Il centro di propulsione di attività, di vita, il cervello insomma del partito è la «cellula». Il nucleo frazionale o cantonale della sezione è indubbiamente l'organo più vitale ed efficiente del comunismo nostrano.
In un paese di due o tremila abitanti le cellule possono essere una dozzina ed oltre, a seconda che le case siano sparse per la campagna ovvero raggruppate a rione.
La sede della cellula è tante volte l'ampia cucina di qualche compagno-papavero, specialmente nei primi tempi o dove (come in collina e sull'Appennino) la vita di partito non è ancora ben carburata.
Ma in pianura, nella bassa, le cose vanno diversamente.
I cataclismi e il terremoto non sono più meri fenomeni naturali e fisici, almeno nelle loro disastrose conseguenze. Ciò si desume in modo lampante dal fatto che io mi appresto a narrarvi, anche se, «ufficialmente» almeno, i particolari risultano oscurati dagli ordini di scuderia (vedi cellula di partito) e da un senso di paura e di omertà, ancora latente nella zona.
A Villa Gavassa una casa costruita in periodo bellico, a scopi bellici, presso il podere «Chionco», durante la scorsa, estate, in una notte scomparve misteriosamente.
Qualche tempo dopo, le pietre, ripulite dai calcinacci, si trovarono trasferite ad oltre 800 metri di distanza, su di un piccolo appezzamento di terreno, regalato o meno, da un «compagno-agrario». Fino alla scorsa estate dunque in detta costruzione bellica, abitava una famiglia, che, trasferitasi altrove, ha causato, nolente o volente, l'eclissarsi delle pietre, degli usci, delle porte e delle finestre, non sappiamo se per magia o per ordine di qualche partigiano di.... Baffone. Sta di fatto che in una chiara notte lunare successe il trafugamento e neppure il cane della famiglia Bedogni, che abita il podere «Chionco», situato a 20 metri dalla casamistero, si è accorto di nulla. Ora però colle pietre dell'ex casa-mistero è sorta a 300 metri dal Ponte delle Assi una bella cellula del partito comunista. L'edificio, sorto d'incanto col lavoro festivo e gratuito dei vicini compagni, consta di due comodi appartamenti pavimentati con mattonelle grigie, con sopra un solaio di cui non sappiamo bene la funzione. Qualcuno dice che servirà da bagagliaio, qualche altro da archivio, e qualche maligno da... «refugium peccatorum».
Anche negli interessi, anche sul portafoglio imperano le cellule. Queste, abituate a far spillare i compagni - allievi, fino all'estremo limite delle loro possibilità, consigliano autoritariamente i loro adepti anche nella gestione dei loro privati affari. Infatti, ligi agli ordini di Partito, i «compagni» della Cantina Sociale di Castelnuovo Sotto hanno cercato di agganciarsi alle Cantine Riunite, uno dei tanti «strumenti» rossi della nostra provincia. Il paladino è stato il Signor Pivetti.
Il Signor Pivetti, notissimo nel suo paese, sta al Traghettino; ha fatto quattro mesi di scuola di partito a Rivaltella; è andato a predicare in Sardegna, sempre per ordine di scuderia, per due mesi, aiutando i «compagni» a perdere; si è sposato davanti al Sindaco, e per fare il viaggio di nozze in forma proletaria, l’ha compiuto in bicicletta insieme alla sua amabile consorte.
Questo Signor Pivetti dunque che fa parte del Consiglio di Amministrazione della Cantina Sociale di Castelnuovo Sotto e che figura nel libro dei soci, (pur non avendone diritto, perchè non è capo-famiglia), si fece banditore della grande idea: accodare anche la sociale Cantina alle «Cantine Riunite».
Sia ben chiaro che queste ultime non hanno nessuno scopo veramente sociale, in quanto il vino non richiede nessun invecchiamento o manipolazione; quanto alla preparazione e all'imbottigliamento sono capacissimi anche loro. A differenza delle «Latterie Riunite», che permettono lo stagionamento del formaggio e la dovuta preparazione del burro, le Cantine Riunite richiedono invece:
1) La trattenuta di 50 lire ogni quintale di vino conferito.
2) Un vincolo associativo obbligatorio di 25 anni.
3) L'assoggettamento da parte della Cantina associata ad ogni delibera del Consiglio di Amministrazione delle Cantine Riunite.
4) Lasciare alla discrezione del Consiglio d'Amm. delle stesse Cantine Riunite di operare qualsiasi trattenuta all’importo dei vini conferiti, per ampliamenti degli stabilimenti sociali (delle «Riunite») o per acquisto di macchinari, attrezzi, ecc. (delle stesse «Riunite»).
Nonostante le roboanti e convinte concioni del compagno signor Pivetti, il principio che si potesse procedere alla discussione non è stato approvato.
Infatti nell'o.d.g. dell'assemblea non era stato preso a bella posta in considerazione la variazione allo Statuto sociale della Cantina, in quanto questo non contempla la possibilità di associarsi ad altri Enti consimili. Messo in votazione se l'assemblea dovesse egualmente ritenersi valida o meno per soli due voti di maggioranza essa, è stata ritenuta non valida. Si noti che fra i votanti vi erano alcuni, oltre al menzionato Signor Pivetti, che, se pure iscritti nel libro dei soci, non ne avevano il diritto e quindi non avrebbero potuto votare....
La cosa poi fu lasciata cadere e la proposta del rosso Pivetti svanì, forse perchè la Cellula aveva paura che le si indebolisse l'attaccamento dei compagni soci.
L'estate 1953 la ditta appaltatrice (Consorzio Cooperativo di produzione e lavoro) dei lavori di asfaltatura della strada Cavriago S. Polo, per venire incontro ai desideri degli operai e per lenire la disoccupazione locale non si servì di ghiaia proveniente da frantoi ma portò, lungo la strada da asfaltare, i sassi interi. Per romperli occorreva manodopera; ma per il fatto che il lavoro era troppo duro e che il sole scottava troppo, molti braccianti disoccupati di Bibbiano non si prestarono all'opera di spaccatura dei sassi. Un solo operaio, certo Borelli, già anziano, si presentò al lavoro. Ed è molto probabile che la somma per il cantiere scuola di Bibbiano sia stata decurtata proprio perchè molti operai non hanno voluto lavorare a spaccare le pietre! Si è verificato un caso simile sempre a Bibbiano.
Nella notte fra il 22 ed il 23 gennaio ignoti imbrattarono i muri con le solite scritte a calce. Il Sindaco chiese all'ufficio di collocamento di potere disporre di due operai, fra i 180 disoccupati, che ripulissero i muri dalle scritte. Solo un operaio si disse disposto a compiere quel lavoro. Gli altri fecero i sordi.
Ora viene spontanea una considerazione: dunque, anche quando il lavoro c’è, solo perchè il partito lo vieta, non lo si accetta. Si rimane piuttosto disoccupati, si patisce piuttosto la fame, ma il lavoro no, se il partito ordina: «no».
A Prato di Correggio i rossi papaveri capoccia hanno escogitato un sistema geniale per far soldi: quello del lotto. Acquistano per un migliaio di lire un panno da letto, possibilmente di seconda mano, di quelli, forse, venuti in Italia a mezzo degli aiuti dei capitalisti americani; oppure acquistano un orologetto del valore intrinseco di mille lire al massimo, incolonnano su di un foglio di carta protocollo i novanta numeri del fatidico lotto e... via per le case di Prato e di Correggio!
«Lotto, lotto, non lasciatevi sfuggire la fortuna, cento lire ogni numero».
Accipicchia! Cento lire ogni numero! Novanta per cento uguale a novemila! Altro che legge truffa. E il bello è che (caso raro) ad elemosinare questi soldi non voleva andare nessuno e i rossi papaveri capoccia furono costretti a prendere misure draconiane. Hanno chiamato tutti gli iscritti in cellula e, seduta stante, hanno messo dentro una capace urna di vetro il nome di ognuno poi hanno tirato a sorte: a chi tocca, tocca e... acqua in bocca.
Sembra che, ultimamente, la sorte abbia scelto un povero tizio tanto lungo e grosso quanto timido e impacciato. Si dice anche che avrebbe preferito fare una corsa a piedi scalzi fra le ortiche piuttosto che passare di casa in casa con quel fardello di lotto. Pare anche che, con qualcuno, siasi un poco... sbottonato. Ma noi non vogliamo riferire di più perchè non abbiamo intenzione di far del male a nessuno.
Chiunque passando per Cerredolo, il 6 ottobre 1953, poteva leggere sulla strada asfaltata frasi come le seguenti: «Vogliamo l'acqua! — Vogliamo il cimitero!».
Tali scritte vorrebbero manifestare critica o biasimo all'Amministrazione Comunale D. C. Invece — guarda un po’— suonano rampogna all'Amministrazione Comun-fusionista che nel dopo guerra 1945-1951 ha «magnificamente» amministrato il Comune di Toano.
Difatti: il Genio Civile aveva costruito un nuovo acquedotto a Cerredolo dopo la frana del 1941. Era l'unico acquedotto esistente nelle frazioni del Comune, compreso il Capoluogo, e perciò era una condizione di vero privilegio.
Ma nel dopoguerra, imperando caos, prepotenza e socialcomunisti, alcuni arbitrariamente hanno manomesso l'acquedotto eseguendo indiscriminati attacchi di utenze private, per cui oggi le condutture sono ridotte ad un crivello di buchi spandenti, e l'acqua naturalmente manca.
Tutto questo è avvenute sotto l'egida dell'Amministrazione Social-Comunista, la quale, evidentemente, non aveva nessun interesse alla buona conservazione dell'acquedotto. Il... «conservatorismo» non rientrava evidentemente nel loro programma, e così attraverso il «godi popolo la libertà» l'acquedotto di Cerredolo è stato scassato.
Oggi, quegli stessi scrivono: «Vogliamo l'acqua», mentre il Secchia ed il Dolo sono tanto vicini!....
Gli «amici» inoltre hanno anche scritto: «Vogliamo il Cimitero!». Sarebbe interessante sapere per chi lo vogliono.
Ma, a parte la «metafora», Cerredolo ha effettivamente un Cimitero che non è degno di questo nome, né del nome di Camposanto. Ma anche per questo, cosa ha fatto l'Amministrazione precedente Social-Comunista, dal 1945 al 1951?
Non solo non ha fatto nulla, ciò che sarebbe già qualche cosa, ma ha fatto del peggio. Si è lasciata ‘soffiare’ il finanziamento per la costruzione del Cimitero di Cerredolo, già accordato con la legge sulla disoccupazione 10-8-1945, n. 587.
La nuova amministrazione d. c. raccogliendo l'eredità, non ha potuto far altro che invocare la legge Tupini ed inoltrare la domanda di finanziamento che porta la data del 27-6-1951.
Quando però capita l'occasione ecco che il capocellula non manca di farsi notare ed è sempre a pro del partito.
Egli, infatti, è il responsabile, e deve imperniare la sua vita tutta in vista di recare danno alla «reasione, ai preti, agli agrari capitalisti, in pro della povera gente».
Ed eccone uno in azione. Siamo nel Gennaio del 1953, a Villa Marmirolo, sulla Via Emilia, nei pressi della cantoniera, in attesa della corriera che ci porti in città: sei, sette persone in tutto. Un capoccia rosso scarlatto, come un papavero in mezzo al grano, parla, gesticolando, di politica, e dice le più grosse fanfaronate di questo mondo e, perciò, nessuno gli dà retta, Ma tant’è: egli è agit-prop e deve svolgere la sua missione, anche se ha frequentato solo la seconda elementare, causa la sua dura cervice, e tutto gli serve per fare propaganda: tutto fa brodo per lui: l'importante è denigrare la D.C., il Governo nero, lo straniero De Gasperi, ecc. ecc. Ed ecco, per lui, un'occasione propizia per armare la sua lingua di fuoco; un buon diavolo arriva in bicicletta e, proprio di fronte a noi, causa lo strato di ghiaccio sull'asfalto, fa un parabolico capitombolo, fortunatamente senza conseguenze. Non ci voleva altro per il capoccia rosso scarlatto di dura cervice. Ci guarda con occhio bieco e, con aria di rivincita, esclama: «Vedete se ho ragione? Vedete che abbiamo ragione noi comunisti a gridare: abbasso il Governo nero? Guardate in quali condizioni lasciano le nostre strade: quel pover'uomo poteva ammazzarsi».
E, dopo una pausa, (che forse aspettava una conferma o un'adesione dei presenti) soggiunge: «Invece di fare aeroplani per la guerra, il Signor De Gasperi potrebbe inviarci aeroplani con serbatoi di acqua bollente e spruzzatori e, in pochi minuti, il ghiaccio scomparirebbe». A quella trovata sapiente rise perfino il motore dell’auto-pullman che arrivava proprio in quell'istante.
A S. Martino in Rio, tempo fa, un bel tipo, a causa di una indisciplina, diremo così, turistica si beccò una sospensione di sei mesi dal P.C.I. Ed ecco come andarono le cose: durante una conferenza comunista, l’oratore, partito, col discorso si capisce, dal cuore di questo mondo, Mosca, e deambulando voluttuosamente per i sentieri politici dell'Asia e dell'America, dopo ampie dissertazioni aveva approdato all'Africa quando si sentì improvvisamente interrompere dal suddetto militante in vena d'autonomia il quale disse pressapoco così: «Non per far torto al compagno oratore, ma, considerando che per arrivare in Africa ci sono volute più di due ore, per arrivare in Italia, e precisamente a S. Martino, ce ne vorranno altrettante; quindi io propongo di togliere la seduta e di andare tutti a letto perchè abbiam sonno!...»!!!
Più recente il caso avvenuto a Villa Prato a proposito di un deposito di biciclette. È acquisito che noi italiani colle biciclette ci sappiamo fare, non solo i campioni del pedale si sono imposti all’attenzione del mondo ma anche i nostri... «ladri di biciclette» hanno saputo conquistarsi un posticino al sole della notorietà. I compagni di Prato, hanno pensato bene di approfittarne, accordandosi col nuovo acquirente del locale salone da ballo per gestire il relativo deposito-cicli.
Ma la domenica sera, 8 marzo, in occasione di una festa danzante, inspiegabilmente nessun incaricato era al posto di lavoro, mentre invece c'erano numerose biciclette. Biciclette vecchie, arrugginite dal tempo e dall'incuria, biciclette dagli accessori lucenti che ignorano ancora la polvere e l'usura dei chilometri, le biciclette che le ragazze adoperano solo alla domenica e quando c'è bel tempo, biciclette che spuntavano da ogni dove, da tutte le strade e che venivano ad ingrossare ognor più quella marea metallica, ondeggiante e numerosa... ma il deposito non c'era. E mentre i compagni di Prato, presumibilmente in gramaglie per la morte di Stalin, erano forse in cellula a far riti propiziatori, due giovanotti, naturalmente «compagni», pensavano di trar profitto dalle circostanze organizzando un deposito volante che fruttò loro la bella somma di circa ottomila lire. E fin qui non ci sarebbe nulla di strano, se al mattino gli improvvisati posteggiatori non fossero stati chiamati in cellula dove venivano perentoriamente invitati a versare, anzi a restituire, la somma guadagnata che, non si sa bene in virtù di quale diritto, doveva spettare al P.C.I. Ma evidentemente, i capoccioni di Prato non sono certo paragonabili a taluni loro colleghi nell'arte di insaporare le fregature, se i due intraprendenti giovani non hanno voluto saperne di divisioni e tanto meno di restituire il denaro, aggiungendo che il partito, la solidarietà e l'idea sono tutte cose belle e buone ma che.... i quattrini mica il partito se li era guadagnati, bensì loro; e se li sono tenuti!
«L'Unità», l'emporio in lingua italiana delle versioni sovietiche degli avvenimenti, è naturalmente il pezzo forte nella propaganda delle cellule.
Ogni paese, grande o piccolo che sia, ha infatti il suo giornalaio, cioè l'incaricato, postino speciale, de «l'Unità».
A Gattatico non manca la persona addetta a questo importante servizio: la compagna V. M.. E alla Signora V. M. che a Gattatico occupa l'importante e delicato posto di distributrice clandestina dell'«Unità» e mercerie affini, non esclusi i romanzetti a puntate di ambientazione russo-bolscevica tipo «Sonia», è capitata una incresciosa avventura che ha fatto trepidare di ansia e di paura tutti i compagni di partito.
Entrava sicura e spavalda, come sempre, nel cortile di certo D. S. in Taneto, quando a riceverla si avanzava furiosamente il cane da guardia, il quale, vistole sotto il braccio il pacchetto dell’«Unità», vide rosso come toro in corrida; le si avventava contro e la mordeva al polpaccio. Urla e stride la poverina, invocando aiuto, ma non comparendo nessuno, non le restava altro che raccattar la dispersa merce e rivolgersi al primo medico. Qui pianse un poco e imprecò molto contro tutti i reazionari. e tra una lagrima e un lamento, prese la suprema decisione: rivolgersi ai carabinieri per denunciar l'oltraggio alla sua mistica persona e l'attentato alle sacrosante libertà costituzionali, fatte scempio oggi più che mai da cani e democristiani.
Mentre V. M. stava intanto esponendo i luttuosi fatti al Maresciallo dei CC., sulla strada il popolo, convenuto, commentava il fatto. C'era chi diceva che quella era una provocazione; e chi invece, che non era affatto una provocazione, ma anzi il contrario, se provocazione infatti c'era stata, questa proveniva proprio dalla signora V., diretta contro il cane perchè essa doveva pur capire che anche un cane ha una pazienza, una intelligenza e un carattere, spesse volte più ammirevoli di certe persone che si lasciano sovente gabellare per paura di far vedere i denti.
Si discusse molto e a lungo; poi finalmente quest'ultima tesi prevalse e il cane fu dichiarato, a maggioranza assoluta, «il cane più intelligente del paese».