Indubbiamente dal 1946 al 1953 i tempi sono cambiati, in molti sensi, e non sempre in peggio.
Ricordate quanti scioperi nel '46, '47 e '48?
Oggi la coscienza dei lavoratori è molto più sensibile alle esigenze sociali, per cui con molta più ponderazione si ricorre a questo delicato strumento a doppio taglio.
Non mancano, però, anche nel 1953, taluni esempi di intolleranza rossa verso coloro che non obbediscono agli ordini di sciopero dei sindacati rossi, a malapena frenati nei loro propositi rivoluzionari dalla serietà e dalla coscienza dei lavoratori.
Son passati i tempi della gloriosa Repubblica di San Giorgio! Son passati i tempi in cui l’intrepido Balilla, Gian Battista Perasso, faceva uso di una «piciorla» per scacciare l'invasor; ma a Massenzatico ci si entusiasma ancora per simili eroiche imprese! - «La rompo!».
Non solo quindi la disattenzione di mia sorella Zelmira o la fretta di Cleonice bensì anche le buone e civili maniere di certi galantuomini del mio paese, rimasti purtroppo anonimi, possono ridurre i vetri in frantumi, com'è accaduto lunedì 30 marzo 1953 verso le undici di notte, durante lo sciopero che avrebbe dovuto essere generale (almeno nel pensiero di Di Vittorio), «scrupolosi e anonimi anti-crumiri» si sono accaniti contro la vetrata di ingresso della privativa di Massenzatico, riducendola in... frantumi.
L’oste, armato di un coltello, uscì al fracasso indiavolato dei vetri che erano andati a farsi benedire, coll’intenzione di far qualche carezza e raggiungere qualche altro vetro più che frangibile. I beneducati anonimi però se l’erano già data a gambe levate.
E un po’ da ogni parte ne sono successe delle belline durante quel cosidetto «sciopero generale» antitruffa, tanto strombazzato dai «rossi» che non riescono presumibilmente ad ingoiare il rospo dello smacco e del fallimento. A Prato di Correggio, per esempio, in quel lunedì 30 marzo doveva aver luogo, davanti all’apposita commissione veterinaria, presieduta dal Prof. Guardasoni, l'annuale visita dei tori.
Però, fin dal primo mattino, i locali papaveri avevano fatto prontamente e perentoriamente circolare in paese la voce secondo cui tale visita veterinaria non avrebbe avuto luogo, «perchè c'era sciopero generale».
— «Ma chi lo dice?» —, ha detto qualche agricoltore non troppo convinto che i locali papaveri possano insegnare il... Vangelo e non troppo entusiasta della bontà della causa dello sciopero anche solo per il fatto che chi la difendeva a spada tratta era un avvocato piuttosto... pregiudicato. Perciò agli increduli non restava che assicurarsi personalmente se le voci che circolavano rispecchiassero la verità. Il Prof. Guardasoni assicurò infatti costoro che in giornata e non oltre avrebbero dovuto aver luogo le visite veterinarie. Non molti animali per vero furono presentati, in modo che la commissione potè sbrigarsi in poco tempo. Sapete però dove ebbe luogo la visita veterinaria degli animali? Non già nel cortile adiacente la locale Cantina Sociale, come sempre per il passato, bensì in mezzo alla strada.
— «E perchè?» —, chiederanno giustamente i lettori che non sanno di che cosa puzzano i «rossi» delle nostre parti.
— «Perchè il cortile doveva essere lasciato in pace, quel giorno in cui vi era sciopero generale. Nel cortile della locale Cantina Sociale non c'era posto per i crumiri, anche se questi erano dei pacifici tori...».
Non soltanto di quell’occasione abbiamo significativi episodi circa la spontaneità degli scioperi ordinati dai rossi.
A Puianello, un piccolo centro posto a otto chilometri da Reggio Emilia, lungo la strada statale N. 63 nel tratto Reggio-Casina, c’è un grosso fabbricato di color giallo carico, che ricorda, anche con le sue tinte, quello che vi si confeziona dentro, cioè la pasta. Si tratta del noto «Pastificio di Puianello» gestito da un certo signor Pagani di Parma e diretto dal sig. Bizzi, che tiene occupate circa trenta persone fra operai ed impiegati.
Si sa che a Puianello i comunisti e gli alleati socialisti di Nenni sono in numero molto rilevante e per questo i capicellula e i gerarchetti locali di sinistra non esitano a far sentire la loro forza e sicurezza. Sennonché il mondo non finisce a Puianello.
C'è stato uno sciopero al Pastificio di Puianello. Non è nostra intenzione descrivere le varie tappe di questo sciopero né vogliamo giudicarne l'opportunità o meno. Sappiamo che si è concluso e in che modo si è concluso, ma questo non muta nulla di quanto stiamo per rivelare. Il Partito Socialista Italiano (di Nenni), ha mandato in data 8 settembre '52 una lettera ad un suo iscritto che merita di essere esaminata. La lettera è giunta nelle nostre mani e per coloro che dubitassero ne riproduciamo la fotografia. Ed ecco il testo integrale della lettera:
PARTITO SOCIALISTA ITALIANO Sezione «A. Taneggi» Puianello Prot. N. 112 Puianello 8 Settembre 1952GARLASSI GIOVANNI - Puianello
Delibera del C. D. delibera
«Si dimostrava indegno di appartenere al Partito Socialista Italiano rinnegando i suoi principi e le lotte di classe che esso ha sempre sostenuto e sostiene per l'elevazione del livello di vita dei lavoratori». IL COMITATO DIRETTIVO
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Ecco fotografata parte del documento rosso di scomunica contro il lavoratore Garlassi Giovanni di Puianello.
Questa lettera ha bisogno di un breve commento perchè i lettori ne possano comprendere la portata.
Galassi Giovanni cui è indirizzata la lettera è un ex-dipendente delle «Officine meccaniche Reggiane», attualmente disoccupato. Come mai allora c'entra nella faccenda del Pastificio e del relativo sciopero? Egli non c'entra per nulla, ma è sua moglie, certa Carla Zuliani, che lavora alle dipendenze del Pastifìcio e che, nei giorni dello sciopero, si recò regolarmente a lavorare. Secondo i princìpi sociali del P.S.I. il marito avrebbe dovuto costringere la moglie a partecipare allo sciopero: se non ha fatto questo, è indegno di appartenere al Partito stesso. Ed ecco spiegata la lettera.
C'è da sbellicarsi dalle risa a sentire quello che è successo a Massenzatico nel marzo scorso. Non si fanno nomi per non compromettere nessuno; chè, se qualcuno osasse stimarci falsi, potremmo anche farli.
Un venditore ambulante che gira come tanti altri di casa in casa ad esibire la sua merce si imbattè in una famiglia di schietta marca rossa.
La merce esibita, una damigiana di olio, dopo il «tira e bistira», solito, era già stata venduta e comprata. Per concludere poi amichevolmente il contratto già stipulato, in cucina venditore e compratori stavano facendo due chiacchiere davanti ai bicchieri, colmi di vino generoso, quando, quasi di corsa e con il viso sconvolto, il maggiore dei figli, che era uscito un momento, ritorna e dice tutto concitato al venditore: «Lughèv! Presto, nascondetevi!». — «Ma cosa succede? Perchè» — «Nascondetevi, presto!». — «Ma io sono in regola; ho tutti i permessi occorrenti e pago ciò che si deve per fare questo mio modesto mestiere, perciò non ho paura ne dei dazieri, né dei pompieri o dei carabinieri; ho le carte in regola io!».
— «Non è per voi; siamo noi che non siamo in regola, nascondetevi là dentro» — e indicò al nostro sfortunato mercante un porcile (vuoto, perchè quell'anno i maiali hanno figurato male). Lì dentro, un po’ per amore e un po’ per forza, se n'è stato il nostro pover'uomo. Dopo un buon quarto d'ora, quel tanto che il capo rosso aveva impiegato per confabulare non si sa di quale interessante argomento o per ordine di cellula, venne finalmente il sereno anche per il malcapitato venditore ambulante trafugato nel porcile.
— «Ditemi un po’— domandò il venditore ai suoi clienti, — perchè mi avete nascosto?».
— Ma chi era quel misterioso personaggio che faceva tremare? — domanderanno giustamente anche i lettori. Il nostro venditore era stato racchiuso nel porcile, indubbiamente poco igienica guardina, perchè era andata in quella famiglia un'autorità comunista, capo-cellula ed esponente, consigliere, se non erro, della locale cooperativa di consumo rosso. Siccome questi facilmente avrebbe compresa la ragione della visita del venditore, si era provveduto, facendolo... eclissare. «Noi siamo soci della cooperativa rossa: da voi il genere si acquista a minar prezzo, ma questi «orate pro me» ce ne avrebbero fatto una colpa, saremmo considerati dei «crumiri» e ci avrebbero molestati non so in quanti e quali modi, se vi avessero scorto».
Il poco fortunato venditore, che ancora olezzava del profumo del «chiuso», vi fece sopra una sonora risata, e tornato in cucina, diede fondo al bicchiere sincero che era rimasto mezzo colmo; poi uscì con l'assicurazione da parte dei clienti che avrebbero continuato a fare provviste da lui di olio, sapone, zucchero e generi affini, quando però ci fosse già buio. Il nostro mercante uscì convinto che la merce buona e a buon prezzo non teme neppure la concorrenza del... partito, e quindi maggiormente rafforzato nei suoi sentimenti, non certo comunisti, pensando che la libertà non può finire peggio che in un porcile....