Gioie e spine

    Nell'anno scolastico 1947 doveva riparare in latino. Questa materia fu per Cesarino un osso duro e in quell'estate la mamma, giustamente preoccupata, lo affidò a Don Guerrino Ghelfi, parroco a Ceretolo, perchè preparasse il bimbo per l'esame di riparazione.
    Avvenne così che a Ceretolo, il nostro Cesarino, ebbe modo di trascorrere vari mesi di lavoro, curato e coltivato con affettuosa cura da quel Sacerdote.
    Ma lasciamo la parola a Don Guerrino:
    «Il mio primo incontro con Cesarino fu ai primi dell'ormai lontano ottobre 1942 a Casalecchio di Reno dove io ero Cappellano.Nel giorno della 1ª Comunione (5 Nov. 1942)
    Mi pare che fosse proprio il 2, il giorno degli Angeli Custodi che lo potei avvicinare intimamente. Dopo la funzione della sera venne in Sagrestia da me la sua mamma, tenendo vicino a sè per mano Cesarino, e mi disse: «Mio marito ed io abbiamo accolta la proposta del Signor Arciprete di offrire una vetrata per la nuova Cappella di S. Giovanni Bosco, e vi faremo incidere il nome di Cesarino; però sarebbe nostro desiderio che quando il Cardinale arriverà ad inaugurare la nuova Cappella il nostro bimbo venga ammesso alla Cresima e Comunione.
    Ho già parlato con l'Arciprete e mi ha detto di sì, ora lo presento a Lei perchè me lo prepari, come si deve, a ricevere questi santi Sacramenti».
    Mentre la madre così mi parlava, io tenevo gli occhi rivolti al bambino che ora guardava a me, ora alla mamma; e mentre essa mi manifestava la sua viva preoccupazione perchè il bambino fosse bene istruito e ben preparato alla solennità del momento, vedevo spuntare sul labbro innocente un leggero sorriso mentre gli occhi suoi si facevano vivacissimi e, chinando il capo, con leggeri cenni confermava quanto la mamma sua mi stava dicendo. E allora io presi fra le mie le sue manine e gli domandai: «Desideri proprio di fare la tua prima Comunione?». «Sì, tanto, tanto!». «E la vorrai fare bene?». «Bene come la faceva San Luigi!».
    Rimasi meravigliato di una risposta sì bella e sì franca, ma guardandogli negli occhi vi lessi tutta la sua sincerità.
    E così da quella sera, Cesarino venne da me ogni giorno per lo studio della Dottrina. Veniva sempre puntuale e molto volentieri e sempre ben preparato sulla lezioncina che gli assegnavo volta per volta. Più che delle formule a memoria mi premeva che si imprimesse nella sua mente il loro significato; volevo cioè che il Signore lo sentisse vicino a sè come un dolce Padre, che il pensiero della Madonna gli accendesse nel cuore una tenera e filiale devozione, che le verità eterne con la loro promessa del premio e con la loro minaccia del castigo gli parlassero più che alla mente al suo cuore e lo guidassero nella vita pratica, che sentisse un grande amore alla virtù ed una pronta ripugnanza al male. Volevo proprio istillargli il gusto della pietà, lo spirito di sacrificio, la ginnastica della volontà. Mi premeva che il mio piccolo sentisse la vita di pietà e le sue pratiche non come un peso ed una noia; che le adempisse non con la stessa volontà ripugnante con cui studiava l'aritmetica, che fossero non come un numero qualunque della giornata, da compiere come il mangiare od il dormire; ma la sentisse come una dolce necessità, un bisogno istintivo del suo spirito, uno slancio generoso del suo cuore.
    Ero forse molto esigente, ma è proprio di noi educatori l'esigere molto perchè ci preme che i nostri piccoli siano molto simili a Gesù.
    Per amore del vero, debbo dire che in Cesarino trovai un terreno molto adatto, molto fertile ed assai promettente. Quel terreno era già stato solcato dalla grazia divina e certamente anche dalle cure materne. Pertanto io non feci altro che seminare più abbondantemente in quei solchi già sì ben disposti. Seminai a piene mani ed affrettavo lo spuntare dei germi con la speranza. Non fu vana speranza, perchè oggi, e non dopo molto tempo, ne ho visti i frutti!
    Passavamo giornalmente un'ora assieme, una ora piena di comune letizia; il bimbo si dilettava nell'ascoltare le mie parole, godeva quando gli parlavo di bimbi che amavano tanto Gesù; di quello che avevano fatto nella loro prima Comunione, si entusiasmava quando gli narravo la vita dei piccoli santi, specialmente dei piccoli martiri; io godevo della sua gioia ed esultavo della sua innocenza.
    Un giorno gli parlavo di S. Tarcisio; all'improvviso mi interruppe e mi disse: «Allora i martiri sono quelli che hanno amato di più degli altri il Signore?». «Sì, risposi io, e perchè?». Il bimbo sorrise lievemente e poi chinando il capo mormorò piano «Allora io...».
    Allora che volevi dire mio Cesarino? Era una protesta di umiltà o lo Spirito Santo ti faceva sentire che un giorno anche tu avresti intrecciata la stola candida alla Palma del martirio?
    Prima di separarci andavamo a fare una visitina al nostro Amico Gesù e a dare un salutino alla nostra Mamma celeste. Il bimbo pregava con tanta fede, con tanta semplicità, con tanto entusiasmo, che quasi si trasfigurava. Gesù doveva essere molto contento di lui, come contento ne ero pure io; perciò l'amavo molto ed egli mi ricambiava assai.
    Gli ultimi tre giorni li passò con me in ritiro spirituale; stette molto in Chiesa per essere molto vicino a Gesù, perchè il suo cuore fosse caldo dei più santi affetti e l'anima fosse adorna delle più belle virtù.
    Mi è impossibile ridire la grande gioia del bimbo in quegli ultimi istanti! Della sua anima, io che vi lessi ogni segreto, posso dire che la vidi una fonte limpidissima, uno specchio tersissimo, un diamante senza macchia! E, quando Gesù discese per la prima volta nel suo cuore, mi parve proprio di vedere quasi con questi stessi occhi con quanta compiacenza Gesù si rimirava in lui ed imprimendovi la Sua immagine in tutta la sua bellezza lo rese tutto raggiante e splendente. Che cosa gli disse Gesù? non lo so. Cesarino mi disse soltanto che aveva provata una gioia così grande che non me la sapeva ridire.
    E tu, domandai io, che cosa hai detto a Gesù? «Gli ho detto quello che disse il piccolo Guido, ho detto di sì. Ho promesso a Gesù, che farò volentieri tutto quello che mi chiederà!».
    Allora nè io nè tu sapevamo quello che Gesù ti avrebbe chiesto, ma pure mi piacque tanto questa tua promessa! Tu allora promettevi nella tua generosità di accettare anche il grande sacrificio che oggi hai offerto come un'ostia monda come quella che ricevesti allora!
    Da quel giorno lo vidi sempre frequente alla Mensa Sacra, il pane Eucaristico gli dava gusto e l'attraeva potentemente. Alla domenica e negli altri giorni di festa veniva sempre, accompagnato dalla mamma alla Messa dei fanciulli. Faceva prima la Santa Confessione e durante la Messa la Santa Comunione. Così continuò a fare tutto il tempo che rimase a Casalecchio finchè la famiglia non sfollò via per cause di guerra.
    Cesarino era prima Fanciullo Cattolico, poi Aspirante: quindi un piccolo soldato della grande milizia Cristiana. Dirò che era molto contento di essere all'associazione e si studiava di compiere tutto il suo dovere. Tra i suoi coetanei si sentiva un piccolo apostolo; li attirava alla chiesa, alla Messa, al Catechismo e poi li conduceva da me consegnandomeli come una conquista sua. Era assiduo alle adunanzine di associazione e soprattutto stimolava gli amici a mettere in pratica i piccoli suggerimenti che davo loro.
    Quell'anno per Natale e per la festa di S. Giovanni Bosco avevo bandito un concorso tra gli Aspiranti. I migliori punti si guadagnavano con: Messe ascoltate, Sante Comunioni, S. Rosario ecc. ecc. Opere belle e buone, ma che richiedevano molta buona volontà! Basti il dire che la Messa della novena era alle 6 del mattino, e in quell'anno l'inverno si era già adirato con il suo freddo. Eppure moltissimi Aspiranti fecero bene la gara volendo ciascuno arrivare per primo al traguardo. Fuori concorso ci fu un piccolo gruppo di Fanciulli Cattolici, che volle ugualmente partecipare alla gara. Di questi Cesarino fu il migliore ed arrivò, dirò così... primo degli indipendenti!
    Così sarebbe stato utile e bello continuare, ma purtroppo la guerra venne a guastare tutto. Il nostro comune lavoro dovevamo con rincrescimento sospenderlo. La famiglia sfollò e Cesarino andò via con essa. Prima di partire mi venne a salutare. Fu un comune dispiacere. Gli raccomandai che si mantenesse buono e sopratutto si mantenesse fedele alle pratiche di pietà. Mi promise che ci avrebbe messo tutto l'impegno. E così lo lasciai e non potei più seguirlo da vicino ne controllarlo.
    Pur da lontano rimase unito alla nostra Associazione di Casalecchio. Prese regolarmente la sua «Fiamma» prima e poi la tessera di Aspirante. Lo vidi qualche volta di sfuggita per la città. Erano brevi incontri ma servivano a me per dargli sempre qualche buon suggerimento, per invogliarlo al bene, allo studio ed alla pietà. L'ho sempre trovato allegro, senza cruccio o malinconia; sempre vivace e ardito nei suoi progetti di giochi. Metteva in pratica il mio avviso: «il buon Aspirante sorride sempre perchè ha la coscienza tranquilla».
    Alla fine di agosto 1947 dopo circa un anno che non ci eravamo visti, l'incontrai per via nei pressi di casa sua. Io non l'avevo visto, ma fu lui che mi venne a tirare la veste. Mi fece una gran festa e volle ad ogni costo che salissi in casa sua perchè mi voleva un po' con sè per salutare sua mamma.
    Mi parlò di sè, della vita al mare, dei suoi compagni e, questo c'era sempre, dei suoi giochi preferiti. Tutte cose belle che entusiasmavano Cesarino e facevano piacere anche a me. Però la mamma cominciò un'antifona poco buona. Mi manifestava la sua preoccupazione per l'esame di riparazione di Cesarino. In fatto di latinorum Cesarino soffriva di anemia. Aveva bisogno di qualche iniezione ricostitutiva. Ma dove trovare la medicina e l'iniettore? Erano questi i pensieri della mamma. Per toglierla dall'imbarazzo, le offrii il mio aiuto. Così Cesarino venne da me, nella mia canonica di Ceretolo; veniva per rifarsi nel latino, ma io non trascurai di curarne anche lo spirito. Stette con me una quindicina di giorni, ma furono più che sufficienti per conoscere bene il ragazzo.
    Ritornava nell' intimità dopo quattro anni circa: lo credevo mutato sia per il progresso dell'età, sia per le tristi influenze della guerra sui ragazzi. Invece nò: mutato nel fisico; più grande, più robusto, più maschio, più folti e ricciuti i capelli, più marcato il naturale sorriso delle labbra; ma il suo spirito come il suo cuore non avevano subito degli strapazzi, delle lacerazioni o delle crisi. Ritornava a me già tredicenne, e lo ritrovavo buono ed innocente come lo lasciai poco dopo la sua prima Comunione, cioè dopo i nove anni.
    Alla mattina arrivava presto colla sua biciclettina tutto allegro e fischiettando con la cartella dei libri. Partiva dalla città per tempo per risparmiare soldi nel biglietto del tram che lo portava fino a Casalecchio, e così quei soldi li dava in elemosina ai poveri. Questo me lo disse un giorno durante la lezione: «quello che risparmio nel tram e quello che mi da mia mamma avevo pensato di usarlo per comprarmi un gioco, ma poi ho pensato che faccio meglio a darlo ai poveri».
    Appena arrivava, deponeva la bicicletta e andava in chiesa a salutare per primo, come volevo io, il vero «Padrone di casa», poi correva in compagnia dei miei aspiranti, che in fatto di giochi non erano mai sazi o stanchi, finchè non veniva l'ora dello studio o della lezione. Abitualmente lo trattenevo nel mio studio per due ore e mezzo al mattino e per circa due ore al pomeriggio. Ero un po' esigente, è vero, ma il bisogno c'era e il tempo che lo separava dalla prova era molto breve. Nei primi giorni fece un po' fatica ad assuefarsi alla mia disciplina, ma si adattò bene ed anche volentieri. Mentre stava con me seduto al tavolo davanti a quei... maledetti libri che gli cagionavano quel quasi doloroso carcere, mentre fuori, nel prato, gli aspiranti se la passavano bella giocando al pallone, sentiva e gustava tutta l'amarezza di una bocciatura e di un rimando a settembre.... Guardava di quando in quando fuori della finestra, rincorreva con gli occhi quel pallone che rimbalzava sui veloci piedi dei suoi amici, mordeva fra i denti la penna, e quando io lo richiamavo alla dura fatica scuoteva il capo, distoglieva gli occhi dal suo idolo, correva a rintracciare la riga della traduzione abbandonata e mi diceva: «Sì, mi ci metto con forza perchè voglio riuscire ad ogni costo!... e quest'altro anno a settembre non mi manderanno!!!».
    Qualche volta, quando faceva bene la traduzione o studiava le eccezioni della terza declinazione, quelle che gli davano più fastidio nei compiti scritti, gli concedevo una mezz'oretta di sollievo. Come correva subito fuori, non riuscivo più a trattenerlo un secondo!
    I miei aspiranti se li era fatti tutti amici, e questi infatti gli volevano proprio bene perchè, mi dicevano: «È un ragazzo molto allegro e simpatico!».
    Per questo Cesarino veniva molto volontieri a Ceretolo. In città aveva pochi amici, e sopratutto poco spazio: una ristretta terrazza. Da me c'era il prato, molti ragazzi e grande varietà di giochi; c'era la vigna coi bei grappoli d'oro, molti alberi carichi di frutta, specialmente le noci, sui quali Cesarino amava molto spesso di salire fin nella cima più alta.
    Confesso in verità che al tempo della raccolta delle noci ce ne erano più poche; i ragazzi avevano cominciato a sbatterle che non erano ancora mature, con sassi e bastoni; era per loro uno dei più bei divertimenti. Io ridevo e lasciavo correre!...
    Nel gioco metteva in pratica la regola: «L'Aspirante è leale». Amava la sincerità; non voleva imbrogli o ballottini; sapeva stare da meno quando perdeva, senza avvilirsi o adirarsi, non insuperbiva quando vinceva. Non era smodato nel trattare, sguaiato nelle grida, violento nel rincorrere, ma garbato e gentile, sempre pronto a perdonare i piccoli torti, non amava le risse, non voleva le parole di offesa, tanto facili nei ragazzi, riscaldati dal gioco. Era con tutti sempre di una ingenuità e modestia encomiabile. Di questo proprio mi preme parlare e darlo come esempio a tutti gli Aspiranti.
    In fatto di purezza Cesarino era davvero angelico, e questo lo posso testimoniare con tutta verità.
    Aveva tredici anni, ma il suo cuore era ancora un mare placido senza crespe, non conosceva ancora le crisette proprie di questa età. Retto nei pensieri, puro nelle parole, purissimo negli affetti. Malizia o precoce morbosità in lui non c'era. Per Cesarino tutto era mondo.
    Per questa sua purezza angelica fu degno di seguire l'Agnello immacolato. Dissi già più sopra che la sua anima nella prima Comunione la vidi monda e chiara come una fonte cristallina, come un diamante senza macchia; dirò ora che la mantenne tale fino alla morte. Cesarino si è presentato al Giudice Divino con l'anima rivestita ancora della innocenza battesimale.
    Se ho detto che amava molto i giochi, e qualche volta anche più dello studio, tuttavia nei suoi doveri non si dimostrò trascurato. Il latino, è vero, gli sembrava troppo amaro da masticare, ma io cercai di presentarglielo un po' dolcificato, in maniera facile e piana. Gli richiamai il dovere, gli obblighi verso Dio e genitori, sicchè il ragazzo ci si mise con grande spirito di sacrificio e di buona volontà. E di questa ce ne aveva proprio perchè molte volte vedevo come faticava e lottava contro la noia del caldo e le difficoltà dello studio.
    Nell'obbedienza poi era sempre pronto. L'obbedienza brontolona e borbottona non era di casa sua. Nella carità fraterna era esemplare. Faceva spesso dei piccoli fioretti ed insegnava anche agli altri a farne. Per es.: molte volte non volle bere al pomeriggio dopo il gioco quando era tutto accaldato e sudato.
    Terminata la lezione e prima di tornare a casa, chiamava gli altri ragazzi e li conduceva in Chiesa per la visita a Gesù. Poi montava sulla bicicletta e salutandomi mi gridava il rituale saluto aspirantistico «Sia lodato Gesù Cristo».
    E nella vita di apostolato come andava? Molto bene. In quei giorni io stavo organizzando i miei giovani che dovevano partecipare al grande Convegno «Gioventù Cattolica Italiana».
    La sera del sabato 6 settembre invitai tutti i soci e gli aspiranti per la Confessione mensile in preparazione alla Comunione della prima domenica del mese. Bisognava pregare molto per superare gli ostacoli e perchè la manifestazione del Convegno riuscisse bene. Cesarino venne a confessarsi per primo. E quella fu anche la sua ultima confessione; cosicchè io ne ascoltai proprio la prima ed anche l'ultima. Al mattino seguente doveva venire a Ceretolo per fare la S. Comunione insieme ai miei aspiranti; ma poi non venne perchè la mamma sua lo portò seco in S. Pietro in Bologna, ove fece la S. Comunione in occasione del Congresso Eucaristico Diocesano.
    Chi l'avrebbe mai detto che quella sarebbe stata la sua ultima Comunione? E che l'avrebbe ricevuta dal Cardinale Arcivescovo di Bologna, lo stesso che avvicinò Cesarino a Gesù la prima volta?
    Nella settimana dal 7 al 14 settembre in città si svolsero i solennissimi riti del Congresso Eucaristico Diocesano. A questi Cesarino vi assistette sempre volonteroso e pieno di entusiasmo, rubando un po' di tempo al sonno per poter attendere anche con fervore allo studio. Cesarino aveva un'anima, direi nativamente eucaristica, perciò quella che fu la settimana dei grandi trionfi di Gesù Eucaristia furono anche i giorni nei quali più di tutta la sua vita sentì il gusto, il fascino, la dolcezza e l'amabilità del pane celeste; di quel pane, che gustandone, non si toccherà la morte in eterno.
    Lo vidi in quei giorni molto trasformato: pio e devoto più del solito, soffuso di delicatezza e di bontà in tutta la persona, sicchè non era difficile scoprire qual tesoro di grazie e di virtù nascondesse in cuore, poichè ben gli si applicavano le parole del sommo Parini: «ciò ch'è nel cuor scolto lasci apparir nel volto»!
    Ora ripensando sempre più a queste mie constatazioni, meglio mi par di comprendere le parole dell'Apostolo Paolo: «Vivo io, non più io, vive in me Cristo». Con questa vita divina in sè, Cesarino si preparò a chiudere l'ultima pagina della sua giornata terrena. Gesù venne accanto a Lui e vi pose il suo sigillo perenne. In quell'infausta sera del 20 settembre '47 mi era al fianco, da me non chiamato, ma a me guidato da uno istinto sopranaturale, intento al lavoro per il trionfo di Gesù e dell'Azione Cattolica. Lavorava con entusiasmo e con dedizione con un grande sorriso sulle labbra e col cuore gonfio di una grande gioia poichè in quella sera, contrariamente alle sue abitudini, scriveva e disegnava i cartelli inneggianti al Papa e all'Azione Cattolica cantando. Non era solito cantare, ma quella sera cantò quasi sempre ed inni religiosi a Gesù e a Maria. Quel canto innocente ed affettuoso non valse ad intenerire il cuore di pietra dei nostri vili assassini che origliavano alla nostra porta, e a trattenerli dal loro insano gesto. La bontà e l'odio vennero alle mani: in quel momento fu più potente l'odio e riportò la vittoria. All'odio s'accompagnò la morte: arrivò improvvisa e crudele, trovandolo inconsapevole, ma non impreparato. Così Cesarino cadeva al mio fianco vittima di pace, martire d'amore! Quel sacrificio mondo e prezioso di un piccolo Aspirante consumato nelle ultime ore della febbrile attesa fu il segreto dell'immenso trionfo della Gioventù Cattolica Italiana. Si perchè nulla può di più sul Cuore di Cristo del sangue dei martiri. Ed io ancora fra le macerie fumanti mescolai il mio sangue col suo e con gli occhi pieni di lacrime mi chinai riverente a baciare quelle tenere membra tanto straziate, nella certezza di imprimere i primi baci ad un piccolo martire di Gesù!...
    Ora, a distanza di mesi, vedendo come il suo nome sia ormai noto in tutta Italia ed il grande bene che ha suscitato, penso che è l'odio che ha vinto, ma che è l'amore che oggi trionfa e trionferà domani!