Quattordicesima udienza

«Siamo italiani»

    11 giugno 1949 - Il ritmo con cui i numerosi testi si avvicendano alla pedana conferma che ormai siamo alla conclusione dell'esame testimoniale.
    L'atmosfera è surriscaldata dall’approssimarsi della decisione della causa. Ormai è sufficiente una interruzione, una parola a commento di una frase di un teste, per dar vita a nuovi incidenti di proporzioni maggiori di quelli scoppiati nelle tornate precedenti.
    Il primo a deporre è un tenente degli alpini Girolamo Stovali, il quale narra della sua cattura, della fucilazione del suo attendente, della tragica marcia, della vita vissuta da lui e dai suoi compagni nei vari campi di concentramento, della mortalità tra i prigionieri che nel campo di Oranki raggiunse la percentuale di oltre il 60 per cento nell’anno 1943, della visita in quel campo del commissario Fiammenghi, il quale si presentò in uniforme sovietica.
    Il teste conobbe D'Onofrio nel convalescenziario di Skit. La narrazione non si discosta da quella dei precedenti testimoni: proposta di sottoscrivere l'appello al popolo italiano, rifiuto della maggior parte degli internati, minacce dell’attuale querelante.
    Stovali: — Alcuni aderirono soltanto dopo che D'Onofrio li sottopose ad interrogatori.
    Presidente: — Quanti aderirono dopo gli interrogatori?
    Stovali: — Non posso precisare il numero, ma qualcuno certamente sì. Ricordo che il ten. Dal Toso fu chiamato da D'Onofrio il quale ebbe a fargli oscure minacce tanto che appena uscito dalla baracca del commissario Dal Toso mi disse: «Ci inchioderanno a questi pini ma non potranno farci dimenticare di essere italiani».
    Quella sera stessa, nascosto in uno scantinato insieme con i ten. Dal Toso ed Emett, potei sentire quello che D'Onofrio diceva parlando con un ufficiale sovietico, in una stanza sopra di noi. Parlava di organizzare nel campo di Skit un gruppo antifascista e poi accennò al caso del cap. Magnani rassicurando, fra l'altro, l’ufficiale russo con queste precise parole: «Non si preoccupi del Magnani! A quello ci penserò io!». Quella frase ci impressionò moltissimo e tememmo per lui. Dopo pochi giorni, infatti il nostro compagno di prigionia fu trasferito in un campo di punizione.

La famosa circolare

    Stovali: — Durante la permanenza ad Oranki aderii alla legione garibaldina costituitasi dopo la dichiarazione di guerra alla Germania. Nelle file di quella formazione si schierarono tutti coloro che intendevano combattere contro i tedeschi.
    Avv. Taddei: — In quanti ufficiali partirono dalla Russia nel suo vagone?
    Stovali: — Partimmo in 64, ma siamo tornati soltanto io ed il ten. Colangelo.
    Avv. Taddei: — I prigionieri potevano disporsi a piacimento nelle baracche dove alloggiavano?
    Stovali: — No. In ogni baracca eravamo sistemati in modo che vi fosse sempre almeno un aderente al gruppo antifascista del campo.
    L'altro teste, quello la cui deposizione ha determinato l'insorgere dell’incidente è stato il segretario generale dell’U.N.I.R.R. (Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia), Gabriele Alfieri, firmatario della circolare inviata poco prima dell’inizio del processo, agli ex prigionieri chiamati a deporre in favore degli imputati, esibita in una delle precedenti udienze dalla parte civile.
    La parte civile ha cercato di smontare il teste prima ancora che cominciasse la sua deposizione, sottoponendogli la famosa circolare, ma l'Alfieri non si è affatto scomposto: ha ammesso senza esitazione di esserne il firmatario e poi ha cominciato a narrare.
    Alfieri: — Appena dopo la cattura tutti gli uomini che non erano in grado di camminare furono fucilati, altri soldati furono stritolati, durante la marcia, dai carri armati russi. Arrivati alla stazione di Galash i prigionieri furono fatti salire in treno: vagoni merci dove erano stipati in 72 persone. Viveri per il viaggio: una pagnotta ogni otto persone e sette aringhe salate.
    Presidente: — A testa?

«Qualcuno impazzì per la sete»

    Alfieri: — No. Per tutto il vagone e senza un goccio d’acqua. Qualcuno impazzì per la sete. Tentammo di dissetarci prendendo la neve che si era accumulata sul tetto del vagone ma i russi di scorta provvidero subito a spalarla e così non ci rimase altro che leccare i bulloni del vagone dove si era attaccato un po’ di ghiaccio. Almeno dieci persone morirono durante il viaggio. Ma nessuno si interessò di loro. Furono accatastati in un angolo del vagone senza che nessuno si curasse di segnare nemmeno i loro nomi. Alle fermate i cadaveri venivano tirati fuori dai russi e gettati sulla neve.
    Arrivammo, quelli che ci riuscirono, a Minciurinsk. Eravamo 5000. Quando ripartimmo dopo una permanenza di due mesi eravamo ridotti a 480.

    Presidente: — E gli altri?
    Alfieri: — Morti. A Vilna, negli Urali, le condizioni di vita migliorarono un po'. Verso la fine del mese di aprile, una mattina venne da noi un soldato russo addetto alle cucine: «Tovarish Stalin prikasal» ci disse, che vuoi dire, più 0 meno «niente paura, il compagno Stalin ha ordinato di non morire». E distribuì a tutti del burro. La cosa si ripeté tutte le mattine per un mese di seguito: 40 grammi di zucchero e 40 grammi di burro. La nostra sorpresa fu enorme, ci fece sgranare gli occhi e urlare di gioia. Ma tutto ciò non valse a diminuire la mortalità perché dei 480 arrivati ripartimmo di lì, ridotti a poco più della metà: altri 200 prigionieri erano morti.
    I superstiti furono trasferiti al campo di Susdal in carri cellulari.

«Vagoni cellulari»

    Avv. Taddei: — Infatti... in Russia i cellulari sono più numerosi dei vagoni per viaggiatori
    Alfieri: — A Susdal conobbi il fuoruscito Roncato il quale si vantava pubblicamente di aver combattuto sul Don contro le truppe italiane. Funzionari sovietici e emigrati italiani cominciarono ad interrogare i prigionieri. Queste «conversazioni» si svolgevano con preferenza nelle ore notturne e non duravano mai meno di sei o sette ore. Si voleva da noi che sottoscrivessimo i noti appelli al popolo italiano. I più accaniti oppositori, magg. Russo e Massa, non hanno ancora fatto ritorno dalla Russia.
    Presidente: — A Susdal si costituì il gruppo antifascista?
    Alfieri: — Sì, ma io non vi aderii.
    Presidente: — Perché?
    Alfieri: — Perché il gruppo non aveva nulla di antifascista. Era esclusivamente al servizio dello straniero. Infatti lo aveva costituito un maggiore russo.
    Avv. Taddei: — Come si riconoscevano gli ufficiali sovietici della N.K.V.D.?
    Alfieri: — Dalle loro spalline e dalle mostrine. E, poi, ricordo che si riconoscevano subito perché la popolazione civile, quando li vedeva, li segnalava stendendo le quattro dita della mano destra verso il basso alludendo alle quattro lettere: N.K.V.D.
    Parlando ancora del Roncato, il teste ricorda che il fuoruscito una volta domandò al ten. Pace per quale ragione fosse venuto in Russia a far la guerra. Alla risposta: «Perché sono un soldato e un soldato deve obbedire soltanto, senza mai discutere», il Roncato replicò: «Lei è un fascista e si meriterebbe che gli strappassero la lingua!»
    Alfieri: — Quando un maggiore sovietico si rivolse a me per chiedermi di aderire all'appello da lanciare al popolo italiano risposi: «Cosa penserebbe lei di un ufficiale russo che avesse firmato un messaggio del genere quando i tedeschi si trovavano alle porte di Mosca?» Ma secondo l'ufficiale quelli non erano paragoni da farsi.

«Staffieri di Stalin!»

    A questo punto l'avv. Mastino Del Rio ha acceso la scintilla che ha provocato l'incidente.
    Avv. Mastino Del Rio:. — Il teste sa degli incidenti avvenuti alla frontiera, a Tarvisio, quando i reduci dalla prigionia in Russia rimpatriarono? Perché ci fu quell'aggressione?
    Alfieri: — Furono picchiati quegli ufficiali che nei campi di concentramento avevano fatto delazioni ai danni dei compagni di prigionia. Alcuni altri ufficiali italiani furono trattenuti in Romania per un mese ancora perché avevano paura di essere anch’essi picchiati. Anche loro erano delatori.
    Avv. Sotgiu: — Erano dei militari antifascisti!...
    Avv. Mastino Del Rio: — No, erano delle spie.
    Avv. Sotgiu: — Ma che spie, che spie...
    Avv. Mastino Del Rio: — Bella razza di antifascisti...
    Avv. Sotgiu: —.... sì, antifascisti e valorosi antifascisti. Quando i combattenti non la pensano come voi li chiamate spie...
    Avv. Mastino Del Rio: — State zitti voi che siete al servizio di Stalin e della Russia....
    Avv. Sotgiu: —.... E voi chi servite?.... Voi siete venduti alla Confederazione dell'Industria! (dimenticando evidentemente che è mille volte meglio essere venduti a una organizzazione sindacale italiana di datori di lavoro piuttosto che a uno stato straniero e schiavista)
    Avv. Mastino Del Rio: — Staffieri di Stalin....
    Avv. Sotgiu: — Vergognatevi, voi che avete fatto impiccare Cesare Battisti, ufficiali dell'Austria.... (l'interruzione entra nell’argomento come i cavoli a merenda)
    L'atmosfera nell’aula si va sempre più scaldando, anche il pubblico è innervosito e rumoreggia, mentre ormai non è più possibile seguire gli avvocati delle due parli che si agitano scompostamente. Si sentono solo parole staccate volare da un punto, all'altro dell’aula, nel frastuono assordante. Soltanto il tempestivo intervento del presidente, che toglie la seduta, vale a riportare la calma.

Le udienze
1   2   3   4   5   6   7   8   9   10   11   12   13   14   15   16
17   18   19   20   21   22   23   24   25   26   27   28   29   30   31   32