La parola del papa e dei vescovi - 41

SALUTO AL CONVEGNO "COMUNITÀ’ DI FEDE E RESISTENZA"

Salone di Palazzo Pepoli
Venerdì 20 aprile 1990

Nel Discorso della montagna Gesù, proponendo le norme di comportamento per l’uomo "nuovo" che vive secondo il suo messaggio, dice tra l’altro: "Io vi dico di non opporvi al malvagio" (Mt 5,39); frase che in italiano si potrebbe anche rendere legittimamente così: "Io vi dico di non far resistenza alla malvagità". Dopo di che questo Convegno potrebbe subito essere evangelicamente contestato, dal momento che i due termini "fede" (cioè visione cristiana delle cose) e "resistenza" (cioè attiva non rassegnazione all’ingiustizia) alla luce di questa espressione sembrerebbero incompatibili.
Va detto però che l’esegesi comune e, più ancora, la stessa costante azione della Chiesa Cattolica nella sua lunga storia convengono nel persuaderci che le regole del Discorso della montagna (circa l’altra guancia e circa il mantello e la tunica) sono evidentemente destinate a spegnere nel cuore dei singoli ogni sentimento di vendetta e di rivalsa verso il cattivo che lede i diritti altrui e a proporre l’ideale ascetico personale della mitezza e della rinuncia; ma non si offrono affatto come fonti ispiratrici del comportamento sociale del cristiano.
E’ come la questione del pane. Quando si tratta della sua fame, Gesù risponde con l’astinenza: "Non di solo pane vive l’uomo"; ma quando si tratta della fame degli altri, risponde con l’intervento fattivo e moltiplica i pani. Perchè, notava già Berdjaev, la questione del pane per me è una questione materiale, ma la questione del pane dei miei fratelli è per me una questione spirituale. Analogamente, per il proposito ascetico io sopporterò, se ne sarò capace, l’ingiustizia perpetrata verso di me come individuo, ma non sono autorizzato a considerare un valore evangelico la mia rassegnazione all’ingiustizia inflitta agli altri e soprattutto alla collettività.
Sant’Ambrogio, di fronte all’imperatore che voleva derubare la comunità cattolica di una basilica, dice: "Se mi avesse chiesto ciò che mi appartiene - cioè un mio podere, il mio denaro, ogni altra cosa di mia proprietà - io non mi sarei opposto..., ma ciò che è di Dio non è soggetto all’autorità imperiale" (Ep. 76,8). E ancora: "Se mi chiedesse qualcosa di mio, o un fondo o una casa o dell’oro o dell’argento, sono pronto a offrire ciò che mi appartiene, ma non posso sottrarre nulla al tempio di Dio nè consegnare ciò che ho ricevuto per custodirlo, non per darlo agli altri. Inoltre, io penso anche alla salvezza dell’imperatore; perchè nè a me converrebbe consegnare nè a lui ricevere; ascolti infatti la parola di un libero vescovo: se vuole che si provveda al suo bene desista dall’offendere Cristo" (Ep. 75a,5).
Quest’anno ricorre il sedicesimo centenario di un avvenimento fondamentale per la storia dei diritti civili e dei rapporti tra potere e coscienza cristiana; è un bell’esempio di "resistenza" di fronte alla prevaricazione di chi detiene la forza. Dopo la rappresaglia di Tessalonica, dove la ragion di stato aveva voluto il suo abituale orribile contributo di vittime senza colpa, Ambrogio esige e ottiene che l’imperatore Teodosio pubblicamente si penta, tra lo stupore e l’ammirazione di tutta la romanità che per la prima volta vedeva limitato il potere assoluto di Cesare in nome di un ideale superiore di giustizia e di umanità.

Così si è sempre pensato nella Chiesa. Ma alla fine del secolo scorso un grande scrittore come Tolstoj si stacca nettamente da questo atteggiamento comune. Inseguendo una forma di nuova e naturalistica di cristianesimo, egli identifica tutto il Vangelo con il Discorso della montagna e tutto il Discorso della montagna nella dottrina della non-resistenza al male (cfr. soprattutto Il Regno di Dio è in voi, 1891-1893). Per il tolstoismo neppure la società, e tanto meno il singolo cristiano, ha il diritto di opporsi efficacemente all’azione degli iniqui. I criminali e il potere perverso si devono affrontare solo con la sopportazione e le buone parole, ma non è lecito opporre una positiva resistenza alla loro malvagità.
E’ l’ideologia di un nobile spirito, che però, nonostante le apparenze, si è del tutto allontanato dall’autentica proposta rinnovatrice di Cristo. Per fortuna questo pensiero ha avuto scarsa influenza sulla cristianità italiana della prima metà di questo secolo. Ringraziando il cielo, i protagonisti della nostra "resistenza" non avevano letto Tolstoj: perciò è possibile un incontro rievocativo come quello di questi giorni.
Io ho però l’impressione che in questi ultimi decenni un certo tolstoismo inconsapevole stia guadagnando terreno specialmente in certi ambienti ideologizzati del cattolicesimo contemporaneo e presso certi maestri spirituali più volenterosi che illuminati, col rischio di promuovere una generale smobilitazione dei credenti di fronte alle forze sempre attive del male. Sotto questo profilo, i vostri lavori, richiamando esempi concrreti di fede efficacemente "resistente", potranno assumere una valenza anche pastorale di rilevante attualità.

Noi ricordiamo con commozione tutto il sangue versato nella nostra terra dai nostri fratelli di fede per la causa della giustizia e dell’uomo, da quello di don Giovanni Minzoni a quello di Giuseppe Fanin. E siamo ben consapevoli che la resistenza cristiana non si è conclusa con il 1945; è sempre in atto e va sempre ravvivata.
Come dicevo nella ricorrenza del 40° della liberazione, "noi onoriamo coloro che con grandi sacrifici hanno saputo resistere alla prepotenza e alla violenza, in vista di un avvenire migliore e più degno. Ma più che altro vogliamo raccoglierne la lezione sostanziale ed eterna: non si finisce mai di resistere alle forze malvagie. I reduci, si sa, sono sempre più numerosi dei combattenti. Ma nelle battaglie per la civiltà dell’amore e per la piena vita dello spirito c’è soprattutto bisogno di impegno per il tempo presente...".
"Noi chiediamo dunque il dono di una maggior fermezza d’animo e di una miglior chiarezza di idee; se è nostra indubitabile regola di comportamento il rispetto delle persone, la comprensione degli stati d’animo altrui e il desiderio di vivere in buona armonia con tutti, è nostro proposito altrettanto fermo di non far mai pace con l’errore, con la menzogna, con la cultura di disperazione e di morte, che in ogni epoca tentano di soggiogare e avvilire l’uomo, immagine viva di Dio".
Con questi sentimenti, mi è caro esprimere, anche a nome di tutti i vescovi dell’Emilia-Romagna, ai partecipanti l’augurio di una serena e fruttuosa fatica.

La parola del papa e dei vescovi
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