Diecimila chilometri di fotogrammi sovietici

    L'era post-staliniana ha messo il Partito Comunista Sovietico faccia a faccia con una rivoluzione incruenta che esso preferirebbe ignorare.
    Le insegne al neon, di un genere tutto nuovo, che sono state inalberate a Mosca e nelle capitali minori dell'URSS sono qualcosa più che semplici avvisi pubblicitari. Sono presagio del futuro. Dicono: «Assicurate i vostri beni personali», «Investite il vostro avvenire in buoni del Tesoro», a Mettete al sicuro il vostro denaro nelle Banche di Risparmio».
    Ho viaggiato per quasi diecimila chilometri nell'Unione Sovietica ed ho visto una larga fetta di questo immenso, potente e inquietante paese, di questo gigante evasivo e fangoso che si rende conto della sua forza ed è nello stesso tempo spaventato della sua debolezza. A girarlo in lungo e in largo si ha la prova di essere dinanzi a qualcosa che può risolversi in uno degli sviluppi più significativi dall'epoca della rivoluzione bolscevica, qualcosa che può risolversi anche in una delle più luminose speranze ai fini di una duratura pace mondiale. Ed è che la Unione Sovietica sembra imbarcata in una «rivoluzione del ceto medio» che per il fatto di essere priva di violenze e graduale non è meno potente di quelle cruente.
    Malgrado la dottrina comunista, l'URSS sta producendo un potente ceto medio con un preciso istinto della proprietà. Un giorno o l'altro questo ceto medio potrebbe accerchiare e sopraffare il partito comunista.
    Non posso dire di aver trovato una irrequietezza rivoluzionaria, ma ho riscontrato un senso di fastidio e di irritazione, specie nei confronti della burocrazia. In alto e in basso, in ogni ambiente, si manifesta una illimitata fiducia in tempi nuovi, la certezza che ci si deve avviare verso un migliore avvenire e che, in ogni caso, è ora di cambiare. «Abbiamo un nuovo Capo ora», mi disse un giovane meccanico specializzato a Mosca. «Abbiamo un governo nuovo ora», mi disse un insegnante in un borgo dell'Asia centrale. Frasi del genere le ho sentite molto spesso un po’ dovunque, e indicavano chiaramente un senso di sollievo per il fatto che Stalin non c'è più e la speranza che vi è qualcosa di nuovo all'orizzonte.
    Alcuni ammettevano francamente che la promessa di Malenkov di migliorare il tenore di vita nel giro di «due o tre anni» è un po’ troppo ottimistica. C'è da lavorare per almeno dieci anni a costruire strade e case, a produrre utensili e macchine ed a sviluppare il sistema di trasporti prima che il fronte del consumatore sovietico possa allinearsi con quelli di qualsiasi paese occidentale. L'ostacolo più grande è forse la congelatissima burocrazia consolidatasi sotto la dittatura di Stalin. Se Malenkov è veramente intenzionato a farsi amica la nazione, dovrà affrontare coltello alla mano la burocrazia per cercare di scrostarla. Dovrà cercare di snellirla per rendere agevole la produzione, e qualificata.
    Il dilagante ceto medio sovietico si va facendo chiaramente impaziente. A Mosca la gente cerca da un po’di tempo, ansiosamente, le riviste americane per poter sognare sulla policromia pubblicitaria dei beni di consumo. A Leningrado ho conosciuto un funzionario di grado medio che si è messo d'accordo con un americano perchè gli ceda le copie usate di cataloghi degli empori. Vi sono donne sovietiche che rifiutano di indossare la merce scadente offerta dalle cooperative di abbigliamento e si confezionano da sole abiti di linea occidentale. Tutti questi sono moniti per il nuovo regime.
    Di continuo si ha la prova che l'istinto della proprietà privata, lungi dall'essere stato sterminato, è in piena fioritura in un vasto strato della popolazione che può senz'altro identificarsi col ceto medio, ed è evidente la determinazione di questa gente di trasferire beni accumulati alla prossima generazione. Questa gente la si trova fra i comunisti della seconda e della terza generazione, quelli che non hanno ricordo del bolscevismo rivoluzionario, ed anche fra la sempre più vasta classe di dirigenti, specialisti, studiosi, scrittori, tecnici, professionisti in genere, ufficiali delle forze armate, operai specializzati che ricevono alti salari, e l'intero strato di gente istruita su cui fonda le sue speranze e le sue fortune l'economia sovietica.
    In una popolazione di oltre duecento milioni, questa gente costituisce un blocco di quasi quaranta milioni. Si tratta di gente che per talento, per tenacia o per favoritismi di partito ha conquistato posizioni di vantaggio economico: un discorso, questo che vale sia per coloro i quali risiedono nelle progredite repubbliche sovietiche al di qua degli Urali sia per coloro che sono andati a colonizzare le arretrate repubbliche della periferia asiatica. In ogni caso, tutta gente che è interessata a conservare la posizione raggiunta ed a trasferire ai figli i frutti del proprio successo.
    Il nuovo governo non sarà in grado di trattarli con la facilità e la disinvoltura che aveva Stalin. Da un lato, per costruire uno Stato industriale il governo sovietico ha dovuto dare una istruzione alle masse; dall'altro, il potere di polizia che caratterizzava il governo centrale è stato danneggiato dalle violenti epurazioni culminate di recente nell'esecuzione di Laurenti Beria.
    Il partito comunista continua a puntare sulla propaganda che postula incessantemente «l'educazione comunista delle masse, e lo sradicamento dei superstiti del capitalismo e dei residui psicologici e morali della proprietà privata». Ma il nuovo programma sovietico sembra indirizzato verso la direzione opposta. Si fanno ampie concessioni ai contadini in fatto di iniziativa privata e si tentano le masse con prospettive di risparmio, di beni di consumo migliori e di proprietà privata.
    Per ironia della sorte, questa è la «rivoluzione borghese» che Lenin e Trotzki non furono in grado di vedere. Marx aveva enunciato il principio che un paese feudale, quale la Russia zarista, doveva passare attraverso uno sviluppo capitalistico prima di divenire una «dittatura del proletariato». I comunisti cercarono di soffocare sul nascere lo sviluppo capitalistico.
    Ora sotto la pressione di un qualificato ceto medio lo sviluppo capitalistico si è profilato: il governo, tentando una strada nuova, si industria di assecondarlo. Ma la pressione è tanto decisa che quando il partito deciderà che è ora di troncarlo, si accorgerà che probabilmente è troppo tardi per farlo. Non più in grado di fare affidamento sugli spietati metodi di uno Stalin in una società che molte generazioni separano dallo zarismo e dalla violenta rivoluzione, il partito potrebbe riconoscersi incapace a riprendere in pugno la situazione. Già ora manifesta un crescente nervosismo di fronte al tono esigente che accompagna le richieste della massa.