Duello per i primi posti

    Che pensano gli uni degli altri gli uomini che stanno a capo dell'Unione Sovietica?
    La fucilazione di Laurenti Beria, che fu per tanti anni lo strapotente dittatore della polizia, non pare che abbia messo fine alle rivalità fra i caporioni del comunismo mondiale.
    Nelle supreme gerarchie rimane un fondo di amarezza, di invidia, di diffidenza che non è facile, salvo in rare occasioni, controllare in base ai fatti.
    Questo che sto per narrare è un episodio che in regime di censura sovietica avrei dovuto lasciare nella penna. Oramai è chiaro che a Mosca i capi del Praesidium del partito si dividono le cure e le responsabilità e gli onori del potere, e che il primo ministro Malenkov forse non è che un «primus inter pares», su per giù come il presidente di un consiglio di amministrazione.
    Sarebbe difficile immaginare una occasione migliore per osservare da vicino la piccola schiera di caporioni in un'ora di distacco dalle consuete remore del cerimoniale, di quella offerta dal ricevimento tenuto al Palazzo Spirodonovka, sede del ministero degli esteri, il sette novembre scorso per celebrare con l'intervento del corpo diplomatico l'anniversario della rivoluzione d'ottobre.
    Faceva gli onori di casa agli invitati il ministro degli esteri e vice primo ministro Viaceslav Molotof. Erano assenti solo Malenkov, Voroscilov e Kruscev, Primo Segretario del Partito.
    Le centinaia di diplomatici invitati al ricevimento se ne ricorderanno per un pezzo, e così me ne ricorderò anch'io, perchè non può capitare che di rado di assistere allo spettacolo ammannito ai loro ospiti dai capi sovietici, intenti a scambiarsi velenose insinuazioni e parole a doppio senso con qualche più o meno velata allusione alla corsa al potere che procede tuttora dietro le quinte.
    Abbiamo visto i capi sovietici voltare le spalle per tutta una serata ai diplomatici dei paesi più importanti. Li abbiamo visti fare finta di non accorgersi neanche che fra gli ospiti c'era anche l'ambasciatore della Cina comunista, all'indirizzo del quale più d'una volta questo o quello dei membri del governo lanciava un frizzo da levare la pelle.
    Lo spettacolo incominciò quando Molotov ed i suoi colleghi del Praesidium accompagnarono ad una tavola un po’appartata dalle altre, quasi una tavola speciale, gli ambasciatori della Gran Bretagna, della Francia, della Cina comunista e degli Stati Uniti. Insieme ai quattro diplomatici sedettero a quel tavolo i capi del governo, dopo aver fatto posto al capo dei comunisti della Germania orientale, Walter Ulbricht, e a pochi altri membri del corpo diplomatico. Poi, secondo il costume russo, incominciarono senz'altro a dare la stura ad una lunga serie di brindisi.
    Furono tanti i brindisi e tanta la vodka trangugiata che ben presto cominciarono ad avvertirsene gli effetti, sia sugli oratori sia sugli ascoltatori. Alcune delle più eminenti personalità del Praesidium comunista presero a balbettare alquanto, benchè la loro parlantina andasse sciogliendosi quasi di momento in momento. Il solenne Lazar Kaganovic, ex-«Commissario di Ferro» dell'Ucraina e, per l'imprecisabilità delle parentele in alto loco, presunto cognato di Stalin, non la finiva più di parlare. Molotov aveva un bel tirarlo per la manica: Kaganovic rifiutava di tacere.
    Il vice primo ministro Anastas Mikoyan, dai lineamenti duri ed incisivi aveva l'aria di un bandito armeno in vena di allegria. E bisognava sentire con quali strali e con che pungente animosità parlava dei suoi colleghi del Praesidium e dei loro ospiti al ricevimento.
    Ad un certo punto, si beveva e si brindava già da qualche ora, Kaganovic incominciò ad improvvisare brindisi a getto continuo senza fare pausa fra l'uno e l'altro. Poi venne il colpo di scena. Kaganovic stava inneggiando alla «grande amicizia che unisce i popoli della Unione Sovietica» ed aveva fatto menzione dei popoli Tadgiki, Uzbeki, Kazaki, quando Mikoyan lo interruppe:
    «E i georgiani? Li hai dimenticati?».
    Seguì un attimo di silenzio quasi drammatico, come se all'improvviso dietro al tavolo fosse sorto e si agitasse lo spettro di Beria.
    Ma Kaganovic si limitò a dare una guardataccia al collega e poi disse: «Ma certo, anche i georgiani».
    C'erano poi almeno due persone al tavolo del Praesidium che non
    potevano fare a meno di rivelare nei gesti e nel volto il loro imbarazzo, Ulbricht e l'ambasciatore cinese Cian-Uen-Tian. Quei due non si divertivano, dato che nessuno dei capi si degnava di rivolgere loro una parola o uno sguardo. In un certo momento, visto che nessuno si era ricordato di loro, si scambiarono sottovoce un brindisi. Ma venne il momento che qualcuno domandò: «Come mai l'ambasciatore della Cina non ha pensato di fare anche lui un bel brindisi?». Mikoyan, indicando col pollice l'ambasciatore, rispose per tutti: «Quello? Quello non pensa affatto».
    C'era un altro ambasciatore asiatico il quale probabilmente deve essersi un po’ risentito, l'ambasciatore della Birmania. Nessuno pareva essersi accorto di lui. Ad un tratto però il birmano si alzò e tentò timidamente di aggiungere un suo brindisi ai tanti che s'incrociavano attraverso la tavola. Incominciò a parlare della pace esprimendo la speranza che quel ricevimento, che riuniva i diplomatici di ogni paese, potesse costituire un fattore della pace mondiale. Gli diede sulla voce rudemente il vecchio Kaganovic, gridandogli: «Perchè non buttate fuori i nazionalisti cinesi dalla Birmania?».
    Il birmano ricadde a sedere e tacque.
    Kaganovic avrebbe continuato chissà ancora quanto a parlare dei più svariati argomenti ed aveva incominciato un discorso enfatico contro i «fautori della guerra», un discorso che pareva copiato da un articolo di fondo della «Pravda», quando Molotov, non per la prima volta, tirandolo per la manica lo pregò di finirla, facendogli osservare che la serie dei brindisi era terminata.
    «Macche!» — gridò Kaganovic. «Ne faremo ancora tanti di brindisi!».
    Venne invitato a sedersi al tavolo del Praesidium il maresciallo Gheorghi Zukov, vice-ministro della Difesa. L'eroe di guerra, serio, un po’ imbronciato come se volesse esprimere la sua disapprovazione del contegno tenuto davanti a rappresentanti stranieri dai capi della Russia Sovietica, si sedette ad aspettò che Molotof gli chiedesse di fare un brindisi.
    Subito si alzò e, poichè l'ambasciatore americano Bohlen aveva poco prima brindato alla giustizia, si limitò a dire con un breve inchino: «Mi associo al brindisi dell'ambasciatore Bohlen». E Mikoyan: «Che hai, Zukov, non pensarlo da te il tuo brindisi?».
    «Ripeto — affermò Zukov, duro — che desidero associarmi al brindisi alla giustizia».
    In quel brindisi, sia detto fra parentesi, l'ambasciatore Bohlen
    aveva ricordato ai capi dello Stato sovietico che la formula più semplice che basta a definire la pace è questa, che venga dichiarata colpevole di voler provocare la guerra la nazione che per prima varca la frontiera in armi.
    Bene, quel ricevimento è stato poi l'argomento di infinite discussioni nel piccolo mondo diplomatico di Mosca. Secondo alcuni diplomatici, il contegno di Mikoyan era quello che aveva suscitato più curiosità. Forse, si pensava, Mikoyan era ancora sotto l'impressione degli avvenimenti di queste ultime settimane. Dopo tutto, fu proprio lui a far entrare Beria nei ranghi del partito agli albori della rivoluzione. Secondo altri, l'atmosfera pesante che si era formata intorno al tavolo del Praesidium durante il memorabile ricevimento confermava che i capi sovietici, avendo dovuto rinunciare alla loro personalità finchè visse Stalin, si sfoghino ora a parlar chiaro, ora che al posto di Stalin sta un Malenkov.
    In ogni modo, i pareri erano unanimi su un punto: il nuovo Politburò è una forma di governo collettivo che consente a ciascuno dei capi, all'occorrenza, di scaricare sugli altri una parte almeno delle proprie responsabilità. Si aveva la sensazione, vedendoli insieme, seduti allo stesso tavolo, che respirassero per così dire liberamente dopo i lunghi anni di soffocazione sotto la stretta di Stalin, e che fossero felici come ragazzi in vacanza di poter finalmente vuotare il sacco l'uno con l'altro.
    Bisogna ricordare che il sette novembre non sapevano ancora nulla del processo e della fucilazione di Beria. Tenendo conto che i capi dovevano essere al corrente di tutto, quel loro ricevimento appare ancora più significativo. La mutria severa di Zukov, per esempio, il suo rifiuto di fare ogni brindisi per proprio conto... Quasi quasi si penserebbe che il partito comunista e l'esercito sovietico incomincino a guardarsi in cagnesco e chissà che l'esercito non stia tenendo d'occhio il partito ora che questo non dispone più di una polizia onnipotente.