Terza udienza

(martedì 22 maggio, ore 10)

    Questa seconda giornata è ancora interamente dedicata all'audizione dei testimoni. Le deposizioni di qualcuno fra essi sono di importanza eccezionale e sono altrettanto interessanti delle più sensazionali testimonianze udite al processo Kravchenko ed in quello di David Rousset.

Un russo, vittima e amministratore dei campi

    Il primo teste è il russo M. L. Golubovitch, nato a Minsk (Russia bianca) nel 1915. Figlio di un sarto, Golubovitch fece parte della Gioventù comunista (Komsomol).
    La sua origine, puramente proletaria, gli diede accesso agli studi di diritto. Nominato nel 1934 segretario del Collegio speciale del tribunale supremo di Biélorussie, egli fu arrestato l'anno seguente perché la persona che si era fatta garante per lui onde appoggiare la sua candidatura al posto di segretario, era stata, accusata come nazionalista e «nemico del popolo». Condannato, a porte chiuse, a cinque anni di reclusione dalla N.K.V.D. (polizia) il teste fu dapprima detenuto, dal 1935 al 1939, a Bamlag (campo della regione Baikal-Amour, in Siberia) ove ebbe il privilegio di fare l'ispettore dell'amministrazione.
    Nel 1939 e 40 passò nel Bourlag da dove fu liberato allo scadere della sua pena. Fu obbligato quindi a lavorare volontariamente per la N.K.V.D. fino al momento di essere mobilitato. Tenente dell'Armata rossa fu ferito e fatto prigioniero dai tedeschi.
    La sua testimonianza, come Rousset mette in rilievo, riveste una importanza particolare per il fatto che egli ha potuto osservare i sistemi dei campi di concentramento prima come amministratore, poi come vittima. Per quel che concerne il campo di Bamlag, nell'epoca in cui il teste vi è passato, questo si stendeva su 1.500 Km. e contava mezzo milione di prigionieri, divisi in 24 sezioni composte ognuna di una cinquantina di colonie, equivalenti ai Comandos nei campi nazisti. Quello che è caratteristico è che i detenuti sono amministrati da altri detenuti che sono responsabili davanti alla N.K.V.D..
    La mortalità nei campi, dovuta al freddo, alla fame e alle cattive condizioni di alloggio, è molto elevata. Quanto al carattere per così dire «rieducativo» dei campi, il teste porta la prova formale che in realtà non si parla affatto di rieducazione e presenta al tribunale un'edizione del Codice Penale sovietico contenente la legge del 7 agosto 1932 nella quale, a piene lettere, si tratta dei campi di concentramento.
    Il teste cita quindi l'ordine segreto della N.K.V.D. «100-ja» (1936), che regola il regime interno dei campi. È soprattutto raccomandato ai guardiani della N.K.V.D. di entrare in contatto con la popolazione indigena (nomadi asiatici) per esigere la consegna delle teste tagliate dei fuggiaschi dai campi, contro ricompensa in danaro od altro. Questo particolare mostra da solo l'inumanità di un sistema per il quale il 3° settore d'operazioni della N.K.V.D. (che è una specie di super N.K.V.D. ed è generalmente noto con la cifra «III») ha diritto di vita e di morte sui detenuti ed anche sui «liberi» lavoratori dei campi. Questo 3° settore può allo stesso modo prolungare la durata della pena dei detenuti, diritto di cui fa ampio uso.
    M. L. Golubovitch descrive inoltre il lavoro dei «troikas» della N.K.V.D., la cui funzione è di pronunciare i giudizi al di fuori della presenza degli accusati. Egli cita un capo di «troikas», particolarmente noto, un certo Déribass, che fu a un dato momento capo supremo della N.K.V.D. nell'estremo oriente sovietico, e che giocava la testa dei detenuti a «testa o croce» con pezzi da 10 copeki: se la cifra 10 compariva erano 10 anni di lavori forzati, altrimenti era la pena capitale.
    Passando alla questione dei detenuti minorenni il teste precisa che questi sono passibili della pena di morte solo a 18 anni ma che, per intimidirli, l'N.K.V.D. può condannarli all'età di 12 anni eseguendo la sentenza solo quando avranno raggiunto la maggior età penale richiesta. D'altra parte è nei campi di delinquenza minorili che si reclutano generalmente i futuri guardiani della N.K.V.D..
    Il sistema dei campi di concentramento provvede così al proprio bisogno di carnefici e guardiani.
    Una volta liberato il detenuto dei campi può soggiornare solo nella propria città di origine e in 12 o 46 altre località: in ogni caso il luogo di residenza gli viene assegnato d'ufficio. Poiché gli è quasi impossibile trovare lavoro finisce molto spesso per essere arrestato una seconda volta per vagabondaggio e rientrare a questo titolo in un campo.
    Questo gioco di va e vieni può continuare indefinitamente.
    Si crea così nella Russia sovietica una categoria a carattere permanente e per così dire normale: un mondo di detenuti in libertà ma privati praticamente di ogni diritto. Questo fenomeno, sottolinea Rousset, è molto importante e caratteristico.
    Prima di togliere la seduta viene chiesto al teste per quale motivo non sia tornato nell'U.R.S.S. dopo la guerra. Egli replica che non si ritorna volentieri in una prigione e l'essere stato fatto prigioniero dai tedeschi è considerato in Russia alto tradimento punibile con la pena capitale.