La parola del papa e dei vescovi - 38

L’OMELIA DEL CARD. ARCIVESCOVO

"E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire... venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare". La ripugnanza di Pietro e degli apostoli verso questo sgradevole discorso del Signore sarebbe stata anche più grande, se avessero saputo che implicitamente con queste parole veniva preannunciato anche il destino del "Cristo totale", cioè di quanti in Gesù di Nazaret trovano non solo la sorgente della salvezza, ma anche il modello esemplare, che tutti - in modo e in misura diversi - siamo appellati e sollecitati a riprodurre nella nostra vita.
Noi però, che veniamo dopo duemila anni, conosciamo ormai la necessaria dimensione ecclesiale del mistero della croce; e dire che oggi, qui a Monte Sole, la comprendiamo con privilegiata chiarezza. Tra questi ruderi che noi onoriamo con tutto l’affetto e la venerazione di cui il nostro cuore è capace, ritroviamo, intensa e pungente, la memoria di tanti nostri fratelli, che sono stati chiamati a ridare dolorosa e preziosa attualità, nelle loro carni straziate, alla passione del Redentore.
Qui viveva un popolo pacifico e mite, che, come il Servo di Jahvè, di fronte alla furia cieca del male non ha "opposto resistenza". Noi lo sentiamo unito a noi e partecipe, in questa commemorazione della sofferenza inaudita che lo ha assimilato con eccezionale fedeltà all’innocente Figlio di Dio, divenuto per noi l’"uomo dei dolori che ben conosce il patire" (Is 53,3).
Ripresentando e rinnovando nel mistero il sacrificio di Gesù Salvatore, noi ci rendiamo conto che in qualche modo ripresentiamo e rinnoviamo anche il sacrificio di coloro che qui sono morti affidandosi solamente e totalmente a lui.

Abbiamo ascoltato dalle labbra del Signore: "Venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare". Pietro, che in quel momento non capisce la croce, non capisce neppure la gloria della risurrezione.
Croce e risurrezione sono due aspetti di un unico arcano disegno: o si colgono insieme o insieme vengono travisati. Chi non percepisce la dimensione salvifica del dolore, si preclude ogni speranza di vita eterna; e chi non crede che il Padre è impegnato a compensare e avvalorare ogni pena, con la rievocazione continua dell’eccidio non fa che alimentare dentro di sè i tossici dell’odio, dell’incomprensione, della prevaricazione, della vendetta. E così, a ben guardare, si estrania dalle vittime e si assimila ai persecutori.
Ma noi che celebriamo con fede questo rito, proprio da questo rito siamo salvati da tale spirituale sciagura. L’Eucarestia ci ridona la presenza non solo del Cristo che è stato immolato, ma anche del Cristo risorto che vive splendidamente alla destra del Padre.
Perciò l’Eucarestia ci aiuta a leggere fino in fondo nel progetto misterioso di Dio e a capire che la sorte terrena dei nostri fratelli - soltanto spaventosa e oscura ad occhi puramente mondani - è invece una porta spalancata sulla gioia e sulla luce.
Possiamo anzi dire che la risurrezione dei martiri di Monte Sole oggi comincia già sulla nostra terra.
Oggi riaccendiamo su questi monti la lampada che da sempre aveva rischiarato la penombra delle loro chiese; oggi tra questi monti riprende il canto della lode di Dio; oggi il sacrificio del Signore, che per secoli ha illuminato e sorretto la povera esistenza dei montanari, qui ricomincia a essere quotidianamente innalzato al Padre. E noi esprimiamo viva riconoscenza ai fratelli della Piccola Famiglia dell’Annunziata, che a nome e in rappresentanza della Chiesa bolognese oggi riportano in questi luoghi, profanati da quel mostro disumano che è la guerra, la fiamma della divina liturgia.
La gente che qui viveva con semplicità, paga delle sue tradizioni religiose; che è stata uccisa coi propri pastori (capi naturali e riconosciuti di queste comunità, che hanno saputo condividerne fino in fondo il tremendo destino); questa gente che è morta aggrappata ai suoi tabernacoli; questa gente, fatta oggi spiritualmente presente in mezzo a noi, oggi finalmente si ritrova a casa, tra i santi segni che erano i suoi; riascolta finalmente le parole di pace, di amore, di misericordia - cioè le parole sublimi e familiari del Vangelo - che qui sono risonate per secoli. Oggi questa gente si ritrova finalmente rispettata nella sua identità.

Noi cristiani abbiamo un nostro modo proprio di accostarci agli avvenimenti, anche i più tragici e orrendi. Non dobbiamo illuderci che gli altri ci possano davvero capire e arrivino a condividere i nostri pensieri. Ma non dobbiamo nemmeno consentire che gli altri riescano a mondanizzare i nostri giudizi e a imporci prospettive che non sono nostre.
A noi, per esempio, interessano più le vittime dei carnefici: l’insistita attenzione alle bandiere e alle divise di chi ha ucciso può facilmente costituire la premessa per una vana e perniciosa coltivazione dei rancori o per una arbitraria esaltazione di parte; la contemplazione ammirata dei martiri, invece, è incitamento a riscoprire la speranza che ci è stata donata, a capire il valore e la realtà del mondo invisibile, a tentare di vivere secondo la legge evangelica dell’amore.
Anche noi cristiani sappiamo come tutti - anche se non tutti hanno il coraggio di dirlo - che la storia la scrivono i vincitori; ma in più noi sappiamo che la sola storia attendibile è quella che è scritta nel libro eterno di Dio; e dal suo tribunale, non dalle sentenze degli uomini, aspettiamo che sia resa giustizia.
Anzi, noi riteniamo perfino di sapere chi siano nella storia i vincitori veri: non sono mai gli uccisori, e neppure gli uccisori degli uccisori. I veri vincitori sono gli incolpevoli uccisi, questa schiera inesauribile di martiri che contrassegna tutto il succedersi dei tempi della Chiesa. Le svolte della lunga strada dell’umanità sembrano e sono tra loro molto diverse; eppure sono tutte, più o meno, imporporate dal sangue degli inermi discepoli del Signore.
Da quando il nostro Capo e Maestro è stato appeso a una croce, ogni sistema, ogni uomo, ogni potere, che crede di rendere più giusto e abitabile il mondo sacrificando la vita di uomini indifesi e innocenti, è riconosciuto bugiardo e prevaricatore in faccia a Dio. Da quando il nostro Capo e Maestro è stato appeso a una croce, noi siamo stati costretti a capire che sono i sacrificati e non i sacrificatori a rendere il mondo più abitabile e giusto.
E’ una lezione aspra e difficile; ma a Pietro che cercava di respingerla e di vanificarla Gesù con eccezionale durezza dice: "Lungi da me satana! Perchè tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini".
E’ una lezione aspra e difficile: e noi tutti, come Pietro, facciamo fatica ad accettarla e a tradurla compiutamente nella nostra vita; ma è l’unica vera.
La grazia da chiedere in questa messa sia appunto quella di diventare sempre più cristiani; cioè discepoli sempre più convinti e sempre più coerenti del Signore Gesù, crocifisso e risorto.

La parola del papa e dei vescovi
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