Mentre scriviamo queste note, Fodico è stata ancora una volta allagata per la breccia che l'acqua rigurgitante dal Po si è aperta con violenza nell'argine sinistro dell'affluente Crostolo nella notte fra il 13 e il 14 novembre 1951.
Oggi Fodico (quel «Fodico di Lombardia» di cui si parla nelle lettere seguenti) è una piccola e quieta parrocchia di campagna, nel Comune di Poviglio, in Provincia di Reggio Emilia, a 22 chilometri dalla città, con poco più di cinquecento anime. L’attuale parroco, don Arturo Gualtieri, ha dovuto battere le vie dell’esilio, come il suo predecessore lontano don Diemi di cui pubblichiamo due importanti relazioni inedite di una inondazione avvenuta nel 1765.
Il luogo d’esilio di don Arturo Gualtieri è Poviglio e di là il parroco si reca tutti i giorni a Fodico per vedere se la vita della sua gente può riprendere.
L'acqua della recente inondazione ha sopravanzato la balaustra dell'Altare Maggiore nella Chiesa Parrocchiale ed ha atterrato molte case di contadini. Se non sono successi guai maggiori per la vita degli abitanti lo si deve in gran parte all'infaticabile don Gualtieri che si è mostrato degno successore di don Diemi.
Il quale don Giuseppe Diemi doveva proprio essere un gran bel tipo!
Lo dimostra il tono faceto e burlone delle due relazioni che pubblichiamo integralmente. E’ stato uno sgobbone perchè con una misera «navazza» da uva ha salvato i suoi parrocchiani e si è aggirato per il territorio della sua «Fodico sposa quasi vedova» con l'aria sicura di un redivivo Noè sull'arca. E chi ha provato a fare questa vitaccia in occasione della recente alluvione non può che ammirare lo zelante Sacerdote settecentesco che non doveva più essere giovane (era a Fodico da 32 anni) e che si adoperava senza risparmio di fatiche.
L'Italia è accanto ai suoi figli che soffrono. Ecco le forze dell'Esercito. Il sacrificio, la dedizione, l'eroismo dei nostri soldati hanno ridato coraggio e fiducia al dolore disperato dei fratelli alluvionati.
Lo spiritoso don Diemi ha scritto «lectio brevis» sulla sua prima relazione, usando di una nota terminologia del Breviario Romano quasi per dire che gli piangeva il cuore al ricordare simile sciagura e che meno ne parlava meglio era.
C'è poi nel testo tutta una fioritura ed una reminiscenza di frasi scritturistiche che noi lasciamo tali e quali anche perchè sono di facile intuizione per tutti e danno un certo sapore biblico all'episodio.
L'inondazione tremenda del 1765 l'abbiamo già elencata fra le tante provocate dal capriccioso Po.
Il Catellani, che è buon cronista fededegno, nella Cronaca degli Annali di Reggio Emilia esistente presso l'Archivio di Stato della medesima città, così ricorda la inondazione del 1765 di cui parlerà abbondantemente il Parroco di Fodico:
«Nel medesimo anno 1765 verso il principio di luglio, dopo la messe, il Po ruppe gli argini addosso o sopra Gualtieri, terra insigne e ricca, posta sulla riva orientale di detto fiume, 16 miglia a Nord-Ovest di Reggio, inondando gran parte del Gualtierese, con grave danno di questi ubertosi villaggi. Poi, oltre la pioggia quasi continua di molti giorni, ruppe di nuovo per altre due volte, cioè sul finire d’ottobre e sul principio di novembre nello stesso anno e luogo, restandovi atterrate molte case dentro e fuori di esso; e tutti insieme con le altre di quei contorni furono abbandonati, colla rovina di quella ragguardevole terra e del paese all'intorno. L’undici novembre l'inondazione si estese da Brescello a Poviglio fin presso a Castelnovo di Sotto, per lo spazio di 15 miglia da mezzodì a settentrione; e 7 da levante a ponente, occupando in quelle parti circa novantamila biolche di terreno, oltre una parte del novellarese, guastallese, ecc. Fu in detto anno carestia di frutta e grano d’ogni sorta, toltone il frumentone».
Ma veniamo alle relazioni di don Diemi.
Poviglio 12 Gennaio 1766
Sono trentadue anni che sono sempre stato nel pantanoso Fodico di Lombardia, ma, nel terminare del 1765 nell'11 del mese di Novembre sino ad oggi, sono stato in diluvio aquatum multarum [Un diluviare di acqua] di modo che timebam finem Universae Carnis Fodici et quod deleretur omnis substantia [Paventavo la fine di tutti i viventi di Fodico, e che ogni cosa andasse distrutta] perchè aquae diluvii inundaverunt super terram [Le acque del diluvio avevano coperta la terra], ed in tale miserabile circostanza per naufraghivi pertuli [Ho rischiato di naufragare], che quasi quasi temevo di essere portato alla Canonica in sporta, ed in cinque altre volte quasi aquarii Padi potavi ultra satietatem [L’acqua del Po ho bevuta oltre la sazietà]. In mia Chiesa e Canonica l'acqua elevavit fluctus suos [Elevò il suo livello] alla altezza di tre braccia essendo queste in una altura per tutto il rimanente territorio Fodico repletum erat aquis [Era invaso dall’acqua] all'altezza di braccia sette od otto ed in certi punti più di dodici; ma in certi punti della Valle di Gualtieri, a me contigua, venti e più braccia, cosichè aqua ascendebat saper tecta [L’acqua sorpassava i tetti].
Se dalla Canonica sortivo per soccorrere i poveri abbandonati, che gridavano miserere mei
[Abbi pietà di me], ritirati chi sopra delle tozze, chi sopra i granai o tetti, bisognava sortire cum arca [Con l’arca] formata con una tardiva e maledetta navazza da uva, in vocibus aquarum multarum [Nel rumoreggiar di moltissima acqua]; perchè non solamente vi era 1’orrida inondazione del Po, a cui una volta ci volevo bene, ma ora gli ho perduto 1’affetto, ma ancora perchè non erunt prohibitae aquae de coelo [Non smetterà più di piovere], a scorrere per la Parrocchia ed inorridirmi tutto nel vedere e sentire appianarsi le case e sommergersi, tutte, quasi palumbum in aquis vehementibus [Come un palombaro fra acque violentissime] al numero di quaranta od anche più al mio credere, cosichè Fodico non reaedificabitur amplius in sempiternum et ultra [Non sarà più ricostruito in eterno e oltre]; e frattanto io sono restato Parroco di Fodico in partibus [Titolare] a guisa di quei vescovi che hanno il titolo ma che non hanno la giurisdizione.
Vedendomi pertanto privo di Parrocchia e di Parrocchiani, onde più non vedevo un’anima ragionevole, dovetti andare in domum refugii [In una casa di rifugio] a Poviglio GRAN CAIRO, lasciando Fodico quomodo factum erat in desolationem exterminium in aquis multis [Quale era ridotto in desolazione, sterminio fra moltissime acque].
In Poviglio, dissi, mi trovo presentemente in cui faccio piuttosto la figura di Giusdicente che di Prete semplice e posso ben di tutto ciò caldamente ringraziare l'Agente dell’Illustrissimo Signor Conte Carlo Panizza che mi diede ricovero, che per altro non avrei saputo ove requiescerent pedes mei [Potessero posare i miei piedi].
Vero è che partendo da Fodico rugiebam in gemitu cordis mei [Brontolavo nel singhiozzo del cuor mio], nella considerazione del massimo ed indicibile danno sofferto, e la mia Villa fatta quasi vidua [Come vedova] perchè reliqui domun meam, dimisi haereditatem meam in manu aquarum multarum [Lasciai la casa mia, abbandonai la mia eredità in mano alle acque] e certamente per gli crepacuore, pene, pericoli, dissipamento delle mobiglie, sostanza ed altro, tutto esposto periculis latronum [Ai pericoli degli sciacalli], che diffatti mi servirono garbatamente colle notturne navazze, tanto nelle farine, granai ed altri generi commestibili, ma molto più e di gran copia furono gli crepacuore, singhiozzi e lacrime nel dovere assicurare il gran Tesoro della mia Chiesa (il Santissimo), ricevendoLo coll'acqua sotto i piedi per non assicurarmi di trasportarLo colla pericolosa navazza.
Non so quale sia stato il diroccamento di quante fabbriche che tenevo per comodo della mia Canonica che tutte restarono sommerse sub aquis vehementibus [Sotto acque violentissime] e quel che è peggio devo rifare tutto a mie spese ed a contanti, non solo quelle, ma anche la stessa Canonica e casa del mezzadro che sfasciate ed appuntalate minacciano rovina, in modo che temo che domus mea antiqua tuat [La mia vecchia casa se ne crolli] per la rovina totale che minaccia per ogni parte.
Per tale luttuosa circostanza defecerunt oculi mei lacrimis et conturbata sunt viscera mea [Gli occhi miei vennero meno a forza di piangere, e ne restai tutto disfatto] poichè nè mangiavo nè bevevo e stetti due giorni che a grandi stenti potei prendere pochi bocconi di pane asciutto e bere col cavo della mano un poco di acqua del Po, al fine di levarmi l'arsura grande che avevo nelle fauci, ed in così lagrimevole stato mi ero ridotto uno scheletro, così non erat mxhi aspectus nec decor [Non avevo più sembianza d’uomo e proprio nessuna eleganza].
In tale deplorevolissima mia positura andavo fra me stesso dicendo quis unquam vidit talia horribilia [Ohi mai vide tante orribili cose?] perchè nec oculus vidit nec auris audivit [Occhio umano mai vide nè orecchio sentì] specialmente nei miei paesi che non sono soggetti alle acque.
Bisogna fare poi la considerazione più che seria che di quando in quando io facevo delle trenta e più miglia di circonferenza di altissime acque che coprivano la terra tanto sul Parmigiano, cioè Fodico, e parte di Poviglio quanto sul Modenese cioè Gualtieri, Pieve di Saliceto, Boretto e Brescello e parte di S. Vittoria, Meletole, Cogruzzo, parte di Castelnuovo di Sotto e S. Savino, così che in quelle terre e villaggi potevasi giustamente dire inter mare et tellus discrimen nullum [Nessuna distinzione più fra mare e terra] onde non si vedeva che cielo ed acqua. Riflettevo, dissi, che tutto questo altro non era che vox Domini super aquas multas [Voce del Signore su una immensa palude] e che Dominus Majestatis intonuit [Il Signore della Maestà s’è fatto sentire] perchè nimis repleta erat terra illorum populorum iniquitate [Troppo era piena, la terra di quei popoli, di iniquità], per cui alzai la mente al Signore, e gli dissi: non i Caldei non i Sabei non il vento non i fulmini non 1’alluvione, ma bensì la vostra mano Onnipotente ci ha percosso, manus Domini tetigit me [La mano di Dio mi si è fatta sentire]. Per la qual cosa ardentemente pregai il Signore che mi liberasse da quel Castigo, come di fatti mi liberò, anzi sommamente il ringrazio, perchè se non avessi saputo un poco di nautica, o per meglio dire se non avessi saputo 1’arte del galeotto sarei rimasto vittima delle acque. Così in articulo diei vigesimi quinti mensis Novembtis 1765 ingressus sum in arca [All\'alba del dì 25° del mese di Novembre 1765 io sono entrato nell\'arca], detto navazza, ego, canis, famulus, famula, felis, dies vero calamitatis et miserine [Io, il mio cane, il servo, la serva, il gatto: — giorno proprio di sventura e di miseria], e me ne fuggii a Poviglio, e quantunque questa non sia la mia patria, nonostante ho dovuto fare di necessità virtù.
Di là poi andavo ogni giorno colla mia sdruscita barca con sudori, stenti e pericoli a Fodico per vedere se era andata via 1’acqua, ma indarno andavo colla predetta pericolosa navazza, attraversando tutta la parrocchia e la vasta campagna sopra le gonfiezze dell'acqua ed indi mi portavo sopra 1’argine detto del Bisello, il quale argine era rimasto sommerso braccia sette sotto le acque, da me misurato per ben tre volte. Dirò cose che forse taluno avrà difficoltà il credere; dirò che tale disgrazia fu da me preveduta sette anni fa, e mi ricordo che io la predissi in una assemblea di Signori periti, che portati si erano alla visita nei confini di Fodico in luogo detto le Caselle di Mozzorecchia, in capo all'argine del così detto Bisello, dove ebbi pure la sorte di essere ascoltato per indi poi essere creduto un bonus piane vir [Proprio un buon uomo], per non dire bonus homo, homo quidam [Un buon uomo, un certo uom] affatto privo e spogliato da qualunque cognizione di geografia e di metafisica, non che di livelli e di cose di simil fatta. Veramente fallai, mentre dissi soltanto che rompendo 1’argine di Gualtieri il fiume Po avrebbe sormontato 1’argine del Bisello di cinque braccia, dacchè si è poi veduto che le acque dell’inondazione la superò di braccia sette e mezzo, cosa che fa stordire i migliori periti e geografi. Mi portavo dissi sopra detto argine e trovai che 1’abitato di Fodico era un ammasso di orrore e di rovina e così quello di Boretto, Brescello, Saliceto, Gualtieri, S. Vittoria, Meletole, ove si contano più di novecento case già diroccate ed appianate, oltre le cadenti e sfasciate, che di giorno in giorno sentonsi rovinare.
Per altro non mi resta che andare a Viadana dai Padri Cappuccini, farmi imprestare una bisaccia, porla sul mio cavallo, che con grandissimo stento ho salvato dalle acque, per posporre i miei interessi particolari alla salvezza di quaranta e più persone che sarebbonsi di già annegate, fuori di due che troppo fidandosi della propria casa, ricusarono per due volte di entrare nella mia stravagante nave. La quale nave in tale giorno per 1’appunto fu penetrata dall’acqua del Po in causa di un foro in essa lei causato per cui dovetti a mio costo stare immerso fino a mezza gamba nell’acqua, non potendo far tanto a gettarla fuori e per cui ebbi di grazia arrivare salvo alla mia Canonica.
Per salvar dissi il mio cavallo ed un paio di manzi che pericolavano per essere stati quattro giorni e quattro notti nell’acqua fino alla pancia avanti la porta della mia Chiesa, luogo più eminente, gli portavo gli alimenti necessarii colla mia navazza per bere poi nulla mi incommodava perchè ne aveva ad esuberanza oltre alli poveri rifugiati che avevan condotti in mia casa perchè aquae multae non potuerunt extinguere Charitatem [Le acque pur tanto abbondanti non son riuscite a spegnere la carità].
Vi dirò di più che se non mi veniva da Mezzano un vero battello, non sapevo più come salvare gente e bestiame.
Oh, saria bella che per sostenere i miei parrocchiani mi tramutassi da parroco in saltimbanco ed andassi per le vie e piazze a dare la buona fortuna a questo e quello, ma nel caso mio vi vorrebbe pazienza, mentre quelli poi che vedessero alla fin fine si moverebbero a compassione e direbbero così: costui era il Rettore di Fodico di Lombardia, ora Rettore in partibus [Titolare], perchè Fodico non esiste, perchè spianato dal diluvio aquarum multarum propter orribilem Podi alluvionem [Di troppa acqua dovuta alla orribile alluvione del Po]: sì, posso dire con tutta ragione che propter alluvionem dirutae sunt domus et Ecclesia Fodici [Causa l\'alluvione son crollate le case e la Chiesa di Fodico]. Qui adunque col protestarmi in fretta dico vale vale, amice [Stanimi sano, amico caro], sta sano.
Poviglio, dal palazzo dove si fa giustizia e si da la corda.
Al suo comando devotissimo servitore Don GIUSEPPE DIEMI (Rettore in partibus)
Due mesi dopo lo stesso don Diemi manda ad un certo «Signore» di Pomponesco, che non sappiamo bene chi sia, un'altra relazione sullo stesso tono, anzi con molte ripetizioni della precedente lettera che stanno a confermare la veridicità di quanto scritto in precedenza. Ci sono però nuovi particolari per cui crediamo che la relazione meriti di essere pubblicata per intero, anche per conservarle quel suo sapore di originalità e di freschezza che ne rende gustosa la lettura. Forse la lettera del Parroco aveva lo scopo di ottenere qualche sussidio per sè e per i suoi miseri parrocchiani come si capisce dalle ultime frasi della relazione stessa.
Lì, di tra i pioppi, buttavamo ieri le bacchette di carta nell'acque tanto calme ed amiche. «Perchè ora tanta desolazione tutto attorno?» E aveva le lacrime agli occhi, mentre mi diceva così, Fernando. I suoi campi, e le vigne e la casa: non c'era più nulla.
Sono già 32 anni che mi trovo nel pantanoso Fodico di Lombardia, ma sul finire del 1765 l'11 novembre mi trovai in tal rovescio di acque da temere la fine della popolazione di Fodico e la dispersione di tutte le sue sostanze perchè un diluvio d'acqua aveva allagato tutta la terra. In tal miserabile circostanza per tre volte ho naufragato e per cinque volte sono stato costretto a bere acqua del Po. In mia canonica aveva elevato i suoi flutti da sei a sette braccia ed in certi siti fino a 12, anzi nelle valli di S. Vittoria fino a 20, di modo che si era innalzata fino sopra i tetti.
Se dalla canonica andavo per soccorrere i poveri bisognosi che gridavano «miserere nostri», bisognava sortire in una tardiva e maledetta navazza in mezzo al cupo rumore delle acque perchè, apertesi le cateratte del cielo, dirottamente pioveva, oltre all'orrida inondazione del Po e se non avessi saputo un po’ di nautica o per dir meglio far il galeotto probabilmente le acque mi avrebbero sommerso.
Inorridii al vedere e sentire le case ad appianarsi e sommergersi come piombo che a gran forza precipita nell’acqua. Caddero in numero di quaranta e più case in così piccola parrocchia di modo che temevo che Fodico non si potesse più riedificare in sempiterno: ed io sono rimasto parroco «in partibus» a guisa di quei Vescovi che hanno il titolo ma non la giurisdizione. Vedendomi così privo di parrocchiani e più non vedendo anima vivente, pel timore di essere io pure ingoiato dalle acque, lasciai Fodico nella sua desolazione e me ne andai a Poviglio, «Gran Cairo», ove faccio piuttosto la figura di Podestà che di semplice prete.
Vero è che partendo da Fodico mi palpitava il cuore dovendo lasciare la mia sposa quasi vedova, giacchè abbandonai la mia casa, lasciai la mia eredità e consegnai la mia diletta in preda alle acque e le mie sostanze in bocca ai ladri, i quali mi servirono garbatamente con notturne navazze tanto nelle farine quanto nei grani ed altri generi commestibili.
Tutto questo oltre il diroccamento di tante fabbriche e non poche (che tenevo per commodo di mia canonica), anzi la stessa casa del mezzadro mi minacciava ruina e per tale luttuosa circostanza mi caddero dagli occhi le lagrime e andavo meco stesso dicendo: chi altri mai vide tali orrori? Ah, certamente nessuno specialmente in questi paesi non mai soggetti alle acque!
Ma alla considerazione delle 30 miglia d'acqua di circonferenza che vi erano tanto sul Parmigiano quanto sul Modenese, cioè Guastalla, Pieve, Boretto, S.Vittoria, Meletole e Cogruzzo che potevasi dire che da quei luoghi al mare non vi era differenza alcuna, riflettevo che la voce del Signore era in quelle acque e che la maestà di un Dio aveva così permesso perchè quel popolo aveva smarrita la retta strada e la terra era piena di iniquità. Allora alzai la mente a Dio e dissi con Giobbe: non i Caldei, non i Sabei, non i venti, non i fulmini, non le alluvioni, ma la mano del Signore.
La vedi, la piccola casa mia? E i pioppi in ordinatissima fila e gli alberi? Sono i miei sogni e le mie speranze che si sono capovolte nell'acque. A guardare, quanta sfiduciata malinconia!
Anche lo pregavo di avere misericordia di me, che mi scampasse da quegli orrori, come di fatto mi liberò e così nel giorno 25 novembre 1765 entrai nella mia navazza io, il cane, e il servo e l'ancella e il gatto e me ne andai. E fuggii a Poviglio con stento ben grande perchè fu d'uopo, allorchè trovai la terra scoperta, montare sopra di un carro giacchè la strada era talmente fangosa che temevo di momento in momento non più di bere acqua del Po ma bensì dover mangiare viscoso fango di Poviglio e, quantunque questa non sia la mia patria e più volte abbia detto «ho ascoltato la chiesa dei maligni e non sederò giammai cogli empi», ciò nullameno ho dovuto fare di necessità virtù. Di lì poi andavo ogni giorno colla suddetta mia barca a Fodico per vedere se erano cessate le acque, e sempre nella pericolosa mia arca andavo traversando tutta la parrocchia e sopra la gonfiezza delle acque mi portavo alla cima del più alto argine detto del Bisello, sopra cui vi erano state sette braccia e mezzo di acqua, la quale cominciò a diminuire dopo 2-5 giorni rimanendo l'abitato di Fodico una massa di orrore non meno che Boretto, Pieve, Gualtieri, S.Vittoria e Meletole. In quei luoghi si contano più che 900 case già diroccate oltre le cadenti che di giorno in giorno si sentono rovinare. Per cui non mi restò più altro che di andare a Viadana dai RR. Cappuccini e pregarli della sicurtà onde farmi imprestare una lunga bisaccia e porla sul mio cavallo, che con grande stento ho salvato dalle acque perchè posposi i miei interessi per salvamento di 40 e più persone che già si sarebbero annegate, eccettuate due le quali fidandosi troppo della propria casa ricusarono per due volte di venire nella mia troppo vacillante navazza e che dopo due ore restarono sotto le ruine e sommerse nell’acqua. Per salvare, dissi, i parrocchiani che pericolavano, il mio cavallo e un paio di manzi stettero quattro giorni nell'acqua fino alla pancia avanti alla porta della mia chiesa, il luogo più eminente, e là vi portavo gli alimenti con la navazza, ma per il bere non ci pensavo, non mi incomodavo, lo stesso facendo cogli altri poveri rifugiati in casa mia e, se non veniva da Mezzano un vero battello che mi costò oro e argento e quasi le budella, non sapevo più come salvare nè gente nè bestiame. E così, dicevo, con quella lunga ed imprestata cappuccina bisaccia mi converrà andare in giro nel parmigiano, modenese, guastallese, cremonese e mantovano, e forse anche costì a Pomponesco dove ella si trova e le farò compagnia fino a Correggio Verde dove faremo la figura di Filippo che fu trovato in Azoto, e così rimedierò in parte al gravissimo danno che si proverà 1’anno venturo giacchè allagati i campi, dispersa la sementa, i voti degli agricoltori saranno sepolti. Mi dispiace non saper suonare qualche strumento salvo che una chitarra che mi tormenta una spalla, e cantar canzoni, che sarei in grado di farmi vedere e sentire anche più lontano. Ma se anche sapessi «come potrei aver coraggio di cantare in terra straniera»? Questa sarìa bella, che, da parroco che sono, diventassi un saltimbanco o uno zingaro per trovar fortuna, e quelli che mi vedessero compassionando direbbero: questi era il rettore di Fodico di Lombardia, ora rettore «in partibus» e che fu spiantato da una orribile inondazione. Però ho salvato «altilia», cioè una muta di quaglie e di ortolani, che se l'anno venturo sarà abbondante pregherò V. S. a venire e le farò la promessa corona costrutta con tante penne dei mentovati volatili e così vedrà Fodico in esterminio.
E qui dò termine porgendole i miei doverosi e sono con vera stima di
Vostra Reverenza
GIUSEPPE DIEMI, rettore in partibus
Poviglio, dal Palazzo dove si fa giustizia e si dà la corda, 2 marzo 1766.
Con un tono molto meno scherzoso, ma piuttosto da fedele cronista, il Parroco Don Diemi ci ha lasciato varie annotazioni minuziose sulla inondazione del 1765 nel Libro delle «Anime Purganti», nel Registro dei Battezzati e in quello dei morti, dove è narrata la sepoltura svoltasi «more bellico», e a notevole distanza di giorni, di quei due vecchi coniugi sessagenari che rifiutarono di mettersi in salvo e furono travolti dalla casa crollata.
Nel Libro delle «Anime» è detto fra l'altro:
«Io non posso esprimere il flagello che fu codesta inondazione; so dire che li poveri abitanti oltre d'avere perduto le case, le sostanze, la mobilia, restarono insensati, cretiniti ed appassionati talmente che non sapevano più come rimediarvi. Procurarono poi qualcuno di fabbricarsi qualche ricovero e ritornare a rimpatriare, ritornando a coltivare il loro terreno, ma altresì la mano di Dio li flagellò col far nascere vermi dalla terra che nella stagione del 1766 avendo piantato frumentoni e fave, questi per due volte furono divorati dalli stessi vermi. Venne orrida tempesta che tolse le uva in quell'anno 1766. Nell'estate li abitanti non ricavarono nè fave, nè frumenti, ma solo qualche poco di vezza selvatica, poco frumentone e restò il paese miserabile e privo di ogni cosa.
Per l'inondazione io, Rettore Giuseppe Diemi, nativo di Poviglio, fui l'ultimo a fuggire a Poviglio dopo d'aver salvata tanta gente dalla morte e dopo d'aver veduta la mia canonica a gettar fenditure che temevo cadesse anch'essa, come pure la casa dei contadini (mezzadri) e Chiesa; anzi questa fu affatto pregiudicata nel pavimento di modo tale che fu necessità rifabbricare tre sepolcri e quasi tutto il pavimento. La porta della Chiesa restò rovinata quale io stesso la feci fare nell'anno 1763 allargandola et alzandola che prima era piccola e fatta all'antica...».
Qui finisce il suddetto parroco D. Diemi lasciando in bianco altre due facciate del registro, forse con l'animo di continuare....