Nel collegio di San Luigi

    La scelta del Collegio San Luigi fatta dai genitori perchè il bimbo potesse erudirsi nello studio e nello stesso tempo disporsi alla formazione, non poteva essere migliore.
    Furono i Barnabiti, i benemeriti discepoli di S. Antonio Maria Zaccaria, che della gioventù si occupano con tanta dedizione, ad accoglierlo e ad educarlo con un senso di vera predilezione. I Padri seppero in quasi tre anni, coltivare la pianticella, perchè crescesse robusta e sana. Cesarino, tutto slancio, tutto ardore e tutta sensibilità era ancora un piccolo puledro che abbisognava di una guida.
    Interveniva allora la mano sicura del Superiore o dei Professori ad educare con tatto e vigilante cura l'anima che si apriva. A scuola era abitudine dei Padri di avezzare i ragazzi a muovere i loro pensieri su due grandi cardini: quelli della porta d'oro della vita che si apriva, Iddio e il Dovere.
    Tale fu la vita, serena e severa ad un tempo, di questo ragazzo negli anni di vita collegiale: ma che già da più di un segno i suoi maestri intravvedevano di promettente precocità e di pensosa attesa, il bimbo incuriosiva i maestri, interessava e si faceva amare.
    Il suo amico carissimo, Luciano Pinelli, lo piange ancora:
    «O Cesarino, caro compagno dei miei primi studi, con quali parole io potrò degnamente esaltare la tua memoria? Le parole sono solo quelle semplici e piene di affetto che sgorgano dal mio cuore pieno di dolore per la tua tragica morte.
    Mi pare impossibile non averti più vicino come nel lontano giorno in cui accogliemmo insieme, nel nostro cuore, il Signore per la prima volta! Mi sembra ieri e ancora ti rivedo: con l'abito bianco come l'anima tua e gli occhi pieni di mistica gioia. Io non sento più la tua voce, non ti rincorro più nei lieti giochi, nel grande cortile del Collegio. Tu non mi sei più vicino ma io sento ugualmente il tuo spirito che aleggia intorno a me dandomi dei buoni consigli, ora che sei diventato un angelo tra gli angeli del Paradiso».
    Merita ascoltare ciò che dice di lui la sua Professoressa, Eugenia Tantucci:
    «Classe 1.a media A: terza fila a sinistra: primo banco. Accanto al visetto riflessivo di Gasbarrini, a quello infantile di Agnetti, Cesare mi guarda con i suoi occhioni buoni. C'è il compito in classe di latino: la materia più difficile a digerirsi. La sua testolina ricciuta si alza di frequente, troppo di frequente, dal vocabolario finchè mi dice con voce desolata: «Questa parola sul vocabolario non c'è». Comincia sempre così quando una frase lo fa penare ed ecco che assieme cerchiamo, nel volume grosso e avaro, la parola che si nasconde.
    È con un piccolo sospiro di sollievo che ritorna al suo posto per assumere, poco dopo, l'aria nuovamente preoccupata.
    Meglio oh, molto meglio l'ora di storia. Gli eroi greci e romani lo entusiasmano: C'è in lui un senso d'ammirazione e di incredulità per le loro gesta meravigliose ma, sopratutto lo commuove la descrizione delle prime manifestazioni del cristianesimo. Il suo libro ha delle illustrazioni che rendono più evidenti, nella sua mente, le sofferenze ed i martirii di coloro che si immolarono per la Fede.
    Nella sua mante bambina fiammeggia la visione di una schiera di spiriti eletti contrastati e perseguitati da esseri malvagi, unicamente perchè custodivano gelosamente, nel proprio cuore, la parola di DIO. Per ascoltarne la viva voce presto egli abbandonerà la terra, sulla scia dei suoi fratelli nella Fede.
    Alle 10,30, di solito, c'è un breve intervallo nel quale i ragazzi riposano lo spirito e rifocillano il corpo. Hanno tutti un appetito invidiabile e c'è qualcuno che, dopo aver fatto, lesto lesto, il proprio spuntino, cerca intorno un compagno compiacente che gli ceda qualche briciola della propria colazione. Cesare guarda delinearsi su di un foglio di quaderno, una grande nave da guerra che Zaffagnini ha appena disegnato e che ancora corregge e perfeziona. Il compagno approfitta della sua distrazione e addenta un pezzo della larga fetta di pane cosparso di marmellata. Io richiamo il biricchino, ma Cesare, coi suoi occhi larghi e ridenti, dice: che va bene anche così perchè il compagno aveva fame e lui, invece, non ne ha poi tanta.
    Durante il mese di maggio siamo andati in Chiesa ogni mattina ad ascoltare i precetti morali che Padre Carrai ci ha impartito ed a cantare le belle canzoni della Vergine. Sull'altare sono sbocciati tanti fiori e nell'aria c'è un profumo di primavera, di bellezza, di bontà, che non tutti afferrano. Solo le anime sensibili e non distratte, si dimenticano in questa atmosfera che purifica e rende buoni.
    Cesare prega, cogli occhi al dolce viso della Mamma celeste che emerge fra un tripudio di fiori mentre l'occhio della sua mamma terrena lo segue da lontano, attento e pieno d'amore.
    Poi viene l'estate: gli irrequieti scolaretti della 1.a A sfrecciano via come passerotti, in cerca di aria e di svago. Cesare parte per il mare. È l'ultima breve vacanza della sua vita terrena che il buon Dio gli ha offerta, tutta bella e gioconda, mentre gliene prepara in cielo una eternamente splendida.
    All'inizio del nuovo anno scolastico, ogni ragazzo ha raggiunto il suo posto. Li ho ancora tutti o quasi tutti davanti a me, sorridenti e biricchini, un poco più alti, abbronzati, rumorosi, come sempre.
    Quando ci alziamo per pronunciare la preghiera del mattino, prima di iniziare lo studio, gli occhi vanno indistintamente a Cesare.
    Non è più nella terza fila a sinistra, primo banco, è più in alto di tutti i compagni e ci sorride dal grande ritratto con una luce nuova negli occhi: noi sappiamo il perchè di quella luce.
    Egli conosce già la vera Vita che Dio ha promesso ai buoni e l'addita a noi che ancora lavoriamo e soffriamo per poterla raggiungere».
    La Signora Jolanda Vivarelli così ricorda il bimbo:
    «Cesarino, certo tu vedi ora lo strazio che la tua repentina dipartita ha lasciato nei cuori di coloro che ti conoscevano. Conoscerti voleva dire volerti bene: eri una creatura di dolcezza, di bontà, di generosità. La tua morte, piccolo fiore stroncato dalla cieca brutalità di umane belve, è l'espressione — nell'angoscia più cruda — della tua vita. Eri buono, amavi Iddio, eri rispettoso della sua legge, piccolo ardente apostolo del suo Verbo divino contro la cecità degli uomini. E la morte con la sua falce inesorabile ti ha spezzato nell'esercizio più puro di un olocausto: olocausto che è sovrumano atto di amore, di obbedienza, di entusiasmo.
    Ti rivedo là, seduto al tavolo di studio, cogli occhi sgranati e il volto proteso a me, che ti parlavo di tante cose, che ti spiegavo i primi grandi elementi del sapere. Ed io ti volevo bene, poichè leggevo nel candore luminoso dei tuoi occhi la semplicità innocente del tuo animo, l'affetto vivo del tuo cuore.
    Ti rivedo il giorno del mio matrimonio, prostrato dinanzi all'altare, il piccolo volto chiuso nelle bianche manine, l'espressione estatica e serena di chi, assorto nella preghiera, chiede qualche cosa di grande a Chi può tutto. E me lo dicesti dopo ciò che avevi chiesto a Dio con la tua limpida voce scherzosa: «Ho pregato Iddio, perchè lei sia felice, Signorina».
    Sì, piccolo, la tua signorina è stata felice. La tua piccola — grande — preghiera è stata esaudita. Ma oggi la tua signorina di ieri piange, e le lacrime le impediscono di scrivere ancora, di scrivere tutto ciò che il suo cuore vorrebbe dire, di scrivere tutto ciò che ognuno di quelli che ti hanno avvicinato prova ora nel vuoto angoscioso della tua dipartita».