La Commissione, col solo interrogatorio sommario dei tre firmatari, ritenne di poter escludere senz’altro il dolo. Non risulta che i responsabili dell'atto illegittimo si autoaccusassero di qualche fatto men che corretto. La Commissione ritenne pure di escludere a priori che al Comune fosse potuto derivare danno sia dal verbale che dall’oggetto del verbale stesso, cioè dalla riconsegna a privati degli immobili già in possesso del Comune. Tutto questo si affrettò a comunicare alla Autorità Giudiziaria che aveva intanto iniziata una procedura per accertare l'esistenza di eventuali reati.
È mancata innanzi tutto nell'attività della Commissione l'indagine per accertare da chi fosse partito l'ordine della riconsegna e ciò è davvero singolare, perché il Sindaco o almeno un Assessore dovrebbero avere impartito detto ordine: diversamente, si potrebbe credere che qualunque impiegato potesse, a proprio insindacabile giudizio, disporre il trasferimento di notevoli beni in possesso del Comune a privati che ne facciano richiesta.
La gravita del fatto non può sfuggire ad alcuno. La Commissione non ha neppure chiesto da chi fu rilevata la mancanza di quel verbale che fu poi fabbricato.
Nell'interrogatorio il funzionario dichiarò:
«Qualche mese dopo (non ricordo con precisione l'epoca) fu rilevata la mancanza agli atti del verbale in parola per cui mi affrettai a redigerlo ponendogli la precisa data in cui di fatto la riconsegna era veramente avvenuta».
Dunque, se è vero, come si è cercato di dimostrare, che il verbale incriminato non era un atto necessario, tant’è che si è creduto di potere togliere ogni riferimento ad esso nella delibera consiliare del 31 ottobre 1952, non si comprende come qualcuno, a un certo momento, ne potesse aver rilevata la mancanza. Dobbiamo pertanto credere che quel verbale fosse necessario per dimostrare qualcosa che, diversamente, non avrebbe potuto essere dimostrata. E qui potremmo entrare nel vasto campo delle congetture, ma io non voglio seguire questa via. Mi limiterò ad osservare una evidente contraddizione fra il contenuto del verbale e la successiva delibera di Giunta del 28 marzo 1950: mentre quest'ultima afferma che era già stata riconsegnata «quella parte delle aree che si era resa disponibile a seguito della parziale demolizione eseguita», il verbale invece attesta che, oltre alle aree libere, fu consegnato anche un negozio occupato da una ditta di abbigliamento e un magazzino per vendita di materiale edile di uno dei tre firmatari del verbale. Vi sono pure altri documenti che attestano la riconsegna parziale dell'area, per cui questa riconsegna di area risulterebbe provata; non così la riconsegna dei fabbricati dichiarata soltanto nel verbale. È questo uno dei punti su cui potrà indagare l'Autorità Giudiziaria, anche perché ad esso sono connesse delle vertenze civili e penali sulle quali non è mio compito interferire.
E si dovrà infine sapere a quale titolo quel terzo firmatario si trovava su quegli immobili da oltre dodici anni, con un suo magazzino di vendita, con locali di cui egli si dichiarava proprietario e affittava, con tutta l'area a disposizione su cui effettuò costruzioni definite poi dal Comune abusive.
Si tratta dell'appaltatore dei lavori di demolizione del 1° stabile, che aveva ultimato il suo compito fin dal maggio del 1937. In qual modo lo ritroviamo dopo ben dodici anni a firmare egli il verbale di riconsegna agli Orlandini? Anche su questo la Commissione non ha indagato.
Ma io voglio soffermarmi a considerare la gravità o meno del danno che il Comune può aver subito in conseguenza di quel verbale e di quella riconsegna che sarebbe stata per così dire sanzionata con la firma di quelle tre persone fra cui un funzionario comunale. Il danno morale è fuori dubbio, anche per la semplice constatazione che nelle pratiche comunali è possibile inserire all'occorrenza documenti probativi redatti in epoca diversa da quella in cui i fatti sono avvenuti. Ma la redazione di quel verbale potrebbe implicare responsabilità penali e civili di portata non prevedibile, per l'oggetto stesso trattato nel documento. Il verbale attesta che furono riconsegnati degli immobili di rilevante valore senza un ordine valido. Ora, potrebbe essere stato questo primo atto arbitrario ad influire su tutto lo svolgimento della questione. E invero, davanti al fatto compiuto di una riconsegna avvenuta arbitrariamente ad opera di persona che potrebbe essere quel funzionario, ma che più verosimilmente è persona che rimane occulta (perché a tutt'oggi nessuno si è fatto avanti per dire: l'ordine l'ho dato io!), davanti al fatto compiuto, dicevo, l'Amministrazione comunale potrebbe essere stata costretta ad assoggettarsi all'arbitraria, errata soluzione del problema, per non provocare uno scandalo e ritenendo forse così di poter limitare i danni del Comune. Per me la responsabilità fondamentale del fatto va ricercata nella prima persona o nel primo ufficio che credette di risolvere a proprio modo il problema, dando un colpo di spugna a leggi e regolamenti ed a tutto quel danaro speso per tanti anni dal Comune al fine di poter provvedere ad un'opera pubblica di grande importanza e utilità. Questa supposta persona avrebbe deciso da dittatore un problema che interessa la cittadinanza tutta e si estende anche oltre il confine della nostra Bologna perché la Via Emilia, di cui l'imbocco di Via S. Felice fa parte, è un'arteria di grande traffico nazionale. Rinunciare all’allargamento di quell’imbocco che attualmente non tocca i sei metri, rinunciare a quell'area che il Comune aveva in massima parte destinata all'opera pubblica fin dal 1935, è stato per l'ignoto una cosa relativamente semplice. Si sarà detto: Intanto si riconsegna l'area ai privati, i quali inizieranno le opere di costruzione senza perder tempo e... cosa fatta, capo ha. Così, io penso, deve aver ragionato la ignota persona che ha deciso per prima l'illegittima riconsegna degli immobili agli Orlandini; e questa persona ci si deve preoccupare di ricercare e di interrogare, perché ad essa va attribuita la principale responsabilità dei danni derivati al Comune e ai cittadini. Il verbale «fasullo» è la prova inconfutabile della prima e maggiore illegalità riscontrata: la risoluzione paradossale di una sistemazione urbanistica che per allargare una via vitale per la città di Bologna, praticamente l'ha resa ancora più stretta.
Ecco dunque perché il verbale «fasullo» non può essere considerato un inutile pezzo di carta, che si può anche cestinare senza conseguenze. Esso contiene la prova di un oscuro provvedimento, esso potrebbe costituire, la prova di una responsabilità civile ed anche di un eventuale reato.
La relazione di maggioranza si è sforzata di dimostrare che i successivi atti, quale l'illegale delibera di Giunta del 28 marzo 1950, i parere degli uffici e in ispecie il parere postumo dell'ufficio legale, le contrastate delibere consiliari sulla sclassifìcazione del suolo pubblico, sulla permuta di aree con la Simpa ecc. non hanno risentito l'influenza del verbale incriminato. Ma noi tutti abbiamo visto come gli atti di cui sopra si siano allineati con l'oggetto di quel verbale, cioè, sono partiti dal presupposto della giusta riconsegna ed hanno usato il metodo del «fatto compiuto», consistente nel fare prima e deliberare poi (la sclassifìcazione del suolo pubblico di via Lame proposta a distanza di molti mesi dall'avvenuta consegna del suolo alla ditta costruttrice, ne è un tipico esempio).
Concludo affermando che l'indagine della Commissione sul verbale incriminato di falso, poiché si è limitata a prendere atto delle dichiarazioni dei tre firmatari, non può considerarsi un'indagine sufficiente; dobbiamo pertanto augurarci che l'Autorità Giudiziaria, nell'accertare le eventuali responsabilità di sua competenza connesse all’atto, possa illuminarci anche sulle responsabilità civili e amministrative.