Introduzione

    Quando si parla di programma sociale cristiano già si coglie l'obbiezione corrente: «... ma che cosa ha fatto la Chiesa Cattolica per i lavoratori?».
    Alla base di questa accusa sta però un equivoco: essa suppone che la Chiesa Cattolica sia qualcosa come un qualunque Governo di Stato, e che ad essa pertanto spetti la costruzione della città terrestre.
    Quando si parla di Cristianesimo, sotto tutti i punti di vista, si parla di una dottrina rivelata da Dio per mezzo di Gesù Cristo e conservata intatta dalla Chiesa Cattolica. La quale non fu istituita per dirigere la cosa pubblica di un tale o talaltro Stato, sibbene per annunciare a tutti i dirigenti della cosa pubblica di ogni Stato quei principi dottrinali che Dio le ha affidati da comunicare agli uomini.
    La funzione adunque della Chiesa Cattolica è una funzione direttiva: coloro che vogliono poter dirsi cattolici debbono ascoltarne la voce, che è la eco autentica della voce di Dio, debbono realizzarne, nella loro vita di privati cittadini o di capi, i principi dottrinali.
    Giudicare pertanto il valore sociale del Cristianesimo significa sottoporre ad esame i suoi principi riguardanti i rapporti tra gli uomini. Che se il giudizio si vorrà portare anche sulla Chiesa Cattolica, a tale riguardo, allora si dovrà esaminare se essa abbia o meno annunciati lealmente ed integralmente e difesi i principi sociali del Cristianesimo.
    Domandare alla Chiesa Cattolica, in quanto tale, la realizzazione pratica, in campo sociale, dei principi sociali del Cristianesimo, pretendendo che essa abbia a far applicare la sua dottrina sociale in Italia, per esempio, o in Francia o altrove, è un falsare la natura della Chiesa stessa. La edificazione della città terrestre non è di competenza della Chiesa Cattolica. Ad essa spetta l'edificazione della città celeste. Siccome però tale città celeste è costituita dagli uomini che nella loro vita terrena hanno vissuta la dottrina, tutta la dottrina cristiana, per ciò la Chiesa deve annunciare agli uomini tale dottrina. La Chiesa però agisce unicamente per mezzo della convinzione: essa non obbliga con la forza ad accettare il suo programma. È un invito soltanto, il suo, così come fu invito la predicazione del Cristo. Coloro che vogliono esser Cristiani sanno quale è la via da percorrere.
    Ridurre la Chiesa Cattolica al ruolo di un Governo qualunque, è spogliarla della sua essenza supernazionale (cattolica vuol dire universale) e costringerla nei termini angusti di alcune frontiere: è distruggere cioè la Chiesa Cattolica per farne una più o meno potente Chiesa di Stato. Ciò non significa tuttavia che, dunque, il Cristianesimo resterà necessariamente lettera morta nei paragrafi dei codici umani. La sua dottrina sociale, del resto, essendo dottrina di giustizia, è scritta nell'intima esigenza del cuore umano; in ogni uomo vibrano palpiti innati di giustizia che sono aspirazioni, coscienti od inconsce, verso la realizzazione della dottrina di Cristo.
    C'è un esercito ormai di uomini che il Cristianesimo l'hanno abbracciato, affidando ad esso tutte le loro speranze e consacrandogli tutta la loro attività. Volere la giustizia sociale, volerla effettivamente, significa mettere a capo della Nazione degli uomini che siano autentici cristiani. E poiché i capi e le leggi non bastano, da soli, a rendere vivente la dottrina sociale di Cristo, ad applicarla davvero si richiede che anche i sudditi siano cristiani, siano cioè fermamente decisi ad accettare integralmente l'insegnamento di Gesù.
    L'accusa di insufficienza pratica nel campo sociale, non dunque al Cristianesimo deve essere rivolta, ma agli uomini — capi e sudditi — che tale dottrina del Cristo non hanno vissuta o anche hanno addirittura ostacolata.
    La illustrazione dell'assunto scaturirà nettissima dalla esposizione della dottrina del Cristianesimo sul lavoro, da quanto la Chiesa ha annunciato. Toccherò anche, per accenni, talune realizzazioni che gli uomini hanno ottenute nella applicazione del Cristianesimo.
    Posso fin d'ora affermare che i principi cristiani, nel campo sociale, sono l’unico correttivo possibile alle esagerazioni di tutti i sistemi sociali umani. Più ancora apparirà che taluni accenti umanissimi che alimentano un po’ tutte le correnti sociali non altro sono che accenti cristiani.
    L'angosciosa incapacità di tali sistemi umani a render giustizia, sta essenzialmente nella parzialità del programma cristiano che essi contengono.
    Il convulso bisogno di fraternità che irrora il movimento comunista è insufficiente a dare la giustizia perché è privo dell'elemento libertà umana; il vergognoso ed equivoco culto della libertà umana, che è bandiera del laicismo liberalcapitalista, è anch’esso incapace a dare la giustizia, perché dimentica l'elemento della fraternità umana, che è sinonimo di uguaglianza di diritti.
    Tra queste due opposte, e pur tanto simili sponde, ove vibrano brandelli isolati di Cristianesimo, sta l'integro corpo di tutta la dottrina sociale cristiana, la cui formulazione possibile e bella si annuncia così:
    Libertà nella fraternità.

Beati quelli che sono poveri!!

    No, non è esatta la convinzione che il Cristianesimo si limiti a dire ai poveri la parola bella della Beatitudine, col significato mortificante di incapacità costituzionale a saldare lo strapiombo delle differenze sociali. Allorché Gesù annunciò: «Beati i poveri!» (Lc 6,20; Mt 5,3) non sentenziò la condanna delle ricchezze. Quell'insegnamento di Gesù sgorga, completandola, dalla sorgente del pensiero ebraico dell'attesa. Povero, nel pensiero del Vecchio Testamento più vicino al Cristo; indica COLUI CHE È CLIENTE DI DIO.
    Sicuro che, nell'assenza della ricchezza insidiosa che può illudere di saper donare da sola felicità, l'uomo è più facilmente disponibile davanti a Dio. È appunto per questa più facile disponibilità che la beatitudine fu detta. Le ricchezze sono anch'esse un dono di Dio. Malauguratamente l'uomo ricco si ripiega facilmente sul proprio orgoglio e rumina la sua autosufficienza, rendendosi così colpevole.
    Né povertà significa miseria. Conosce bene Iddio che se nella sovrabbondanza l’uomo diventa orgoglioso, nella miseria egli diventa ladro.

«Non darmi né miseria né ricchezze; ma del vitto passami la mia razione, per tema che, satollo, io rinneghi e dica: ‘Chi è il Signore? '; ovvero, immiserito, mi dia a rubare».

(Prv 30, 8-9)

    «Beati i poveri» deve essere parafrasato: beati gli umili, i pii, coloro che conservano tutta la loro disponibilità davanti a Dio .
    È in questa vicendevole integrazione delle virtù cristiane che consiste il Cristianesimo. La sola povertà, scoronata del corteo di tutte le altre virtù, non è virtù essa stessa. Molti sono stati quelli che non ebbero ricchezze e molto pochi i veri poveri, coloro cioè che la loro umile condizione sociale svilupparono in un filiale colloquio d’amore verso Dio.
    Quella sottospecie di Cristianesimo pertanto, che taluni demagoghi accollano alla sostanza del programma sociale cristiano, sussurrando ai poveri che esso null'altro può dar loro se non un consiglio di rassegnazione, questa sottospecie di Cristianesimo è un prodotto della tattica anticristiana, inteso a renderne più facile lo screditamento.
    Hanno raccontato alla gente che il Cristianesimo è una specie di svirilizzamento. Per riuscire più facilmente ad incantarla, l'ingenua, con le loro colossali promesse di felicità (!).
    Il Cristianesimo però è tutt'altra cosa.

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    Tutte le eresie, innestate sul terreno economico-sociale, di cui soffre il mondo nostro, provano all'evidenza e sono una testimonianza autentica di un dovere cristiano non compiuto.
    Nel corso del presente volumetto tenterò di presentare quanto il Cristianesimo ha fatto per la società.
    C'è però una osservazione che sento il bisogno di fare. Specialmente ai «cristiani».
    Troppo spesso molti buoni cristiani, anche sacerdoti, sono tentati di fare dell'angelismo. Di dividere la realtà umana in due parti ben distinte e rifugiarsi poi nel sovrannaturale: «Salviamo le anime!».
    Ma si dimentica che le anime sono «corporizzate», cioè legate a dei corpi e che tali corpi sono «animati» per costituire tutto l'uomo.
    Questa è, a mio avviso, una giacenza manichea: supporre come un Dio supernaturale che solo delle anime s'interessa, degli spiriti immateriali, ed un Dio della natura, al quale spetti occuparsi di tutto ciò che è materiale.
    Scienza, tecnica, arte, politica, economia, tutto sarebbe un vano orgoglioso agitarsi di gente che ha dimenticato il problema base della propria salute spirituale.
    Nascono così gli scrupoli in talune anime cristiane.
    Chiudere l'insegnamento cristiano nel «pregate ed abbiate fiducia in Dio», quasi escludendo il tramite delle cause seconde, è un comodo dispensarsi dallo sforzo personale.
    Abbiamo così troppi cristiani formati con tale metodo, i quali sono poi disarmati nella lotta della vita e si rannicchiano in una pietà assolutamente senza irradiazioni.
    «Ma non si è mai vista la Chiesa occuparsi di cose economiche e sociali!» dicono col loro sguardo sorpreso. Spiriti borghesi che scelgono d'istinto la quiete dello «Status quo», il quale è privo di rischi. E lo scelgono anche se esso è lo «Status injustitiae», cercando di giustificarsi con lo scopo «spirituale» del Cristianesimo.
    Buona gente la quale, però, confonde l'essenza del Cristianesimo con un dato bagaglio di tradizioni, di abitudini, di costumanze o anche di istituzioni. Le quali cose, quando nacquero, corrispondevano forse ad un bisogno attuale della società, erano cristiane, mentre oggi non sono che gloriosi resti di una storia pure gloriosa. Sarebbe però illusione sconcertante il voler ricopiare nel nostro secolo ardente quei vecchi schemi defunti. Riuscirebbero forme inadatte e spaesate; canali sclerotici e portatori — nella contingente necessità dell'ora — di elementi decisamente anticristiani.
    La Chiesa non ha da fabbricare la città terrestre, che è in movimento continuo; essa deve fabbricare la città celeste: che è sempre uguale nelle sue regole di giustizia verso Dio e verso gli uomini. La Chiesa però deve rendere l'uomo atto a fabbricarsi la città terrestre in un ordinato rapporto alla città celeste. Essa deve restaurare il tessuto umano (di cui il tessuto sociale è una parte), formando ogni uomo nel contesto della sua esistenza storico-geografica.
    Ogni azione d'uomo è inserita nello spirituale. Formare, restaurare l'uomo vuol dire formarlo e restaurarlo in ogni sua azione.
    Una economia umana, si deve ripensare.
    Il cristiano è un irradiatore del Maestro: nel terreno umano.
    Il Logos s'è fatto uomo per portare l'uomo all'altezza dei figli di Dio. Anche il Cristiano, il continuatore dell'insegnamento e dell'opera del Maestro, deve conquistare l'uomo quale esso è.
    Il Vangelo non è un codice per degli «assistiti». Esso è la dinamica rinnovatrice di ogni situazione, attraverso schemi nuovi sempre crismati da principi immortali. Quelli di Gesù.

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    Questo fascicoletto porterà, nella prima parte, ciò che è stato l'insegnamento sociale di Gesù e dei suoi successori. Direi quasi che la prima parte riguarda la Gerarchia Cattolica ed il suo dovere di guida.
    Nella, seconda parte porrò un elenco di realizzazioni operate dal laicato cattolico, alla luce di tali insegnamenti.
    Farò pure seguire una breve appendice sullo sciopero.