Conclusioni

    Da tutto quanto ho esposto, risulta chiaramente e senza ombra di dubbio che non è possibile, sia pure usando la massima benevolenza, riconoscere obbiettività di indagine e di valutazione nella relazione di maggioranza. Essa, nella migliore delle ipotesi, appare diretta ad evitare ogni ammissione di illegalità, nella tema di trovarsi poi a dovere esprimere un giudizio sull'operato della Giunta e del Sindaco; per cui la relazione stessa si traduce in una difesa ad oltranza dell'operato di coloro che in parte furono erroneamente ammessi nella Commissione.
    Le conclusioni cui sono arrivato dopo il diligente esame di tutto il materiale che ho potuto consultare fuori e dentro il Comune possono riassumersi nei seguenti punti essenziali:

    1) La Convenzione Comune-Orlandini, quale rinuncia all'esproprio, non era impegnativa per il Comune (art. 11 della convenzione); né lo divenne mai, essendo mancata l'approvazione da parte dell'Autorità che aveva decretata la pubblica utilità dell'opera (art. 34 del E. D. 8 febbraio 1923 n. 422). Il Comune pertanto non poteva, senza la detta autorizzazione, sostituire al procedimento espropria tivo un diverso titolo traslativo della proprietà e del possesso.

    2) L'esproprio del fabbricato Orlandini. di Via S. Felice 1 - Lame 2 fu sanzionato con l'approvazione ministeriale del piano particolareggiato d'esecuzione 7 giugno 1935. La riconferma di tale esproprio e l'esproprio dell'altro fabbricato di Via S. Felice 3 - Lame 4 avvennero col piano di risanamento 1° Ottobre 1938, sanzionato il 17 ottobre 1940 dall'approvazione interministeriale. Così quasi quattro anni dopo la convenzione si ebbe la piena conferma che la convenzione Comune-Orlandini del 1936 non può costituire rinunzia all’esproprio del 1940. Non risultano opposizioni dell’Orlandini ai due espropri subiti.

    3) La convenzione ha finito per rappresentare unicamente l'accordo amichevole nei riguardi della determinazione dell'indennità di esproprio, ed ha quindi valore soltanto in questo senso, cioè quale accordo amichevole nell'intento di eliminare l'atto amministrativo di liquidazione dell'indennità stessa e anticipare il pieno possesso dell'immobile da parte dell'ente espropriante. Accordo impegnativo anche per il Comune, essendo sufficiente per la sua validità l'ottenuta approvazione prefettizia. Con tale accordo Orlandini acquisiva dal Comune un credito commisurato all'indennità di esproprio e la legge sancisce che « il credito dell'indennità dovuta all'espropriante è un credito di valuta che non è soggetto a variazioni per il mutamento del potere di acquisto della moneta» (Sentenza 3 agosto 1951 del Tribunale delle Acque pubbliche).

    4) In forza dell'art. 60 della legge 25 giugno 1865 n. 2359, Orlandini avrebbe potuto chiedere la retrocessione di quella parte della sua ex proprietà non utilizzata per l'esecuzione dell'opera pubblica.
    Ma tale diritto, che deve seguire le norme dettate dall'art. 61 della legge citata, non fu dall'Orlandini esercitato. Né (a norma del Codice Civile) poteva essere esercitato qualora si volesse riconoscere nella convenzione un preliminare valido di compravendita (che, nel caso, si sarebbe concretata dopo 18 mesi dalla data della convenzione).

    5) Il Piano particolareggiato 29 dicembre 1941, indicato in numerosi atti amministrativi per giustificare l'errato svolgimento della pratica in questione, è risultato non produttivo di effetti giuridici e quindi privo di valore, perché non riscosse la superiore approvazione ministeriale. Parimenti, non ha rilievo il riferimento al Piano di Ricostruzione del 1946, essendo stata da questo Piano stralciata la zona in questione. Né hanno rilevanza giuridica le citazioni di studi e progetti, fra cui l'ultimo progetto per la costruzione dell'edificio, fatto approvare dalla Sovrintendenza e dal Ministero della Pubblica Istruzione. Né vale il richiamo al Piano regolatore del 1889, superato dalle varianti contenute nei successivi legittimi piani particolareggiati.

    6) Le ultime varianti legittime al Piano regolatore dell’'89, per quanto riguarda la zona in questione, furono introdotte col piano di risanamento del 1938, approvato con decreto interministeriale 17 ottobre 1940. Questo Piano è stato fino all'ultimo ignorato dall'amministrazione comunale in questa vertenza, e violato con l'arbitraria determinazione della zona attuata dal Comune, sacrificando l'allargamento della via Emilia all'imbocco di Via S. Felice, allargamento prescritto dal Piano. L'illegittimo provvedimento comunale potrà in qualunque tempo venire annullato dal Governo a norma dell'art. 6 del Testo Unico della Legge comunale e provinciale approvato con R.D. 3 marzo 1934 n. 383, com'è confermato nell'art. 27 della Legge Urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150.

    7) Il vincolo ministeriale esistente sul fabbricato di via Lame 4 - S. Felice 3 fin dal 1915 e tuttavia ignorato dalla convenzione, fu tolto dal Ministero dell’Educazione Nazionale con nota n. 4594 Div. III del 9 luglio 1940 che approvò la demolizione della casa detta di Guido Reni ed il progetto di sistemazione della zona, come prescritto nel Piano di risanamento pure approvato dal Ministero stesso e dagli altri Ministeri competenti.
    Il vincolo trascritto nel 1948, che ha favorita l'arbitraria definizione adottata dal Comune per la zona, è frutto di un errore nell'esame della pratica e nella valutazione della situazione reale. Non trattavasi al riguardo di protrarre nel tempo un vincolo (tale era il concetto della disposizione che ammetteva il rinnovo), in quanto il vincolo era stato tolto, ma — se mai — di porre di nuovo detto vincolo in dipendenza di nuovi elementi emersi: elementi che avrebbero dovuto, nel caso, condurre a diversa conclusione. Il Comune doveva far rilevare l'errore all'ufficio competente; comunque questo non si sarebbe opposto all'arretramento del fabbricato, se il Comune, anziché volere l'imbocco di sei metri, avesse chiesto — come era suo dovere, l'allargamento della via S. Felice ai 12 metri, secondo le prescrizioni del Piano di risanamento. S'impone, pertanto, una risoluta e pronta azione in tal senso, per rientrare nel limiti voluti dal piano, anche con la demolizione di quella parte dell’edificio abusivamente ricostruita, prima che possa intervenire un provvedimento governativo avverso la violazione del piano stesso.

    8) Debbono dichiararsi nulle, perché partono da premesse errate e sono basate su documenti invalidi, le seguenti delibere:
    a) Delibera della Giunta comunale 28 marzo 1950 di restituzione integrale dell'area agli Orlandini;
    b) Delibera di sclassificazione di una striscia di suolo pubblico di via Lame, adottata dal Consiglio Comunale il 1° aprile 1951;
    c) Delibera di permuta di aree tra il Comune e la Società Immobiliare Marconi per Azioni (Simpa) adottata dal Consiglio Comunale il 31 ottobre 1952.
    Nullità di questi atti, quindi, con tutte le conseguenze di legge.

    9) La dichiarazione 27 aprile 1950 a firma di un Assessore, che avvalora una denuncia per danni di guerra inoltrata dalla Soc. Imm. Marconi, e può prestarsi all'ottenimento di un indebito profitto di privati a spese dello Stato, deve essere immediatamente ritirata dal Comune, perché si è accertato che, mentre detta società ha precisato il danno in metri cubi 11.494 contro un volume totale del fabbricato che in origine risultava di metri cubi 11.000 soltanto (come da relazione Ing. Vucetich del tempo), la regolare circostanziata denuncia presentata dal Comune il 16 maggio 1944 attesta un danno di appena mille metri cubi di fabbricato e dopo quella data non vi furono altri bombardamenti nella zona. Si noti inoltre che la demolizione integrale di quei fabbricati doveva avvenire in ogni caso, qualunque fosse stata in definitiva la determinazione urbanistica della zona; per cui non si vede come possano all'atto pratico sostenersi i pretesi danni di guerra su immobili che dovevano essere totalmente demoliti.

    10) Il documento risultato falso, anche se può considerarsi nullo agli effetti amministrativi, non può essere ignorato negli atti come ha voluto la Commissione nell'espletamento del primo compito affidatole dal Consiglio, perché esso documento costituisce la prova inconfutabile di un tentativo di rendere valido ciò che era invalido, e si inserisce idoneamente in una serie di atti che appaiono ordinati e disposti in modo da indurre in errore il Consiglio Comunale e farlo deliberare erratamente. È stato dimostrato che il contenuto di quel verbale non corrisponde ai fatti documentati in altri atti, fra cui la delibera di riconsegna integrale adottata arbitrariamente dalla Giunta comunale il 28 marzo 1950; per cui, sono da ricercarsi le ragioni che indussero persona, nota o ignota, ad ordinare la fabbricazione di quel verbale; ciò dovrà essere compito dell'Autorità Giudiziaria cui va segnalata, senza esitazione, l'opportunità di accertare con mezzi idonei eventuali intenti criminosi dei responsabili del tentativo.

    11) Deve ancora accertarsi se sussistano responsabilità da parte dei funzionari e degli amministratori che hanno reso possibile la assurda definizione di un problema cittadino e nazionale di grande importanza; si deve a fondo indagare sulla constatata sparizione di documenti dalla pratica, sull’inserimento di altri atti irregolari, fra cui i due noti verbali; nell'accertamento delle eventuali responsabilità di cui sopra si deve esaminare la parte che hanno avuto in esse i privati, e se, con loro azioni abili e pressanti, abbiano indotto gli organi del Comune a deliberare erratamente; e ciò affinché i gravi danni che sono derivati al Comune e che si accresceranno enorme mente al momento di rientrare nella legalità con l’annullamento degli illegittimi provvedimenti adottati, siano assunti in proprio e in solido da coloro che più direttamente si resero colpevoli dell’azione illecita a danno dell'interesse e del patrimonio cittadino.

    12) Di questo stato di cose devono essere esaurientemente informati tanto l'Autorità tutoria che l'Autorità giudiziaria, per gli eventuali provvedimenti di loro competenza.

    Egregi Colleghi della minoranza e della maggioranza di questo Consiglio, mi sono attardato nella mia particolareggiata e obbiettiva disamina della questione, nel doveroso intento di rendervi più chiari e completi i fatti affinché possiate giudicare con maggiore cognizione di causa. L'esame di questa laboriosa pratica, protrattasi tanto a lungo nel tempo, denuncia un deplorevole sistema.
    Fino ad oggi, avanti che fosse chiarita nelle sue diverse fasi successive, questa complicata vicenda amministrativa, si poteva far salva la buona fede di tutti coloro che ignoravano la reale situazione delle cose. Io ritengo d'aver data oggi la dimostrazione che la convenzione Comune-Orlandini è nulla e che nulli sono tutti gli atti esecutivi di essa quanto a rinunzia di esproprio. Fino a una precisa prova contraria non può essere ignorato il danno che è venuto al Comune, e che dovrà venire ancora per effetto di atti ritenuti validi nonostante la loro sostanziale ed ora evidente invalidità. Su questa responsabilità richiamo l’attenzione dei Colleghi nell’atto di votare su di una relazione di maggioranza che si è lasciata prendere, mi permetto rilevarlo, da pretesti polemici sorvolando sulla sostanziale realtà delle cose.
    Ho terminato.

    Chiedo, ad ogni buon effetto, che il testo del mio intervento venga inserito nella delibera, ne faccia parte integrante, e sia trasmesso agli organi di tutela e alla Autorità Giudiziaria. A questo scopo mi permetto di presentare il testo scritto del mio discorso.