimase impressa nel mio animo.
    Ritornato a Bologna, ripresi l'attività di partito, e dimenticai Canazei. Qualcuno che mi voleva bene sperava già allora che ritornassi alla fede.
    Non fu così. Altre prove ci volevano per dirmi: Dio c'è e ti aiuterà.
    Ciò avvenne questa estate, quando, per contrasti coi dirigenti della cooperativa, rimasi senza lavoro. I lavoratori furono tutti con me e contro la direzione dell’organismo. Per iniziativa di alcuni compagni, fra i quali alcuni dirigenti, fu fatta una petizione, firmata da tutti i lavoratori, affinchè ritornassi al mio posto di lavoro. Quando la cosa venne a conoscenza del segretario della mia sezione, egli intervenne per eliminare la petizione. In questo modo, egli disse, non si risolve il problema. Però il problema si risolveva, lasciandomi lontano da quei lavoratori, che mi volevano bene, mi stimavano e mi seguivano su una strada di effettiva democrazia e libertà.
    Richiamato dalla federazione del partito, mi fu detto che là non potevo più tornare, perchè vi era una situazione che io non avrei risolto. In verità ero un po’ settario e troppo impulsivo. Ma questi mali li aveva creati in me il partito stesso!
    Ripiegai alla sezione ove ero capo della commissione stampa e propaganda. Dedicavo, tutto il giorno e la sera fino a tardi, la mia attività al partito. Durante le manifestazioni anti-Ridgway fui arrestato, processato e condannato a quindici giorni di carcere. Uscito dal carcere venni a conoscenza che a termini di legge avevo perduto il sussidio di disoccupazione. Feci presente ciò al mio segretario di sezione e ad altri dirigenti. Ma questi avevano solo parole di compassione. Essi conoscevano bene le mie condizioni. Ero solo, senza aiuto di alcuno. Mai che mi abbiano chiesto se avessi bisogno di danaro. Si limitavano a darmi un buono per consumare un pasto al ristorante popolare. Niente di più.
    I miei compagni venuti a conoscenza della mia situazione, fecero di tutto per aiutarmi. Venivano in sezione ogni tanto con somme considerevoli, e mi dicevano: «Non dir niente al segretario». Sembrava quasi che il partito avesse dato delle direttive, perchè non fossi aiutato.
    Un compagno, vicino ai dirigenti, vedendomi sempre oscuro e preoccupato, un giorno mi disse: «Dante se vuoi salvarti lascia il partito, perchè questa gente vuoi vederti spegnerti come un lumicino».
    Tutto questo insieme di cose mi portò a ragionare di più, a meditare. Alla sera tardi, quando ritornavo a casa, nel cortiletto della mia abitazione, sentivo una voce che parlava e mi diceva: «Che hai fatto oggi? che hai detto? perchè non ti liberi da tutto quel peso?».
    Mi trovavo contro il muro, ed ascoltavo con paura la voce della mia coscienza. Molte sere in casa, prima di andare a letto, mi accorgevo di essermi fatto il segno della croce, e di dire qualche orazione. Tante volte piangevo e non sapevo perchè. Chi mi parlava, era la stessa voce che avevo sentito a Canazei; ora mi guidava la mano a fare il segno della croce e mi faceva piangere. Era il mio Angelo custode. Era Dio che mi richiamava a Sé. E questa volta per sempre.
    Alla domenica sentivo il vangelo per radio. Erano parole nuove, parole di amore e di pace che entravano nel mio cuore, e cacciavano dalla mia mente i pensieri di odio che avevo bevuto nel partito.
    Non sapevo cosa fare. Eppure dovevo agire. Ho continuato a dare la mia attività al partito in modo più fiacco. Ero stanco.
    Durante le feste di Natale espressi a persone intime il mio stato d’animo. Queste mi risposero appena esprimendo il loro dispiacere per quanto soffrivo. Non mi fecero pressioni, ne mi ricattarono. Fui io a chiedere se era possibile parlare con un sacerdote. Avevo già rotto col partito. Infatti all’indomani mattina dovevo andare alla riunione del comitato direttivo della sezione e non ci andai. Andai invece dopo tanti anni a Messa in S. Petronio. Alla sera mi recai alla predica di P. Lombardi sull’esistenza di Dio.
    Poi ottenni un colloquio con lo stesso P. Lombardi. Ero andato per chiedere un consiglio; ma, appena dette alcune parole, avevo già deciso io: basta col comunismo!
    Ora finalmente sono felice e libero, ora mi sento nella verità, nella luce. Questa verità, questa luce è Dio.