Contro il divieto del capocellula i comunisti ci tengono d'essere nel film

    Raccogliamo brevemente i precedenti. Dal cuore dello scrittore Nino Guareschi è uscito un paese popolato di figure caratteristiche ed oramai famose, un parroco e un sindaco. Comunista il sindaco Peppone, di maniere spiccie il parroco don Camillo. E questo mondo piccolo che si muove in su e in giù lungo il fiume per quella fettaccia di terra che sta tra il Po e l'Appennino riproduce gran parte di quelle beghe grandi e piccole che più o meno avvengono in ogni paese dove ci sia un Peppone e un don Camillo, cioè i diritti della parrocchia e le imposizioni della cellula. L'abilità e la fortuna di questo libro stanno proprio nell'aver impostato i personaggi reali di una grande bontà malgrado la rozzezza di modi.
    Il libro è stato diffuso in tutto il mondo, tradotto nelle principali lingue, eccetto la russa e la spagnola, accolto entusiasticamente dalla critica.
    Fu così che una casa cinematografica s'invaghì del soggetto e pensò di tradurre in immagini di celluloide il contenuto bonario ed umanissimo di quel paese ideale, ma verosimile, governato da don Camillo e da Peppone. Il progetto piacque, fu trovato il grande regista francese Duvivier, gli attori e perfino il paese che doveva essere lo sfondo cinematografico dell'azione. Il paese lo scelse personalmente Duvivier insieme allo scrittore Nino Guareschi. Naturalmente in quella fettaccia di terra che sta tra il Po e l'Appennino. Si chiama Brescello ed è un centro agricolo non privo di industrie alla con fluenza delle tre provincie di Reggio Emilia, Parma e Mantova. E, nemmeno a farlo apposta, il sindaco è comunista.

Il manifesto

    Appena tra la gente si sparse la voce che il loro paese aveva avuto il privilegio d'essere immortalato nella pellicola che farà il giro degli schermi del mondo, fu unanime il compiacimento. Compiacimento che si trasformò in entusiasmo, applausi, accoglienze festose, fiori appena giunse a Brescello la «troupe» dei cineasti coi proiettori elettrici, l'equipaggiamento ed un elicottero. Regista, fotografi, attori non potevano desiderare accoglienza più affettuosa e lusinghiera. La giunta municipale socialcomunista fece stampare perfino un manifesto di cordialità agli illustri ospiti. Ed il sindaco comunista offrì la sala comunale per girare le famose scene dell'intreccio.
    Intanto si preparavano le masse che dovevano sostituire i comizianti di Peppone sulla piazza di Brescello sotto la statua di Pasquino e sfilare in cortei capeggiati dai personaggi guareschiani tipo «Brusco», «Smilzo» e «Fulmine». Per ogni comparsa si offrivano ottocento lire giornaliere. Una vera pacchia oltre l'immortalità sulla pellicola. Non solo da Brescello, ma dai paesi lungo il Po vennero gli attori improvvisati. Grande orgasmo nel mondo femminile dove le aspiranti dive crebbero a dismisura.
    Tutto procedeva bene e coi migliori auspici. S'erano girate le prime scene lungo le rive del Po del famoso incontro fra Don Camillo e Peppone ed alcuni esterni del paese dove don Camillo viene inviato per punizione dal Vescovo quando ad un tratto, improvvisamente, sui muri di Brescello compare un secondo manifesto della Giunta d'intesa del partito comunista e socialista in cui si diffidano i compagni lavoratori a collaborare alla realizzazione di una pellicola che avrebbe offerto alla reazione motivi contro la classe operaia.
    Un vero guaio! L'incanto si ruppe e l'indomani i produttori si trovarono dinanzi una massa rattristata, sollecitata da una parte dalle 800 lire e dalla vanità cinematografica, dall'altra inibita da una disciplina di partito. Fu allora che lo scrittore Guareschi propose un pubblico dibattito in teatro per chiarire l'equivoco.

Il contradittorio

    Vennero da Reggio Emilia due intellettuali comunisti. Esposero con disciplina ideologica le opinioni della cellula dopo di che parlò Guareschi. «Voi invitate gli operai ed i lavoratori comunisti — cominciò a dire il vivace scrittore — a rifiutare le 800 lire di oggi perché questo guadagno compromette il successo avvenire della causa comunista, io affermo che si compie un vero e proprio sabotaggio contro il lavoro». Assisteva sul palco anche il sindaco, che aveva firmato il primo ed il secondo manifesto, ma non pronunciò verbo. Avrà pensato ai circa 50 milioni che questa «troupe» di cinematografari riversa a Brescello?
    All'obiezione fatta dal contradittore comunista di sciupare milioni invece di spenderli in case per il popolo, Guareschi si limitò umoristicamente a sottolineare che si realizzava un film e non si intendeva fare dei lavori di canalizzazione. D'altra parte i festival dell'Unità non servono a costruire argini ai fiumi.
    La folla, al termine del contradittorio, se ne ritornò a casa con la testa bassa. Temeva che il privilegio toccato a Brescello sfumasse. Si formò quindi una manifestazione spontanea di simpatia verso i dirigenti cinematografici per far annullare il disgusto dell'ordine di cellula. Nuove comparse si offrirono per 800 lire giornaliere e dal centro della piazza una voce gridò: «Non vi lasciamo andare via da Brescello». Un grande applauso coronò la notte.
    La pellicola è continuata, nonostante il muso duro della cellula comunista.
    Anche la polemica continua collateralmente alla realizzazione del film. Sui muri invece delle scritte politiche si legge: «Abbasso Peppone, Viva don Camillo». Un gruppo di cittadini con una lettera aperta, pubblicata sui giornali locali, ha chiesto le dimissioni del sindaco.

Brescello, settembre 1951.