Ventiseiesima udienza

«La parola alla P. C.»

    14 luglio 1949. - l'avv. Giuseppe Sotgiu, il secondo patrono di Parte Civile, si è accinto al compito di difendere gli interessi del sen. D'Onofrio aprendo, sul tavolo, una grossa valigia di cuoio, piena zeppa di libri, opuscoli e fascicoli dai quali poi, nel corso del suo discorso, ha tratto citazioni, ricordi storici, esemplificazioni, tutto a suffragio della tesi che si era proposto di svolgere.

«Signor Presidente!»

    Avv. Sotgiu: — Sarei tentato, signor Presidente, signori del Tribunale (e certo voi me ne sareste grati), di condensare la causa in una rapida sintesi, deflazionandola di tutti gli aspetti ed elementi che non siano essenziali. Potrei dire che il libello del quale gli imputati devono rispondere è indubbiamente diffamatorio. Perché nessuno più di voi (dice puntando il dito contro il banco dove siedono i reduci imputati) sa che quello che avete scritto contro Edoardo D'Onofrio, non risponde a verità ed è il frutto della deformazione di episodi, della esasperazione voluta di piccoli fatti. Io potrei far mio il pensiero del P. M. per cui anche l'esasperazione di un fatto vero costituisce diffamazione. Io vi potrei dire: la vostra prova è miseramente fallita perché se anche 80 mila italiani fossero morti in prigionia cosa c'entra D'Onofrio? D'Onofrio è stato in due soli campi di concentramento, e soltanto per una quindicina di giorni, ed ha parlato a poche centinaia di prigionieri. Né alcuna responsabilità può attribuirsi a D'Onofrio se in Russia vi sono ancora dei prigionieri italiani perché egli ha fatto ritorno in Patria fino dall'agosto del 1944.
    Questo io potrei dire in una rapida sintesi. Ma il campo della causa è diventato ben più vasto, e non per colpa nostra.

«Aspetto politico della causa»

    Per l'avv. Sotgiu ormai la causa ha assunto un aspetto essenzialmente politico.
    Avv. Sotgiu: — Tutto un periodo della storia del nostro Paese è stato messo in discussione. A voi, signori del Tribunale, dimostrare che la causa non è che un problema giudiziario.

«Causa che... non si doveva fare»

    Del resto, secondo la tesi dell'oratore, questa causa non si doveva fare affatto. Non si doveva fare perché non fossero additate al popolo italiano le responsabilità e la inettitudine di una classe dirigente e di una casta militare, ma per non farla e per giovare realmente alla causa di quei prigionieri, che devono ancora essere giudicati in terra straniera, non bisognava diffamare. In queste parole è contenuta una chiara minaccia in favore di D'Onofrio da parte del governo sovietico contro i prigionieri italiani ancora nelle sue mani. L'avv. Sotgiu invia poi un saluto a tutti ì soldati caduti sui campi di battaglia, saluto che «soltanto noi possiamo mandare» perché «noi lottiamo per un mondo senza guerre». Si sente nell’aula il battito d’ali... del «piccione» del fronte della pace. E una esaltazione ha fatto della figura del sen. D'Onofrio la cui azione fu sempre improntata «ad italianità e a nazionalismo» e del quale ha detto che per aver sofferto in carcere e fuori «non può avere l'abito mentale dell’aguzzino». Nel suo lungo sproloquio l'avv. Sotgiu ha creduto bene di non dire che la querela fu presentata dal sen. D'Onofrio nei giorni in cui questi credeva di avere, il 18 aprile 19i8, «la vittoria in pugno» in sede elettorale, politica, per poter poi celebrare tranquillamente il primo grande processo politico davanti a un addomesticato «Tribunale del Popolo» onde eliminare degli incomodi avversari personali.

I comunisti vorrebbero la magistratura asservita ai loro interessi di parte

    Avv. Sotgiu (rivolto agli imputati): — Vergognatevi. Voi che vi siete serviti dei fratelli morti per una speculazione elettorale. Se volevate tenere alto il loro nome dovevate mantenervi al disopra delle competizioni politiche.
    L'avvocato di Parte Civile ha poi vivamente polemizzato con il P. M. definendolo uomo di parte, accennando al fatto che un altro magistrato era stato destinato a rappresentare il P. M., ma quello aveva declinato l'incarico.
    Avv. Sotgiu: — Non ci attendevamo la faziosità del P. M. il quale ha fatto rilevare attraverso le sue parole l’origine politica assolutamente in contrasto con la serenità di un magistrato. Egli ha cercato di suffragare l’affermazione che in Russia non esiste libertà di culto, citando articoli del codice sovietico. Ma non mi sarà difficile dimostrare il contrario e lo farò proprio attraverso la parola di coloro che sono venuti qui in udienza a difendere gli imputati. E vi dirò di più: i primi ad elogiare la libertà di religione in Russia sono stati proprio due democristiani: gli on. Morelli e Cuzzaniti, i quali pubblicarono articoli su quel settimanale «L'Alba» che, secondo il P. M., sarebbe stato chiuso alle correnti non comuniste...

La politica della mano tesa

    P. M.: — Io ho dimostrato che in Russia sono proibite le manifestazioni di culto in luogo pubblico e non nelle chiese. E poi vorrei che lei mi trovasse un articolo anticomunista scritto nel settimanale «L’Alba». Evidentemente fu permesso agli on. Morelli e Cuzzaniti scrivere quegli articoli soltanto perché alla fin fine facevano giuoco alla propaganda comunista!
    Ma il dott. Manca è scattato soprattutto alle insinuazioni che intendesse fare nient’altro che della politica. Comunque la circostanza sta a dimostrare il pericolo insito in qualsiasi forma, anche minima, di collaborazione dei cattolici coi comunisti sul piano politico, culturale e sindacale, in qualsiasi stretta della loro mano... minacciosamente tesa. I figli delle tenebre sono più accorti alle volte dei figli della luce e tutto può giovare domani alla diabolica propaganda marxista tra le masse dei gonzi. Non si può servire due padroni, dice il Vangelo, e lo ripeteva il Pontefice Pio XI v. m. nella sua mirabile enciclica contro il Comunismo ateo; «Divini Redemptoris Promissio».
    P. M.: — Lei però deve dimostrare che io ho fatto della politica!

Balorde insinuazioni

    Avv. Sotgiu: — Lo dimostrerò e anzi aggiungerò che un altro magistrato era stato designato al posto che lei occupa, e siccome era uomo di parte...
    P. M. — Non permetto che si dicano di queste cose. Chiedo al Presidente che tolga la parola all’avvocato su questo punto...
    Avv. Paone: — Fuori di qui si vocifera che ci sia stato un magistrato che non è voluto venire a far questa causa...
    Il Pubblico Ministero a questo punto ha fatto l'atto di abbandonare l'aula e avrebbe certamente attuato il proposito senza lo intervento del Presidente che è riuscito a ristabilire l'equilibrio dicendo che il fatto è completamente estraneo al processo.

«Crociata anticomunista»

    Chiuso il breve incidente l'avv. Sotgiu ha mosso serrate critiche alla tesi sostenuta dal P. M. per quanto riguarda il problema religioso in Russia, dilungandosi in una disquisizione tendente a dimostrare che in quello stato l'esercizio del culto è pienamente ammesso ed esercitato da chi lo voglia. Dunque ha ragione o ha torto Don Franzoni quando viene a dire che nei campi di concentramento non era autorizzato il culto esterno e che non si poteva celebrare la messa?
    Avv. Sotgiu: — Qualunque sarà la soluzione che voi, giudici, darete al problema generale, giuridico e politico, voi non potrete dire che nei campi l'esercizio del culto non era permesso dalle autorità russe, anche se c'è stato qualche sacerdote che ha scritto o è venuto a dirci, in udienza, il contrario.
    Sacerdoti, i quali sono uomini che sotto il crocefisso portano una «mentalità intossicata di odio»; che sono già propagandisti della «crociata anticomunista».

Si cambiano le carte in tavola

    Quanto all'onore militare, l'oratore non può assolutamente pensare che il Tribunale seguirà nella sentenza la tesi secondo cui bisogna fare una distinzione fra i doveri derivanti dalla situazione esistente prima del 25 aprile 1943 e quelli che derivarono dall’abbattimento del regime fascista e dal successivo rovesciamento del fronte. Se ciò fosse, la stessa storia d'Italia ne risulterebbe scardinata perché l'antifascismo non ha aspettato il 25 luglio ma lo ha imposto, lo ha creato, così come non ha aspettato l'8 settembre per rivendicare il diritto del popolo a distruggere una alleanza che riteneva illegittima perché non aveva voluto. Ma l'argomento evidentemente non calza affatto. Nessuno discute sulla liceità in ogni tempo della lotta antifascista in patria o all'estero. Ma nessun pretesto giustifica D'Onofrio per la sua criminale complicità coi carnefici dei soldati italiani inviati contro la loro volontà al fronte da quello che, prima dell’8 settembre 1943, era l'unico governo italiano.

Il lupo in veste di agnello

    Avv. Sotgiu: — Aver cospirato contro il fascismo non fu certo un delitto, perché più che un diritto tale lotta era un dovere di ciascun cittadino. Quando voi censurate l'opera di D'Onofrio, negate tutta l'opera dell’antifascismo e fate il processo a tutti quelli che combatterono e morirono per una giusta causa. Chi afferma il contrario è fuori della legge e fuori della Nazione, da qualunque banco parli.
    Perché D'Onofrio ha sporto querela?
    Perché ha voluto porre un freno alla campagna diffamatoria che contro di lui era stata scatenata. Non c'è episodio della vita di lui che possa dipingerlo come un antinazionale, un rinnegato, un aguzzino. La storia degli ultimi anni ci dice quale sia il contributo fornito alla causa nazionale dal comunismo, ci dice come l’educazione comunista non tenda affatto alla negazione della Patria, ma anzi ad esaltarla e a difenderla nella libertà del lavoro
(!!!)
    Con ciò siamo all'inizio della quarta ora. E l'avv. Sotgiu è appena entrato nel merito della causa.

Le udienze
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