Ho detto al principio, trattando dell'esame della convenzione Comune-Orlandini, che, sulla casa di Via S. Felice 3 - Lame 4 gravava, fin dal 1915, un vincolo della Soprintendenza ai Monumenti, vincolo che la convenzione ignora. Allora, nel 1936, il vincolo c'era e, quando il Comune se ne accorse, dovette sospendere la demolizione di quel fabbricato e inoltrare domanda al Ministero della Pubblica Istruzione affinchè il vincolo fosse tolto. A questa soppressione del vincolo si arrivò soltanto nel 1940 allorché il Ministro competente, con sua nota del 9 luglio 1940 n. 4594 Div. 3a, comunicò, tramite la Sovraintendenza, al Comune, la rinuncia al vincolo stesso e autorizzò la demolizione della casa. Ma si era già in tempo di guerra e vigeva il divieto di iniziare costruzioni e demolizioni; per cui la casa restò in essere e giunse indenne alla fine della guerra se si eccettua un piccolo danneggiamento di cui dirò poi. In queste condizioni, appare quanto mai strano il fatto che il Comune si preoccupasse di varare un nuovo piano particolareggiato con varianti al Piano regolatore. Troviamo infatti che, con delibera podestarile 29 dicembre 1941, venne adottato un esteso piano edilizio che considerava tutte le migliori zone del centro cittadino. Questo Piano era in gran parte legato ad uno speciale contratto d'appalto in precedenza stipulato dal Comune, in base a licitazione privata, con una ignota società anonima di Roma — capitale lire 50.000 — presieduta da un cavaliere del lavoro e di gran croce pure esso ignoto ai bolognesi. Comprendeva anche una nuova edizione dell'incrocio S. Felice-Lame, nuova edizione in quanto prevedeva la conservazione della Casa di Guido Reni buttando all'aria tutto quanto era stato fatto e deciso in precedenza, fra cui il Piano di risanamento del 1938 e l'ottenuta autorizzazione del Ministero per la demolizione della Casa Guido Reni. Io avrei voluto approfondire l'indagine in questo campo che trovano alquanto oscuro per evidenti ragioni, soprattutto perché, ripeto, mi appariva inspiegabile che un piano di così vasta portata fosse varato quasi con urgenza, in tempo di guerra: ma, appena ne parlai in Commissione, qualcuno ne approfittò per diffondere all'esterno indiscrezioni tali da farmi piovere addosso perfino minacce di querela. Così, quell'indagine s'arrestò: non è colpa mia e di ciò tengo ad informare il Consiglio e la cittadinanza.
Ma, a parte ciò, sorprende che la relazione di maggioranza della Commissione, pur nella sua ultima edizione, non tenga nel dovuto conto che il vincolo sulla casa di via S. Felice 3 - Lame 4 era stato tolto dal Ministero fin dal 1940 con l'autorizzazione a demolire la casa stessa. Si dice semplicemente che «il vincolo fu rinnovato l'8 settembre 1948 a norma della legge 1° giugno 1939 n. 1089» e pertanto si sarebbe indotti a credere che il vincolo sia sempre esistito, non sia mai stato tolto e sia stato rinnovato come un atto che debba sottostare per legge ad una ordinaria procedura di rinnovo di tanto in tanto. Ciò, evidentemente, può compromettere l'esattezza delle risposte a certe domande come per esempio: Perché non avete demolito la casa fra il 1945 e l'8 settembre 1948? Perché avete atteso il nuovo vincolo? Perché non avete fatto presente al Consiglio questo grave e strano sopravvenuto intralcio? Perché non avete fatto opposizione considerato che il «rinnovo» del vincolo era giuridicamente insostenibile perché non si può rinnovare ciò che non esiste, e che portava come prima conseguenza l'impossibilità di attuare il Piano di risanamento che era stato approvato anche dalle stesso Ministero dell'Educazione Nazionale dopo che ebbe tolto il vincolo del 1915?
La Commissione non ha né contestato né ammesso che la casa Guido Reni sia stata libera da ogni vincolo dal 9 luglio 1940 all'8 settembre 1948. Ha però rilevato che il Ministero dell'Istruzione, con lettera 24 ottobre 1942, n. 3084 ebbe ad approvare il piano di varianti 29 dicembre 1941 nel quale era prevista la conservazione della casa Guido Reni: tale lettera del Ministero è stata esibita all'ultimo momento alla Commissione insieme ad un altro documento riguardante altro oggetto. Ho fatto su entrambi i documenti le mie osservazioni scritte, che non hanno finora ottenuto una precisa risposta, sebbene da me ripetutamente sollecitata. Dirò che la lettera del Ministero non serve a giustificare l'asserita impossibilità del Comune a demolire la casa di Guido Reni, in quanto il Piano del 1941 (che poi non fu approvato dai superiori organi competenti) era stato sottoposto al Ministero dell'Educazione Nazionale per l'approvazione di quanto di sua competenza, e in tale sua competenza non rientrava più la CasaGuido Reni il cui vincolo, come si è detto, era stato precedentemente tolto dallo stesso Ministero; e sarebbe ingenuo supporre che, approvando il Piano 1941, il Ministero stesso abbia, senza farne menzione, e quindi automaticamente, ripristinato il vincolo sulla casa Guido Reni; perché, così ragionando, si dovrebbero ritenere vincolate dal Ministero tutte le case comprese nel piano, senza distinzione di sorta. E poi, perché una casa possa ritenersi vincolata, occorre la trascrizione del vincolo sui registri immobiliari. Pertanto, non so quale utilità abbia avuto per i difensori l’esibizione di quella lettera. Al contrario, ho potuto ricavarvi un elemento veramente singolare a comprova della mia suesposta tesi che il Piano del 1941 venne varato con una urgenza quasi precipitosa. Infatti, la lettera del Ministero dice testualmente: « Ho esaminato il progetto di Piano particolareggiato in data 26 novembre 1941 relativo ad alcune zone del centro di Bologna e ne approvo, per quanto di mia competenza, l'esecuzione alle seguenti condizioni....».
Superfluo ripetere che fra le condizioni indicate non v’è, né poteva esservi alcun accenno alla casa Guido Reni. Ma mi preme far notare che il Ministero prese in esame — dice la lettera — un progetto datato 26 novembre 1941: cioè, il Comune gli sottopose per l'approvazione il piano, prima ancora che questo fosse reso definitivo dal Comune stesso con la delibera del 29 dicembre 1941. Non denota ciò l'urgenza da me rilevata, tanto più incomprensibile in quanto si era nel secondo anno di guerra, quando si doveva pensare più ai rifugi antiaerei che ai grandi piani edilizi?
Con l'esibizione della lettera ministeriale, è stato dato un po’ di ossigeno al già defunto piano particolareggiato del 1941, che per tanti anni, nel corso di questa pratica ed in altre delibere era stato citato come l'ultimo piano edilizio legittimo, mentre si vide poi che esso era stato bocciato dai superiori organi governativi; i quali anch'essi, forse, non riuscirono a spiegarsi l'opportunità di quella presentazione in periodo bellico, quasi si trattasse di un urgente piano di difesa.
Un particolare interessante e degno di osservazione, è quello che riguarda le informazioni assunte dalla Commissione in merito al vincolo. Il Sindaco si è rivolto non già all'ufficio della Soprintendenza che è in Via Belle Arti, quindi molto vicino al Comune, ma ha interpellato personalmente un eminente ex funzionario della Soprintendenza stessa, residente a Firenze, il quale ha necessariamente dovuto riferire come persona, perché la pratica è presso gli uffici della Soprintendenza di Bologna. Io ho fatto notare questa inconsueta procedura, lagnandomi che il riferimento non provenisse dal competente ufficio di Bologna, ma non ho ottenuto un esito. E ho notato che il funzionario di Firenze omette anch'egli di riferire che il vincolo era stato tolto nel 1940, come pure non dice nulla dei rapporti fra quel vincolo e la salvaguardia di due opere d'arte esistenti nella casa detta erroneamente la casa natale di Guido Reni e cioè: un cortile del '400 e una scala del '700. Vano sarebbe ricercare ora le tracce di queste opere nella nuova abusiva costruzione: demolite dall'impresa e non più ricostruite, senza che coloro che si atteggiano ora a difensori del patrimonio storico e artistico di Bologna, siano intervenuti. Cos'è rimasto allora di interessante per giustificare la conservazione di quella facciata? Nulla. Perché è noto che Guido Reni non nacque in quella casa, ma vi abitò per un certo tempo; anzi, il Ministero la denominò a un dato momento la Casa del Carracci.... Rimane che l'inspiegabile errore commesso dalla Soprintendenza nel «rinnovare» un vincolo inesistente, è servito a privati per ampliare la loro costruzione a scapito dell'interesse pubblico e non risulta che il Comune abbia fatto opposizione per contestare il presunto rinnovo del vincolo, né, al contrario, per salvaguardare quel cortile quattrocentesco e quella scala del '700 che erano le uniche cose meritevoli di attenzione.
Concludendo, resta documentato che non fu la Soprintendenza ad impedire la pretesa «grande aspirazione» del Comune all'allargamento della via S. Felice, ma, come minimo, fu la negligenza del Comune a voler ciò, lasciando trascorrere oziosamente tanti anni in cui l'allargamento di Via S. Felice avrebbe potuto e dovuto compiersi, e dimostrando una rassegnazione passiva allorché il «rinnovo» del vincolo fu stranamente instaurato.
Vano, e direi ameno, citare l’estremo tentativo fatto dal Comune proponendo alla Soprintendenza «di demolire l'edificio e di ricomporlo «facendone rotare la fronte sullo spigolo ovest e arretrando quello est» per allargare da 50-60 centimetri a zero la via S. Felice in quel punto.
Perché non è stato proposto di arretrare il fabbricato di sei metri come prescritto dal piano di risanamento, anziché della ridicola media di 25-30 centimetri? Come poteva un ente pubblico ritenere sensato che per allargare l'imbocco di una via di qualche centimetro si dovesse affrontare una enorme spesa e tanto inutile lavoro? Penso che questo particolare la relazione di maggioranza l'avrebbe dovuto tacere per non esporre il Comune a possibili spiacevoli commenti.