Le tipiche malefatte, i preti reggiani, le commisero durante il periodo elettorale.
In tale periodo infatti — al dire dei capocellula e dei loro immediati suggeritori di Corso Cairoli (Federazione Provinciale di R.E.) — i preti avrebbero aguzzate le loro armi reazionarie sia dal pulpito che nelle canoniche, «secondo le direttive del Vaticano e dell'America».
La sera del 30 marzo 1953, di quel trenta marzo in cui avrebbe dovuto esserci lo sciopero generale proclamato a gran voce dalla Camera del lavoro, ne è successa una carina anche a Cadelboscosopra. I locali attivisti rossi avevano preparata una vera e propria «processione notturna» con fiaccola e bandiera, dove qualcuno, incaricato, recitava le «giaculatorie di circostanza» che suonavano così: «Truffa! Truffa! Truffa! Settimo: non rubare! Assassini! Truffa! Truffa! Truffa. Via il Governo ladro».
La gente che seguiva la bandiera e la fiaccola summenzionate, (duecento persone in tutto, per vero, e quasi tutti minorenni), hanno infatti percorso, incolonnati, il tradizionale tragitto della Processione delle Quarant'ore.
Frattanto altri piccoli cortei si andavano formando e incolonnando in località Zurco e in altre frazioni, e avrebbero dovuto congiungersi al corteo-madre, quando... «arrivano i nostri, a cavallo d'un caval»: no! Arrivarono un camion e una camonietta di carabinieri. E la mitica processione-anti-truffa dileguò come neve al sole, e attraverso campi e fossati i rosarianti raggiunsero i «cari familiari».
Qualcuno indubbiamente saltò anche siepi e qualche altro trovò buone anche le case dei democristiani se pensò bene di rifugiarvisi in tutta fretta. Fatto si è che alle 10 e 30 in paese, contrariamente al solito, non vi era anima vivente in giro, pareva quasi di essere tornati al coprifuoco... e tutto per causa di quella non autorizzata processione notturna.
Sempre a Cadelboscosopra, si son messi a raccontare che in vista delle prossime elezioni sarebbe arrivata a Guastalla una «massa di frati: circa 500», e questi per votare, al momento buono, per la D.C.
Noi per vero non abbiamo vista questa «massa» di frati-elettorali.
Ma questo non basta. Tutti conoscono 1'ardore e 1'accanimento con cui i socialcomunisti, che, pur vanno gridando e scrivendo che la legge elettorale è una truffa e che lo scioglimento del senato è un colpo di stato, sin dalle prime ore della battaglia elettorale si sono precipitati sui muri e sulle facciate di negozi, case e uffici, impastricciandoli in modo impressionante e dandoci al tempo stesso la più bella prova del «buon uso del denaro».
Ora, sempre a Cadelboscosopra, è avvenuta la stessa cosa da parte «rossa»; siccome però i democratici cristiani non hanno seguito il loro esempio, pensando che è meglio aspettare a gettare tempo e denaro prezioso, sapete che cosa mormorano i «compagni-capitani»? — «Ma chissà, con che cosa salteranno fuori i democristiani! Qui non si è visto neppure un manifesto; chissà quali cose serberanno per 1'ultimo momento. A Reggio nei giorni pre-elettorali (testuale!) sono arrivati tre vagoni piombati di manifesti!».
Il clero non disarma ed ecco che, nonostante il perentorio ordine di cellula, di non andarlo a sentire, tutte le sere la chiesa parrocchiale di Mancasale si stipa all'inverosimile durante la predicazione che un frate francescano teneva nel Maggio 1953.
I compagni comunisti che hanno la cellula proprio di fronte alla Chiesa hanno visto volentieri, come il diavolo vede 1'acqua santa, i microfoni che sulla torre diffondevano le vibrate parole del frate. Fu così quindi che «molti cittadini di Mancasale che sono stanchi di sentire urlare di sera» (!), come risulta dalla firma, gettarono fuori in quantità un volantino ciclostilato, vomitante veleno contro il parroco e P. Ugolino, definito sarcasticamente «comiziante in sandali» e «frate elettorale». Ci spiace per i compagni della cellula e per i loro timpani, ma il Parroco di Mancasale è liberissimo di diffondere come meglio crede gli insegnamenti cattolici in campo sociale; del resto quante e quante volte non ci scocciano da ogni parte i compagni «di buon senso»! Quante volte non entrano nelle nostre case «senza chiedere il permesso» e non solo con roboanti e controproducenti concioni ma anche fisicamente, e non solo a... Mancasale!
Il fatto si è, compagni mancasalesi, che P. Ugolino, che ha tenuto le conferenze religiose e sociali colla Chiesa affollatissima, vi ha scoperto le magagne, vi ha denunciato per quello che siete, ha detto chi era quel baffuto «grande amico dei lavoratori, difensore della pace», che ora è passato nel numero dei più; il che vi ha seriamente scocciato.
P. Ugolino, non si è opposto al comunismo per aprire la campagna elettorale, ma perchè il comunismo è nemico di Dio e della Chiesa, di cui P. Ugolino è ministro. Ma, scusatemi, se vi pestano un callo, voi non avete il diritto di protestare contro il maleducato chiunque esso sia? Il comunismo non solo pesta i piedi alla Chiesa, ma la perseguita nella sua dottrina, nei suoi programmi e nei suoi membri.
Anche nel carpinetano, nella nostra montagna, il prete è di pelo... «reassionario», tanto è vero che sentiva il dovere di insorgere contro di lui la stessa veridica «Unità».
«L'Unità» del 22 Agosto 1953 partiva, lancia in resta, contro il parroco di Carpineti, Don Guidetti, reo di essersi «impadronito della Casa del popolo di Carpineti», con pretese «manovre, pretesti e ingiustizie». Certamente la cosa scotta ai «rossi» di queste parti che si servivano (dopo averla praticamente occupata dalla liberazione) dell'ex Casa del fascio per tutte le loro svariate e molticolori attività: dalla cellula del P.C.I. a quella del P.S.I., all'ENAL, alla Camera del Lavoro, alla F.G.C.I., all'A.P.I. o che so io.... La cosa è andata così: Don Guidetti, parroco del paese, dopo aver regolarmente presentata domanda per ottenere detta Casa fin dal Gennaio 1950, finalmente nel Maggio 1953 ottenne dalla Intendenza di Finanza la proprietà dell' edificio. I «compagni», che si facevano forti della avvenuta occupazione, sono stati così solennemente trombati in modo che si sono sentiti in dovere di protestare con tanta rabbia e tanto fiele. Ora alle «opere rosse» non è rimasto che fare solennemente fagotto e trasferirsi nella cantina della cooperativa. Sembra però che i «rossi», i quali i soldi li hanno, stiano contrattando (per acquistarla) la trattoria Frassinetti, la quale verrebbe a rimpiazzare la perduta e gratuita (o quasi) Casa del popolo.
Don Guidetti ci farà ora la Casa dell'Azione Cattolica; giacchè non intende avere acquistata la Casa del popolo per toglierla alla gente, ma solo per potere, senza speculazioni di sorta, usare per il bene della popolazione di quell'edificio. Nella stessa casa verrà poi anche allestito un ritrovo ACLI, dove potranno convenire tutti i lavoratori. È successo così che il P.C.I. e affini, che si credevano i monopolizzatori degli interessi del popolo, sono stati posticipati alla disinteressata premura di Don Guidetti, il quale (per altro) ha ottenuto 1'edificio, permutandolo con una casa lasciata in dono alla Chiesa di Carpineti dal compianto Attilio Cavaletti da Pavolano.
Ci scrive il parroco di San Pietro (una parrocchia di Carpineti) esponendoci un caso capitatogli che ci sembra degno di essere notato, anche se è solamente uno degli innumerevoli del genere.
Ci scrive dunque Don Rivi di Carpineti:
«Mi sono accorto, per puro caso, di essere salito all'onore delle colonne dell'«Unità», per un mancato battesimo.
Basandomi sul rumore, le proteste e l'indignazione montati contro di me, mi sarei aspettato un articolo di ben altra mole; invece mi è successo ciò che capitò a coloro che, mirando lo straordinario rigonfiarsi di un monte, aspettavano 1'uscita da quello di non so qual memorabil mostro, e invece ne videro uscire un miserabile, e sparuto topolino. Mi si dice che non conviene dare importanza a queste bazzecole, ma se ciò è opportuno di fronte agli intelligenti, non conviene però fare altrettanto verso chi non ha la fortuna di appartenere a quella classe.
Credo pertanto sia bene riportare fedelmente 1'articoletto che mi riguarda, perchè mi risparmia più lungo commento. Eccolo:
«Un pupetto fa le spese dell'anticomunismo di D. Rivi. «Don Ferdinando Rivi, parroco di S. Pietro di Carpineti, come «cattolico che crede fermamente nel paradiso, nel purgatorio e nel «limbo si è presa una bella responsabilità. Infatti egli si è rifiutato «di battezzare il figlioletto di Aldo Lazzarmi da Villaprara. Per quali «motivi il pievano vuole negare il primo sacramento a un bambino? «È semplice: i padrini, Pietro Lazzarini e Rina Pellegrino in politica «(cioè sul Patto atlantico, sulla CED), sul pool del carbone e dell'acciaio, sul riarmo, sulla riforma agraria, ecc.) non la pensano «come lui.
«Per questo motivo, chi deve farne le spese per ora, secondo Don «Ferdinando, deve essere un frugolino che sa solo poppare il latte «di mamma e fare "oè!" Grande uomo quel prete! Se ci fosse Dulles gli stringerebbe la mano e Mac Carty lo bacerebbe in fronte».
È banale menzogna dire che mi sono rifiutato di battezzare il fanciullo in parola; anzi 1'ho voluto battezzare, ma mi si è opposto chi voleva fungere da Padrino, mettendo come inderogabile condizione la sua accettazione come Padrino e quella della Lina Pellegrini come Madrina, ed ha concluso dicendo: «O così o noi lo portiamo a Don Enzo Zambelli a S. Caterina». Io ho risposto: «Se credete portatelo a lui». Non mi sono neanche opposto che altro sacerdote lo battezzi in sua parrocchia. Io ho creduto solo fare il mio dovere dinanzi alla inequivocabile interpretazione data al Canone di Diritto 766 dagli Eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi della Regione Emiliana nel loro verbale dell'adunanza tenutasi a Modena il 23 Aprile 1952, interpretazione che deriva logica dopo il decreto del S. Ufficio del 1° Luglio 1949.
Ho sempre, avuto a cuore l'istruzione religiosa e per questa non mi sono risparmiato, ma parlo a chi mi ascolta. Ho parlato, insistito e alle volte ripetuto sino all'importunità, secondo il consiglio di San Paolo, perchè a tutti i miei parrocchiani arrivassero le nozioni più elementari della Dottrina Cristiana e le nozioni delle disposizioni della Chiesa, anche riguardo agli attuali problemi.
Perciò la responsabilità del mancato battesimo ricade esclusivamente su chi, o non conosce per propria colpa le leggi della Chiesa, o ha la pretesa che il Sarcedote, nella amministrazione di un Sacramento, compia un atto di ribellione alle disposizioni ecclesiastiche.
Ma mi viene il dubbio che al corrispondente carpinetano della «Unità» poco importasse un battesimo di meno e interessasse molto di più al brav'uomo fare conoscere a quanti sia possibile il peso enorme che sente sul suo delicato stomaco causa il mal digerito Patto atlantico, la mal digerita CED, eccetera.
Non fa meraviglia che una persona con una tale mole di indigestione senta nausea e capogiri. Ma c'entro io? Si purghi!
Se don Luigi Simonazzi, parroco di Veggia, alzandosi al mattino si recasse in chiesa e recitasse sottovoce le preghiere del mattino, poi, senza suonare le campane e senza aprire le porte della Chiesa, celebrasse la Santa Messa, e quindi se ne stesse tutto il giorno rincantucciato in canonica senza curarsi di chi nasce o muore nella sua parrocchia, di chi lavora e di chi non lavora, di chi vive da cristiano o di chi fa le corna ai Comandamenti di Dio, egli sarebbe un buon parroco anche per i comunisti. Siccome invece don Simonazzi ha «il brutto vizio» di occuparsi dei suoi parrocchiani e delle cose che succedono in parrocchia, egli è (secondo un giornalucolo delle maestranze della «Ceramica» Veggia, denominato «Unità Operaia») «il più insistente nemico dei partiti di sinistra e delle organizzazioni democratiche» perchè «egli vuole intervenire direttamente e di persona anche in casi estranei alla sua funzione di parroco».
Queste sono le accuse generiche del velenoso foglietto diretto da un non meglio identificato Sala Pierino. In concreto poi si dice che egli avrebbe voluto impedire che certa Mammi Pina della «Ceramica» si recasse per due mesi ad un corso di sindacalismo «rosso» e che i giovani del posto si recassero a Bucarest al congresso giovanile, comunista. Sono tanto vere queste accuse che la Mammi si è recata indisturbata al suo corso e coloro che hanno voluto recarsi alla mascherata di Bucarest ci sono andati e sono anche già ritornati. Ma che nessuna delle affermazioni del foglio in parola risponda a verità lo si può constatare anche dalle seguenti sballate righe: «Tutti sanno, ad esempio, che la Direzione ha sborsato circa tre milioni e mezzo a favore della D. C. e dell'Azione Cattolica per spese inerenti alla campagna elettorale». Noi sfidiamo pubblicamente il direttore del foglio bugiardo a voler dimostrare la verità di questo asserto: e se non lo farà vuol dire che dovrà trovare almeno il coraggio di dire che queste sono semplicemente voci incontrollate e che non hanno nessun fondamento. Ma dubitiamo che egli sia capace di questo atto di onestà giornalistica.
Ma il giornaletto dell'«Unità Operaia» sa anche essere volgare ed insolente quando dice, a proposito di una mattonella con l'effigie di un somaro fatta murare su un lavandino dello stabilimento, che detta mattonella dovrebbe «essere murata in sagrestia».
Intanto la sagrestia è un luogo sacro ed il vecchio proverbio insegna che si può scherzare coi fanti, ma bisogna lasciar stare i santi. E poi, senza prendersi la briga di «murare» una mattonella con l'effigie di un somaro sui muri della sagrestia, si potrebbe benissimo ottenere il medesimo scopo facendo «posare» davanti ad un pittore lo scribacchino delle «notizie circolanti» ed appendere il ritratto dell'illustre ignoto nel medesimo luogo.
Ogni anno viene Pasqua, e il Parroco, come vuole la tradizione, seguito dal chierichetto colla sporta per le nova, passa di casa in casa a benedire.
Si sa, il prete bussa ad ogni porta, ma, coi tempi che corrono, non tutte gli vengono aperte, dal momento che il più moderato slogan di scuderia del Partito è che della benedizione del prete la gente non sa cosa farsene.
Anche a Bagnolo in Piano, il Parroco esce per le benedizioni pasquali. Bussa ad una porta. Esce una sposina, che, visto di che cosa si tratta, timida ed incerta ritorna in casa a domandar consiglio alla occhialuta suocera, onnipotente padrona di casa. Questa, lasciando cadere a terra la calzetta che teneva fra mano, messi i pugni sulle anche, roteando gli occhi e quasi sbuffando di dispetto per quella visita importuna, con fare pomposo e risoluto, come Don Chisciotte all'assalto dei mulini a vento, si fa sull'uscio a vedere chi c'è.
«Buon giorno! — fa il Parroco — siamo fuori per le benedizioni pasquali...». Al che la torva nonnina obbietta: «Ma, se facessero le cose giuste...».
Il Parroco, intuendo al volo che si trattava di un predicozzo «gratis et amore» e subodorando quale piaga potesse assumere la cosa: «Mi scusi, signora, io le stavo chiedendo se desidera o meno la benedizione pasquale alla sua casa». Ma, prontamente e imperturbata, la suocera, dalla lingua sciolta, replicò: «Ma, se facessero le parti giuste...».
Il Parroco di nuovo: «Guardi, se lei ha difficoltà, me lo dica ed io so come comportarmi». La balda nonnina però, interrompendo, per la terza volta sibilò: «Ma, se facessero le parti giuste...!!». (Era proprio un chiodo duro e ben fisso, quello delle parti giuste, nella zucca... «cellulista» della nostra nonnina!).
Il Parroco allora, visto che la sua improba fatica di avere una adeguata risposta dalla occhialuta interlocutrice era vana, rispose: «Senta, signora; facciamo così: lei mediti e risolva se vi siano le parti giuste o meno, io ripasserò quest'altr'anno, sperando che mi risponda se vuole o no la benedizione».
La lezione però era stata inutile, perchè la «rossa» nonnina, cullandosi ancora nel suo amletico interrogativo, mentre si allontanava verso il porcile seguitava a brontolare a voce alta: «Ma, se facessero le parti giuste...!!» e intendeva alludere alla Legge Elettorale!
Nella stessa solennità Pasquale, nella bassa padana, un altro Parroco mandò uno dei suoi chierichetti a prendere un ramo di bianco-spino fiorito lungo una siepe di campagna. Non l'avesse mai fatto: per poco il povero chierichetto non si prese una pioggia di scapaccioni. «Che fai, brutto mostro — gli gridò una donna appiattita in un fosso — chi ti ha detto di toccare quei fiori»?
«Mi ha mandato il Parroco; li mettiamo sul S. Sepolcro».
«Ma che Parroco — gridò la donna con fare minaccioso — ma che Sepolcro, ma che chiesa: quei fiori non li tocca nessuno; sono per Stalin e solo per lui».
Il ragazzo naturalmente, con piede leggero, si allontanò dalla pericolosa bipede iena, ma, quando gli sembrò di essere ad una prudente distanza, si fermò in atto di sfida, deciso a prendersi una rivincita.
«Ohe, non c'è necessità di essere così cattiva, le gridò, quei fiori non sono nemmeno vostri, dunque non vi ho fatto nessun danno. Del resto ve li lascio tutti e vi consiglio di metterli non davanti al dio-Stalin, ma bensì sulle tombe dei soldati italiani che egli ha fatto morire nei campi di concentramento e nei lavori forzati, oppure davanti alle fotografie dei soldati italiani che ancora languiscono nel fondo delle prigioni russe per ordine di Stalin».
Altro che dio, altro che fiori! La battaglia era vinta, anche se il ragazzo dovette riprendere la corsa per allontanarsi dal pericolo....
Infatti, il giorno dopo si senti vociferare dal popolo che la focosa «papavera», troppo devota di Stalin, era stata chiamata in «sede» e fortemente redarguita «per avere toccato un soggetto politico controproducente e divenuto molto pericoloso dopo le dichiarazioni di Malenkof e del Soviet Supremo. Ci vuol prudenza in questi tempi! Chissà che domani Mosca non ci ordini una campagna denigratoria contro Stalin, quale cospiratore contro la Costituzione russa».
Ma il coraggio e 1'animo aperto alle sfide e alle lotte sul campo aperto non manca proprio ai «Don Camillo» reali della nostra Reggio.
«L'Unità» del 5 novembre 1952 se la prendeva con Don Caraffi, prevosto di Montecchio, prendendo lo spunto dal discorso pronunciato al Cimitero nel giorno dei morti da Don Ezio Ferrari.
E giù... don Caraffi ha voluto la rottura sindacale, la scissione del Corpo Bandistico, ha fatto vane promesse ai lavoratori e promette di far entrare alla Capolo i disoccupati che stracciano la tessera del PCI e della CGIL. Alcuni giorni dopo si è visto però apparire sui muri montecchiesi un manifesto pubblico in cui si garantivano centomila lire allo scribacchino de «L'Unità» qualora riuscisse a dimostrare quanto era andato dicendo sul giornale.
Noi sappiamo che don Caraffi è un bravo prete, ma altrettanto squattrinato: se ha promesso centomila lire, si vede che si sente sicuro del fatto suo.
«L'Unità» è ritornata sull'argomento in data 11 novembre, ma non ha saputo far altro che rimangiarsi in parte quanto aveva detto, senza raccogliere la bella offerta dei quattrini. Intanto la gente lesse, commentò e rise.
E don Caraffi ha già dato quelle centomila lire alla «Casa della Carità».
Terminiamo queste brevi note sui «Don Camillo» reggiani con questo significativo episodio.
«L'Unità» di giovedì 16 ottobre 1952, nella pagina di Reggio, recava un articolo dal titolo: «Accaparratore d'acqua il Parroco di Compiano». I «compagni» di Ciano d'Enza se lo papparono tutto dalla bacheca della locale sezione del P.C.I.
«Fra il comune il Ciano d'Enza ed il giovane parroco di Compiano — si leggeva — è sorta una singolare tenzone a causa di un acquedotto».
Per ammissione delle Autorità comunali stesse, mai vi fu motivo di contrasto fra l'Amministrazione del Comune ed il parroco di Compiano. La «singolare tenzone» quindi è parto della fantasia del corrispondente de «L'Unità».
«Il parroco — continuava lo scritto — vuole 1'acqua tutta per sè, mentre l'Amministrazione democratica vorrebbe che essa fosse a disposizione di tutta la popolazione».
Ve l'immaginate la scarlatta Amministrazione «democratica» con la spada e la veste dell'Arcangelo S. Michele, che difende la popolazione di Compiano dai soprusi del Parroco?
«Fatto si è che — si leggeva ancora — il Parroco (adducendo a pretesto che la sorgente sgorga in un podere della canonica) ha chiuso la conduttura e con un opportuno allacciamento ha deviato alla sua casa tutta l'acqua in modo da rinsecchire completamente l'unica fontanella pubblica e poter così godersi in privato la più grande abbondanza del prezioso liquido».
Quando mai, signor corrispondente dell'«Unità», il parroco di Compiano ha chiuso la conduttura che porta 1'acqua alla fontana del paese, deviando alla sua casa tutta l'acqua? Provi a rivolgersi a meno settari e più veritieri informatori, e apprenderà che a Compiano, quando sopravvengono periodi di siccità, manca 1'acqua sia ai parrocchiani che al Parroco, Dalla fine di maggio — tre settimane prima che la fontana di Compiano seccasse — la casa del Parroco è rimasta senza acqua completamente. Ora invece che la pioggia va alimentando le vene sotterranee, 1'acqua c'è per tutti in abbondanza.
Ma la verità è che, per i signori dell'«Unità», i preti han tutte le colpe: se non piove è colpa del prete che beve tutta 1' acqua rubandola ai parrocchiani; se poi pioverà tanto da provocar dirupamenti dal monte, vedrete che sarà ancora colpa del prete, perchè non si è bevuta tutta 1' acqua che Dio mandò.
E ora sentite la commossa conclusione del letteratissimo scrittore dell'«Unità», che si intenerisce con Palazzeschi, di fronte alla fontanella di paese! «Povera fontana di Compiano; assomiglia ora a quella malata di "Pallazzeschi" (mo non basta una "elle"?): non butta più. Ogni rara goccia d'acqua che esce dal suo rubinetto è accompagnata da un pietoso singulto. Ma per il parroco, a quanto pare, non ha grande importanza che le "pecorelle" del suo gregge siano assetate, non sappiano che fare per provvedere al rifornimento idrico».
E per l'Amministrazione «democratica», interloquirebbe timidamente 1'uomo della strada, non ha importanza la sete dei «compagni» di Compiano, dove il rifornimento idrico sarebbe possibilissimo con un nuovo e meno rudimentale acquedotto, che il Governo è disposto a finanziare? Non ha importanza — sia detto per inciso — che in detta frazione manchi un edificio scolastico, manchi il telefono, e non ci sia, di notte, una sola lampadina che faccia chiaro ai passanti sulla strada provinciale?
«Può darsi — Dio ne scampi! — che a lungo andare (chiude 1' articolista) possa scoppiare un'epidemia, ma ciò non tocca l'animo del prete».
Crudelissimo prete! L'opinione pubblica è avvertita: se a Compiano scoppierà un'epidemia, la colpa è del prete, sempre del prete.