Parte seconda

Nel regno dei fatti

Taylorismo

    Il capitalismo quale lo si attua modernamente è agganciato al progresso tecnico-industriale, al macchinismo. Oltrepassandone la definizione, ma restando sempre nel suo campo d'azione, si può dire che il capitalismo è uno sforzo continuo di aumentare la produzione: produrre sempre di più. Perché? Forse alla origine di questo slancio produttivo ci sta la inconscia ricerca di una sempre maggiore felicità. Ci si troverebbe così di fronte ad una conseguenza logica del laicismo liberale, con la pretesa di considerare la terra non come una «valle di lacrime» ma come una casa di piacere. Il capitalismo tende ad accrescere la produzione come unico mezzo efficace per accrescere l'utile del padrone al quale sarà così permesso la ricerca di un piacere sempre più raffinato.
    Naturalmente lo sforzo di accrescere la produzione spinge al perfezionamento dei sistemi di produzione, e tale perfezionamento tocca un duplice elemento: la macchina e l'uomo. Perfezionare i macchinari è l'assillo continuo di ogni datore di lavoro. E perfezionare l'uomo? Parrebbe una opera buona questa. Ma si tratta di perfezionar l'uomo in quanto mezzo di produzione e non in quanto uomo. Può darsi perfino che il perfezionamento del lavoratore in quanto uomo rischi di aumentar sì la produzione ma di diminuire l'utile del padrone.
    Tra i tanti metodi di ricerca di aumento produttivo è noto il Taylorismo. Taylor, colui che lo pensò, ha proposto un metodo di organizzazione scientifica del lavoro. Organizzare scientificamente un lavoro significa regolarlo in maniera che ogni atto, ogni movimento delle macchine e del lavoratore rispondano direttamente e nel migliore e più rapido dei modi al fine da ottenere. In un esempio pratico supponiamo di dover organizzare scientificamente il lavoro in una officina meccanica ove si costruiscano i motori FIAT. Seguendo i principi del Taylorismo io padrone prendo 15-20 operai specializzati in tale attività e, mentre attendono accuratamente al loro lavoro, ne studio la successione dei movimenti elementari e gli utensili adoperati. Studio e misuro al cronometro la durata di tali movimenti per ognuno dei 15-20 operai specializzati. Naturalmente ognuno di essi, per fare il medesimo lavoro, compie gesti diversi da quelli compiuti dai suoi compagni. Orbene io osservo e misuro la durata dei singoli gesti. Ne risulterà un elenco di gesti di durate leggermente diverse per produrre lo stesso lavoro. Allora io elimino tutti i gesti o movimenti che comportano un tempo maggiore e scelgo quel movimento che cronometricamente mi è risultato il più rapido, eliminando nel contempo tutti, assolutamente tutti i movimenti che non sono necessari al compimento del lavoro. Otterrò così una successione di movimenti che rappresenteranno i soli movimenti indispensabili, e fatti nella maniera la più rapida possibile. Costruito così il quadro dei movimenti migliori, lo imporrò a tutti gli operai che lavoreranno nella mia fabbrica dotandoli degli strumenti più atti.
    È naturale che non tutti gli operai produrranno ugualmente, poiché, sia la volontà che le possibilità fisiche sono differenti in ogni individuo. A ciò tuttavia corrisponderà un salario minimo per chi produrrà il minimo necessario ed un aumento proporzionale a chi produrrà di più.
    Non ci si sente, in questa seconda parte, una stretta parentela con lo Stakanovismo russo? Taylor stesso applicò il suo sistema scientifico di produzione nella Compagnia Bethleem Steel ne ottenne il seguente quadro:

Prima del Taylorismo Col Taylorismo
Salario di un operaio fr. 5,75 fr. 9,40
Prezzo di costo per la manutenzione di una tonnellata di materiale fr. 0,36 fr. 0,16
Personale adibito N. 8.000 N. 2.700

    Non è difficile capire la veracità di un tale principio taylorista. Chi non vede che su dieci o venti maniere di compiere un atto o una successione di atti ve n'è una che è certamente migliore e più rapida delle altre? Teoricamente pertanto il Taylorismo non è da rifiutarsi. Se però si osserva che in pratica esso tende a uccidere l'uomo nell'uomo per farne una macchina automatica, non più libero neanche nella scelta dei suoi movimenti; se si considera che esso non lascia posto alla collaborazione intellettuale e psicologica del lavoratore atrofizzandone così progressivamente la volontà; se si pensa ancora al facile rischio di uno sfruttamento eccessivo (il padrone, cifre e cronometro alla mano, stabilirà quale sia il lavoro minimo da fare) e anche — nello stato attuale della vita nazionale — alla diminuzione degli impiegati e quindi al conseguente aumento dei disoccupati, allora ci si accorge dei non pochi lati negativi del Taylorismo. D'accordo, esso rientra perfettamente nel sistema economico del Capitalismo, ma rischia di esserne quasi inevitabilmente una applicazione ingiusta.

Anche la cultura dei lavoratori è pericolosa

    Parlando del lavoro al servizio del Comunismo accennavo alla ignoranza delle masse lavoratrici quale elemento necessario per la vita del Comunismo. Ora riferendomi anche all'accenno, fatto poco sopra, sulla possibilità che il miglioramento del lavoratore in quanto uomo possa essere controproducente per il datore di lavoro, riporto il pensiero di un americano al riguardo.
    Philip A., in base ai risultati di una inchiesta scrive: «L'intelligenza d'un operaio è oggi uno svantaggio nella lotta per la vita. È interessante notare, al caso, i risultati di un'inchiesta fatta dal Prof. Scott sulle relazioni esistenti tra la scontentezza degli operai (n. b. la scontentezza del lavoratore è causa evidente di rendita diminuita) e la loro intelligenza». Il Prof. Scott adottò il seguente modo di misura: la scontentezza era misurata in base alla instabilità volontaria d'impiego (turnover), e l'intelligenza in base al successo riportato dagli operai al loro passaggio alla scuola pubblica. Ecco il risultato dell'inchiesta: in una fabbrica di attrezzi per gli operai qualificati i meno intelligenti si aveva un turnover (ergo una scontentezza, ergo un rendimento scadente) dell’89%; per gli operai di intelligenza mediocre il turnover toccava il 60%, mentre per gli operai intelligenti esso toccava l’80%. Da questo quadro delle percentuali risulta alla evidenza che gli intellettualmente mediocri sono gli operai più soddisfatti, dunque i più redditizi.
    Che se la statistica è vera anche in generale, bisognerà pure concludere che anche il Capitalismo corre sullo stesso piano del Comunismo per ciò che riguarda la cultura della massa lavoratrice: i lavoratori più utili saranno quelli che sono intellettualmente mediocri.
    Una conclusioncella si potrebbe forse raccogliere, e sarebbe questa: se abitualmente il livello intellettuale del lavoratore in regime capitalista è certamente più elevato di quello del lavoratore in regime comunista, non per questo è necessario dedurne che il Capitalismo ha in ciò tendenze più umane. Può darsi infatti che tale elevamento del livello intellettuale del lavoratore in regime capitalista sia ricercato come miglior mezzo di produzione e non come conquista cui l'uomo lavoratore ha diritto in quanto uomo. Sono parole che sembrano un pochino dure, ma fra l'egoismo umano sono troppo spesso presenti i secondi fini perché sia sufficiente ignorarli per far sì che non esistano. Ne concluderei pertanto ancora una volta che in regime capitalista l'assenza di un principio etico-religioso eternamente valevole è all'origine di tutto un susseguirsi di situazioni teoricamente anche giuste (in potenza), ma praticamente ingiuste (negli effetti).

Perfino la musica mezzo di sfruttamento

    Capita a tutti di avere degli amici. Io avevo un amico che era proprietario di una «sartoria» colossale. Trecento, se ben ricordo, erano le sartine che lavoravano alle sue dipendenze. Una grande sala le raccoglieva tutte, scaglionate in successione progressiva lungo la linea convenzionale seguita dagli oggetti, confezionati nella loro corsa dall'inizio al compimento. Quel mio amico ci viveva bene, molto bene, sul rendimento della sua impresa. Tanto bene che lui ormai non lavorava più: dirigeva. Un giorno Silvano, poiché lui si chiamava Silvano, fece un esperimento. Installò un impianto di diffusione nella sala ove lavoravano le sartine e cominciò a trasmettere musica. C'erano le sartine che n'eran folli: un padrone così non lo avevano incontrato mai: perfino la musica. E mica una musica triste e patetica, no, no, ma della musica vivacissima; ballabili vertiginosi così che le prime volte loro facevano fatica a seguirla. Silvano era dunque una persona tanto per bene? Mi raccontò la sua trovata. Dal suo ufficio, trasmettendo musica patetica e triste, egli aveva notato che il rendimento delle sartine diminuiva in rapporto al rendimento normale; trasmettendo invece dei ballabili a ritmo indiavolato, le sartine rendevano molto di più. Gli accadde così, per puro caso (!), di aumentare le sue entrate, aumentando la produzione, senza pertanto aumentare la paga alle operaie: le quali erano tanto contente — diceva proprio così Silvano — tanto contente di avere musica durante il lavoro.
    È, questo, un fatto musicale che tradisce uno spirito di lucro pauroso. Silvano non esitò a spersonalizzare le sue dipendenti pur di accrescere il suo guadagno. Appare infatti chiaro che le giovani sartine si sentissero come invase dal ritmo loro imposto dalla musica scelta dal padrone. Le loro mani moltiplicavano le mosse non più guidate e regolate dal loro libero arbitrio, sibbene, con diabolica astuta manovra, spinte dalla volontà del padrone, il quale le legava alla scelta della musica da trasmettere.
    È questo un caso estremo, in cui la cupidigia del padrone s'associa all'astuzia sì da approfittare delle sue dipendenti lasciando loro addirittura la convinzione di ricevere un trattamento di preferenza. Senza raggiungere questo limite, perfino umoristico, resta pur vero che la sete della sovrapproduzione porta inevitabilmente all'automatismo dei lavoratori e, pertanto, alla loro spersonalizzazione.

La sensualità mezzo di sfruttamento

    A guardar la lista dei salari passati ai lavoratori ci si accorge subito che essi non possono essere contenti. Il liberalcapitalismo è la ricerca della superproduzione per il superutile a fine del superpiacere. Ora anche i lavoratori in regime capitalista sentono la magica attrattiva del piacere. Lasciarli insoddisfatti significherebbe farne degli scontenti oggi e dei rivoltosi domani. È così che nel gioco liberalcapitalista c'è posto anche per le donne pubbliche da 60 lire per gli operai; essi del resto non potrebbero spendere somme maggiori. Che anzi bisogna eccitarla la sensualità della massa, la sensualità bruta. Nella soddisfazione illimitata della sua sensualità si spegne nell'operaio sfruttato tutto quel cumulo di scontentezza provocato dalla sua misera posizione economica; esso si adatta a ridurre la sua vita ed i suoi desideri attorno a questi sbiaditi piaceri di facile conquista, rinunciando alla durissima lotta di chi vuol fare trionfare la giustizia anche contro la volontà dei signori. Non è difficile capire che se la massa operaia fosse meno schiava dei sensi, i sonni grassi degli sfruttatori resterebbero meno tranquilli. È esperienza di tutti i paesi ormai: uno spettacolo un poco «spinto» ( = indecente) basta a smontare la testa anche ai più facinorosi.
    Ebbene la situazione dal punto di vista pratico morale, non è peggiore in Russia sotto il Comunismo che in Occidente ove è il liberalcapitalismo che comanda. La ormai dimenticata «Società delle Nazioni» nel 1936-37 faceva una inchiesta sulle pubblicazioni immorali. Prendendo la Francia come paese ove il laicismo tocca i vertici, si ebbero i seguenti risultati:
    a) tra le produzioni straniere interdette o requisite in Italia in ragione del loro carattere immorale, i sei settimi dei libri ed i tredici quindicesimi dei settimanali e riviste erano di provenienza FRANCESE;
    b) in Inghilterra 439 pubblicazioni pornografiche su 546 requisite venivano dalla FRANCIA;
    c) il Belgio negò il permesso di importazione a 190 pubblicazioni licenziose di cui 145 di origine FRANCESE.
    Per mezzo della ubriacatura del piacere i padroni tentano di far dimenticare allo sfruttato la sua misera situazione. Certo a lungo andare la manovra può diventare controproducente, in quanto la immoralità conduce a l'ateismo, e l'ateismo più la miseria, in determinate condizioni sociali-politiche, porta alla esplosione della rivolta. Resta tuttavia provato che un audace rivoluzionario può difficilmente venire da una casa di prostituzione. I veri rivoluzionari, i più pericolosi, quelli che hanno serie probabilità di riuscita, sono coloro che sono abituati ad una vita di rinuncia e di sacrificio. Come sul campo di battaglia solo i caratteri personalmente pronti al sacrificio sanno perseverare nel tormento della trincea o dell'assalto, così sulle strade delle Rivoluzioni molto più numerosi sarebbero i trofei se i rivoluzionari fossero stati sempre e in massa uomini austeri e di rinuncia.
    Lo schiavismo che il totalitarismo rosso impone con la forza e con la legge, il Libercapitalismo lo impone con l'astuzia, sfruttando le più basse tendenze dell'uomo.
    La giustizia sociale mica è il bene integrale, tutto il bene; essa fa parte del bene dell'uomo e della società. Ci sono però altri elementi che giocano un ruolo determinante, per la loro influenza reciproca, sulla giustizia sociale. Inschiavire il lavoratore per mezzo di una legge esplicita (Comunismo) è più facile ma molto più rischioso; inschiavirlo aggirandolo con legami di libertà apparente è meno rapido ma meno rischioso. Il liberalcapitalista ha scelto la seconda strada. Così che raramente si troverà un solo articolo nella legislazione di un qualsiasi Stato a regime liberalcapitalista, il quale sia contro il lavoratore; la realtà però rimane da troppi anni così ingiusta verso il lavoratore che non è più possibile negare la deleteria influenza sociale della esagerata esaltazione della libertà. Bisogna convenirne: la parola libertà — di cui la giustizia sociale è conseguenza e causa — è stata così bistrattata ormai, nei paesi a regime liberalcapitalista, che non differisce gran che dal significato che essa ha nei paesi totalitari. Le libertà che (a differenza dei paesi Comunisti) esistono nei paesi a regime liberalcapitalista hanno tutta l'aria d'essere dei surrogati della libertà vera. Scrivere sulla stampa le proprie critiche al Governo è una gustosa libertà. Aver diritto di dissentire dal Governo è anch'essa una libertà. L'operaio, in regime liberalcapitalista, le ha queste libertà; ma esse si risolvono in una atroce ironia quando si constata che egli (l'operaio) non è libero in pratica di scegliersi effettivamente una vita decente in una società ove pullulano gli scialacquatori di biglietti da mille.
    È forse opportuno richiamarlo qui che la libertà è legata alla giustizia sociale. La reciproca circolazione del beneficio dell'una aumenta quello dell'altra. Senza libertà non v'è giustizia sociale; senza giustizia sociale non v'è libertà.

Un fatto pratico in un paese a regime capitalista

    Colui che compie un lavoro e vive di esso è lavoratore. Sono quindi lavoratori, per esempio, anche i maestri e i professori delle scuole. Orbene consideriamo la situazione delle scuole in Francia. La Francia indubbiamente è il paese più liberalcapitalista del mondo. Tra gli altri principi essa ha adottato quello della liberté - égalité. Siccome però ogni Stato ha necessariamente una vita in comune, anche la Francia ha delle leggi che regolano tale vita in comune. Per ciò che riguarda il campo delle Scuole lo Stato Francese provvede alla scuola pubblica attraverso le tasse che ogni cittadino deve pagare. Gli è che nelle scuole pubbliche si educano i bimbi in un agnosticismo laico il quale è, per ciò stesso, contro la religione. Tutte le famiglie quindi che sono religiose (cattoliche, cristiane o d'altre religioni) e che vogliono educare i loro bimbi secondo i propri principii religiosi, sono obbligate di fatto ad avviarli alle così dette scuole libere. La scuola libera è la scuola che non è sovvenzionata dallo Stato. Avviene così che le famiglie religiose per poter educare religiosamente i loro figlioli, debbono sobbarcarsi le spese del mantenimento delle scuole libere. La qual cosa significa semplicemente che tali famiglie sono costrette a pagare le tasse scolastiche due volte: una volta allo Stato per la scuola pubblica, ed una seconda (e più cara ancora) per il mantenimento delle scuole libere. Gli insegnanti poi delle scuole libere non hanno alcun diritto a pensioni di vecchiaia ecc. ecc.
    Tale situazione è pienamente logica nella concezione liberale dell'assenza di Dio dal mondo. In pratica peraltro si tocca con mano, da un lato la ingiusta diversità di spese cui sono sottoposti i cittadini francesi, dall'altro la pure ingiusta retribuzione del medesimo lavoro. Il Cardinale Saliège, di Toulouse, in una vibrata protesta pubblica, affermava che i professori della scuola libera sono veramente i proletari della scuola, gli sfruttati da una legge vestita di parole di libertà, ma animata e applicata con una differenziazione spudorata.
    Nel caso tipico della scuola, tutto il disordine sociale deriva dal considerare l'uomo come un qualunque altro corpo. Di modo che educarlo ateamente equivale ad educarlo liberamente. Siccome però l'uomo ha anche uno spirito, ne segue che educarlo ateamente equivale ad educarlo contro ogni religione. L'uomo non è una macchina in cui oggi si possa introdurre un qualunque combustibile senza alterarne la struttura. Educare l'uomo senza Dio vuol dire inevitabilmente educarlo contro Dio. La libertà sbandierata non è quindi altro che una chimera; e la realizzazione pratica è una flagrante ingiustizia nel campo del lavoro. Ho detto in altra parte che il codice dei paesi a regime liberalcapitalista è assai umano nelle sue enunciazioni. Nella vita pratica però la uguaglianza della retribuzione per il medesimo lavoro non esiste. E il sarcastico si è che tale ingiusta differenziazione si fa proprio in nome della uguaglianza. Assistiamo in pratica ad una reale svalutazione della libertà nel campo del lavoro.
    L'arte subdola dei liberalcapitalisti che insistono sulla miseria obbrobriosa dell'operaio sotto il Comunismo per far credere che con loro l'operaio sta bene, denuncia in definitiva la coscienza che essi stessi hanno della pochezza intrinseca del loro sistema. Non hanno infatti dei dati di benessere positivi e di giustizia da presentare; si accontentano di presentare dei fatti che sono meno inumani di quelli realizzati sotto il Comunismo.
    S. E. Mgr. G. Piguet, Vescovo di Clermont-Ferrand, si esprime in termini assai duri: «Lo Stato farà la figura di un tiranno e finirà per perdere ogni stima, la qual cosa è un grande male sociale, se egli stesso non sarà l'autentico difensore ed il pioniere di ogni giustizia sociale, di cui la giustizia scolare fa parte». La legislazione FRANCESE in materia di giustizia scolare conferma del resto le parole che ho riportate.

Neanche il salario minimo

    Il 20 marzo 1951 la Camera Francese affrontò ancora una volta la questione salariale per gli insegnanti laici nelle scuole dell'insegnamento privato. È noto che la scuola libera (= insegnamento privato) conta, fra i suoi professori e maestri, sia dei Religiosi e delle Religiose che dei Laici. D'altra parte non solo i cattolici seguono e sostengono l'insegnamento libero, ma tutti coloro che vivono secondo l'insegnamento di una qualche religione.
    Nella seduta del 20 marzo 1951 dunque il deputato democristiano (MRP) P. H. Teitgen a nome del suo gruppo e dei deputati Ribeyre (Contadino), Temple (Indipendente), Xavier-Bouvier (PRL), presentò due emendamenti così concepiti:
    «Contribuzione alla garanzia del salario minimo interprofessionale dei maestri laici dell'insegnamento privato. A titolo provvisorio, i maestri laici degli Istituti dell'Insegnamento privato legalmente aperti, i quali insegnino a orario completo in tali Istituti, hanno diritto ad una indennità mensile uguale alla differenza del trattamento mensile che ricevono i maestri occupanti le loro stesse funzioni durante l'anno 1949-50, ed al salario mensile inter professionale garantito applicabile nel luogo del loro lavoro». È da notarsi che Teitgen, presentando il suo emendamento, si riferiva alla legge 11-2-50 sul «salario minimo garantito». Egli sottolineò che la sua proposta tendeva esattamente a rendere reale e vivente tale legge per ciò che riguarda i maestri dell'insegnamento libero. Maestri che sono malamente pagati. Essi sono (esclusi i Religiosi e le Religiose che non sono contemplati dall'emendamento) circa 10.000 (diecimila) ed assicurano l'insegnamento ad oltre un milione di allievi. Lo Stato d'altronde, per mancanza di edifici scolastici e di maestri non è, né lo sarà per molti anni ancora, nella possibilità di sostituirsi ad essi. L'on. Teitgen concluse la sua perorazione dicendosi convinto che tale proposta certo era solo una soluzione provvisoria e inadeguata, ma che a proporla l'aveva spinto l'estrema miseria degli interessati.
    In uno Stato ove il Codice afferma la libertà e l'eguaglianza di tutti i cittadini, ove una legge dell'11-2-50 garantisce il salario minimo a tutti, non doveva neanche esserci bisogno di un tale emendamento, in quanto, secondo la lettera del codice, non dovrebbe esistere lo squilibrio denunciato. Tuttavia, messo ai voti, l'emendamento fu respinto con 304 voti contrari e 277 favorevoli (contro: Comunisti 167, Progressisti 9, Socialisti 98, Indipendenti di oltre mare 3, Radicali 22, Un. dem. socialista della Resistenza 4, Div. 1; in favore: MRP 143, Indip. d'oltre mare 3, Gruppo per le libertà democratiche 3, Radicali 10, Un. dem. soc. della Res. 6, Contadini 22, Rep. Indip. 24, Partito Rep. per la libertà 27, Sinistra indip. 3, Un. dem. degli Indip. 7, Rep. popolari Indip. 6. Azione dem. sociale 18, Diversi 4).
    Con questa votazione il salario dei maestri dell'«Insegnamento libero» è stato lasciato al disotto del livello minimo: e questo in un paese Liberalcapitalista e di tradizione democratica, ove la legge garantisce a tutti il salario minimo.
    A Toulouse, il venerdì 30 marzo 1951, in occasione del Congresso Nazionale dei maestri dell'«Insegnamento libero» ascoltai anch'io, nell'Aula Magna dell'Istituto Cattolico, i sigg. Larroze e Voiturier, esposero calmi ma fermi, davanti ad una massa dilagante e commossa e indignata, la situazione economica e salariale cui erano costretti gli insegnanti della Scuola privata, e logicamente anche le loro famiglie.
    Quale differenza reale di fronte allo schiavismo sfacciato degli stati totalitari e comunisti?

La nazionalizzazione

    Nei paesi a regime capitalistico, l'aumentato numero dei lavoratori ed il fatto che essi hanno presa coscienza della loro situazione e della loro forza, hanno spinto i capi dello Stato a cercare taluni rimedi contro il mal uso del capitale. Si tenga ben fermo, fin d'ora, che il rimedio più bello resterà ad uno stato rachitico di surrogato se esso non tenda a curar la radice del pensiero laicista che è alla base del liberalcapitalismo. Il tragico si è che perfino essi, gli sfruttati, si sono rivolti alla ricerca delle loro rivendicazioni ponendosi al di fuori del piano d'una legge universale ed eterna, quindi divina. Nulla può meglio fare gli interessi del liberalcapitalista anonimo che il restare fuori dall'orbita di una giustizia immutabile e sovraumana. Quello che un padrone intimamente cristiano sentirebbe il dovere di dare ai suoi dipendenti, non lo daranno mai e poi mai gli innumerevoli tentativi di compartecipazione o di nazionalizzazione. Come non sorridere per esempio di commiserazione di fronte ad un governo inglese, nazionalizzatore all'interno e feroce oppositore della nazionalizzazione che l'Iran vuole attuare in casa propria? L'interesse proprio, ecco la suprema legge che regola effettivamente la dinamica del Liberalcapitalismo. Si resta sgomenti nel constatare le innumerevoli violazioni della giustizia sociale in nome della stessa giustizia sociale. In campo comunista tali violazioni sono a vantaggio dei dirigenti dello Stato; in campo liberalcapitalista sono a vantaggio dei padroni che, il più delle volte, sono poi anche i dirigenti dello Stato. La maniera di sfruttare i più poveri ed i più bisognosi è certamente diversa; il fatto però è presso a poco il medesimo: i poveri crepano di fame e di fatica per la bella faccia dei dirigenti e dei padroni. Questo non significa che i tentativi umani di correggere lo slittamento del Capitalismo in Capitalite siano da scartarsi: significa soltanto che, per un risultato efficace e duraturo, essi debbono innestarsi sul riconoscimento dell'esistenza di un Legislatore Supremo cui nulla sfugge di ciò che è. umano.
    In realtà, siccome è apparso evidente il pericolo sociale di un liberismo oltranzista regolato dai canoni della libera concorrenza, i governi degli Stati liberalcapitalisti stanno facendo ricorso a ciò che è noto sotto il nome di nazionalizzazione. La quale può essere descritta come una forma benigna di collettivismo. Essa richiama, in generale, l'idea dello Stato a capo delle imprese produttive. Nella pratica ci sono però varie maniere di attuare la nazionalizzazione:

    1) Imprese di possessione dello Stato e gestite direttamente dallo Stato. In tal caso i relativi Ministri e il Parlamento sono i capi assoluti di tali imprese. Difficilmente tale maniera di nazionalizzazione sfugge ai vizi congeniti dal capitalismo privato. La tirannia ed il favoritismo vi giocheranno un ruolo non indifferente nella distribuzione degli impieghi e nella amministrazione della giustizia. Senza dire che spesso vi si aggiungerà anche l'incuria e l'incapacità.

    2) Imprese di possessione dello Stato ma erette in regie autonome. In tal caso lo Stato ne stabilisce lo Statuto e si riserva un controllo a talune nomine. Per il resto la regia autonoma agisce in nome proprio. Qui si nota un progresso sulla forma precedente, data la possibilità anche di controllare l'invadenza del capitalismo privato. Non è però esente dai rischi notati sopra.

    3) Imprese possedute in parte dallo Stato ed in parte dai privati, erette in regie autonome e gestite insieme da delegati statali e da rappresentanti dei proprietari privati.

    4) Nazionalizzazione quale la patrocinano i socialisti maggioritari belgi, olandesi, tedeschi, i laboristi. Lo Stato è il solo padrone della impresa; essa però è retta in regia autonoma la cui gestione è affidata ad un organismo composto di rappresentanti di tutti gli interessati e cioè: a) lo Stato che è l'incaricato del bene comune; b) il personale o i produttori (operai, tecnici ecc,); e) i consumatori.

    5) La medesima del numero precedente con la differenza che la proprietà delle imprese è divisa fra lo Stato ed i privati; donde ne deriva che alla gestione si aggiungono anche i rappresentanti di tali pro prietari privati. Questa quinta maniera si può chiamare una nazionalizzazione mitigata, in quanto la proprietà privata, i rischi, la direzione debbono restare nella più parte ad individui privati. Ne sono un esempio le Ferrovie Belghe dopo la legge 1926. (N.B. - La legge belga 23 luglio 1926 circa le Ferrovie dispone che lo Stato resta proprietario della rete ferroviaria e resta anche principale proprietario dello sfruttamento di esse. Esso si riserva nella assemblea degli azionari almeno i 5/6 dei voti. Per fare un acquisto od una vendita importante è richiesta l'approvazione del Ministro delle Ferrovie. Il Governo ha inoltre il diritto di imporre una riduzione delle tariffe ferroviarie o di impedirne l'aumento. Finalmente lo Stato si riserva il diritto di scindere il contratto con la società azionaria dopo venti anni dalla firma. D'altra parte la contabilità della Società è del tutto separata da quella dello Stato; per principio tale Società è autosufficiente; il 1° Consiglio d'amministrazione è stato composto da una maggioranza di uomini d'affari e, in caso di vacanza, 15 membri su 21 (15/21) saranno eletti dietro presentazione del Consiglio esistente. Ciò per garantire al consiglio una maggioranza di uomini d'affari, cioè competenti. Inoltre è stabilita la incompatibilità dell'ufficio di consigliere della Società e di membro del Parlamento).

    Non manca di interesse questo sforzo umano per una migliore soluzione della giustizia sociale. In sè il principio che lo guida è buono ed è praticato parzialmente un po’ ovunque: basti pensare alle strade, ai porti ecc. Economicamente pare che tale o tal'altra nazionalizzazione non sia bene applicarla a tutte le industrie. Se ne otterrebbero dei risultati negativi sovraccaricando lo Stato di doveri e riducendo quasi a nulla la concorrenza, che è pure una molla di produzione, e specialmente rischiando di aumentare troppo la potenza dello Stato. La Nazionalizzazione mitigata si può forse applicare con buoni risultati nelle imprese che siano:

    a) di utilità pubblica; b) quasi monopolizzate; c) di tecnica semplice e di controllo facile; d) di rischi poco rilevanti. Stanno infatti in agguato, dietro la più grande buona volontà, il pesantismo statale e la incuria derivante da incapacità di controllo.
    Anche la nazionalizzazione, se sradicata da un principio di morale eternamente valevole, rischia di scivolare verso risultati quali: a) la autonomia della impresa resa una autonomia puramente verbale, b) la possibilità che lo Stato (= legislatore) cambi le leggi a suo favore, c) la via libera allo spirito invadente dei Governi Parlamentari sotto le forme più opposte: dalla estrema sinistra alla estrema destra in un incontro di totalitarismo, di oppressione cioè dell'individuo in nome (ecco il sarcasmo) del suo bene.
    I tentativi di soluzioni si moltiplicano. Commissioni interne, cogestione ecc. son tutti mezzi applicati per arginare la valanga dell'egoismo privato. Il fatto stesso di una esperienza molteplice e pure incapace a correggere con leggi umane una deviazione che scaturisce da un rifiuto della legge divina, tale constatazione dovrebbe bastare a far comprendere che i tentativi chiusi nel circolo vizioso dell'egoismo umano sono essenzialmente dei surrogati della giustizia.

Alcuni salari

    A prima vista verrà da domandarsi perché io scelgo un esempio fuori d'Italia. La risposta mi pare sufficiente: prendo un esempio in Francia perché la Francia è la più antica Nazione Europea a regime liberalcapitalistico; in essa infatti il Capitalismo è applicato secondo i canoni del liberalismo laico. L'Italia è ancor troppo giovane, nel campo della democrazia, per poter esser portata ad esempio.
    L'esempio che io prendo riguarda i minatori del Nord della Francia a fine 1948. È ormai noto il tragico bilancio degli scioperi, lassù, del dicembre '48: diciannove morti più un numero imprecisato di feriti e di imprigionati. Il Governo affermò che si trattava di uno sciopero politico e lo soffocò. Ma era esso veramente uno sciopero politico? E soltanto politico? Sciopero politico, ecco il nuovo rimedio trovato dai capitalisti senza coscienza, per poter soffocare ogni sciopero che dia loro fastidio. È chiaro che lo sciopero puramente politico esorbita dal fatto economico e non entra pertanto nel problema diretto dei salari; ma è vero altresì che è troppo comodo confondere nella sommossa operaia la loro adesione cieca a Mosca e la loro reale miseria. Se la prima è del tutto, estranea alle necessità economiche, non così la seconda. Confondere, col pretesto di combattere il comunismo, l'odio contro i sistemi totalitari e la miseria del proletariato, questo è equivoco che rifiuta ogni appellativo di giustizia.
    Nel campo puramente terreno, una società la cui vita è basata sul quotidiano sacrificio di milioni di uomini e che stiracchi continuamente il loro salario, cioè la loro vita, mentre cova in seno la formazione di scandalose ricchezze per un pugno di privilegiati, tale società non può che preparare una catastrofe sociale. Vediamo alcune cifre:

    Un operaio (della categoria 5a, una delle più numerose) fuochista alla Centrale elettrica, padre di 4 bimbi riceveva: Fr. 8.080 ogni 15 giorni (più Fr. 6.240 di allocazioni famigliari; un mensile quindi di Fr. 28.640;
    Un magazziniere: Fr. 6.300 ogni 15 giorni, tutto compreso (= 12.600 al mese);
    Un operaio della 6a categoria, 15 anni di presenza, padre di un bimbo: Fr. 8.150 ogni 15 giorni, tutto compreso (= 16.300 al mese);
    Un manovale sotterraneo: Fr. 13.500 al mese;
    Un manovale di superficie: Fr. 12.400 al mese, più Kg. 550 di carbone.
    Ogni commento è estremamente inutile.

    Quanto allo sciopero «politico» si potrebbe anche osservare: Come uno sciopero potrà non esser per nulla «politico» ? Il fatto stesso di lavoratori in imprese «nazionalizzate» trascina con sé la natura anti-governativa, ergo politica dello sciopero. D'altra parte è pur sempre lo Stato (Ente politico) che fissa i salari, i prezzi ecc. Il rifiutarli pertanto è già un dar colore politico al proprio atto. Coartare ogni sciopero politico in tale senso è andar oltre il compito di 'sorvegliante' (il vero compito dello Stato) e diventare 'partigiano'.

Una strana conclusione

    Ma arrestiamoci. La conclusione più bella è data dalla tavola che faccio seguire. I salari passati ai lavoratori prima e dopo lo sciopero. Il fatto dell'aumento garantisce la ingiustizia precedente; la quantità relativa dell'aumento è testimonianza irrefutabile della situazione talvolta miserabile ancora di uomini che si consumano nel lavoro.

CATEGORIA ANZIANITÀin anni Sal. mensileprima dellosciopero Sal. mensiledopo losciopero
 
C E L I B A T A R I
Manovale (il meno pagato) 15 10.703 Fr. 12.893 Fr.
30 10.892 Fr. 13.900 Fr.
 IV 15 12.969 Fr. 15.449 Fr.
30 13.146 Fr. 16.455 Fr.
 VI 15 14.741 Fr. 17.460 Fr.
30 14.916 Fr. 18.465 Fr.
 VII 15 15.633 Fr. 18.465 Fr.
30 15.809 Fr. 19.472 Fr.
 
OPERAI SPOSATI CON DUE BIMBI
Id I 15 16.707 Fr. 20.383 Fr.
30 16.892 Fr. 21.390 Fr.
 IV 15 19.058 Fr. 22.939 Fr.
30 19.252 Fr. 23.945 Fr.
 VI 15 20.916 Fr. 24.950 Fr.
30 21.099 Fr. 25.955 Fr.
 VII 15 21.835 Fr. 25.955 Fr.
30 22.029 Fr. 26.962 Fr.
 
OPERAI SPOSATI CON CINQUE BIMBI
Id I 15 26.907 Fr. 34.783 Fr.
30 27.110 Fr. 35.790 Fr.
 IV 15 29.484 Fr. 37.339 Fr.
30 29.688 Fr. 38.345 Fr.
 VI 15 31.512 Fr. 39.350 Fr.
30 31.714 Fr. 40.355 Fr.
 VII 15 32.526 Fr. 40.355 Fr.
30 32.729 Fr. 41.362 Fr.
(Cfr. Masses Ouvrières IV, 41, (1949) février, p. 59)