Abbiamo ancora negli occhi i volti emaciati e gli occhi sperduti dei nostri confratelli ritornati. Ancora ne riudiamo nel silenzio della notte, le parole d'angoscia; talune persino deliranti. I fatti. Quanto vorremmo poter scrivere fotografando! La fotografia convince di più. Chissà, forse taluno fra i lavoratori che ci leggeranno, non crederà ai fatti che riporteremo. Lo capiamo benissimo: son cose tanto inumane che sembrano impossibili. Pensiamo che noi stessi, se non le avessimo direttamente vissute e vedute, ci sentiremmo portati ad un senso di incredulità. Una incredulità, si badi, non basata su documentazioni opposte, o su dubbi circa la sincerità dei testimoni, ma una incredulità spontanea che nasce da un’istintiva ribellione della nostra natura umana a simili attuazioni. Sentire di uomini capaci di seviziare così un altro uomo, calcolati, metodici, bestiali,... ecco, sì, proprio bestiali, sarebbe per noi un affermare che quelli non sono uomini. Sono belve feroci. Non che la cattiva azione, da sola, basti a render cattiva l'idea vitale di chi l'ha compiuta. Non si tratta di questo nel nostro caso. Apposta abbiamo premesso la prima parte. Perchè si veda che la seconda parte ne è una logica conseguenza. Non è il caso di un assassino che uccide in un eccesso di collera; è un uccisore che adempie il suo programma in cui sta scritto che la vita dell’avversario non ha alcun valore; per lui l'assassinio non è frutto di un momento d’esaltazione collerica, è logica messa in atto di una ideologia trascinatrice.
Vorremmo che ognuno che ci legge sentisse vibrare nelle parole nostre tutta la nostra passione. Non è davvero con l'animo soddisfatto che noi mettiamo a nudo il volto pratico dei comunisti cinesi. L’attitudine del nostro animo di sacerdoti non è di chi gode scoprendo l'errore dell’avversario. Ci sentiamo troppo impegnati con Gesù per non avere la stessa attitudine che egli ebbe sulla croce. Un’attitudine mite tradotta nella preghiera del perdono: «Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno». Nè vorrà alcuno dire che è connivenza con l'errore la nostra. Nessuno accusò Gesù di connivenza coi suoi massacratoli per i quali disse quella preghiera implorante.
Nel Cristianesimo abbiamo trovato il senso di paternità che ci guida. E per i figli discoli e scellerati abbiamo soltanto sofferto. Per il loro drammatico errore mettiamo a nudo le piaghe. Ma sono piaghe nell'animo dei nostri figli. Perciò non sappiamo godere di poter rinfacciare ad essi la loro mostruosità. Mettiamo a nudo le piaghe. Perchè almeno nessun altro sia contagiato senza saperlo. E perchè ostinatamente speriamo che qualcuno dei figli prodighi ritorni.
D. Come si fa un piccolo processo contro i cattolici?
R. Si fa obbligando l'accusato a mettersi in ginocchio e confessare la sua colpa a suon di botte....
1) «Il giovane N. Chiao, fervente cattolico fu arrestato. Dopo il suo arresto fu indetto un comizio pubblico di accusa. Tutti dovevano essere presenti. L’accusato fu portato davanti ad un’assemblea di studenti. Chiao era calmo e in pieno possesso di sè. Quando gli dissero di inginocchiarsi egli rifiutò dicendo: «Io mi prostro solo davanti a Dio». Fu allora gettato a terra e obbligato a mettersi in ginocchio. Dopo la procedura ordinaria — accuse fatte in una maniera isterica — gli dissero di alzarsi. Stavolta egli rifiutò. Avendogli chiesto il perchè, rispose: «Non ho ancora finita la mia preghiera a Dio».
2) «Un vecchio universitario, non riuscendo negli studi, lasciò l'Università nel Febbraio 1949 all'inizio degli incidenti, per raggiungere la famiglia in Mongolia e trovar lavoro. Era in compagnia di una trentina di colleghi sui 20 anni, come lui. Poco prima di Kalgan (160 km. a N-E di Pekino) alla fermata del treno la polizia fece scendere quei giovani. Senza preavviso furono condotti in una scuola-quadri comunista ove vigeva un regime da novizi. Ivi furono messi assieme a 50 giovani raccolti altrove. La settimana che vi passarono fu una settimana di evasioni, di conciliaboli segreti. Al termine di quegli otto giorni non rimanevano che otto candidati. Li misero fuori. Il nostro giovane, per guadagnarsi la vita, si presentò in una scuola media della regione.
Lo misero alla prova. Pareva che soddisfacesse alle esigenze di un insegnante di matematica. Ma dopo qualche giorno gli fecero una domanda sulla religione: rispose che era cattolico... urla, minacce... tenne durò. Otto giorno dopo, nuova seduta: tenne duro ancora... appellandosi alla libertà di religione. Gli spiegarono che la religione cattolica non era possibile in un paese comunista perchè il Papa aveva condannato il Comunismo. Terzo interrogatorio: tenne duro.... Convocarono allora tutta la scuola: 400 tra giovani e ragazze. Lo misero su di uno sgabello in mezzo alla folla.... Per quattro ore: derisioni, scaracchi, insulti, minacce: «Confessalo! Pentiti!...». Egli ripeteva sempre: Sono cristiano. Fino a che — svenuto — lo portarono in prigione.
D. Allora in Cina non c'è libertà di religione?
R. 1) «Nella Cina del Nord i Comunisti hanno requisito la parte delle grandi Chiese cattoliche trasformandole in «Collegi dei Rivoluzionari del Popolo» ove circa 15.000 allievi stanno «addottrinandosi».
2) «Dopo aver requisito la casa ai sacerdoti e averli ridotti a vivere in sagrestia la prima metà dell’aprile '52 il capo dei comunisti disse che la «cappella doveva essere adoperata come sala per comizi e che pertanto i sacerdoti dovevano cederla...».
D. Qual è il metodo usato nei processi contro i Missionari?
R. «Erano circa le 11,30 quando il capo diede inizio al processo. Il padre Curran fu messo sotto il palco a sinistra ed io (P. Fedders) a destra. Ci ordinarono di stare voltati verso il popolo e di stare a capo chino e zitti. Il sole scottava (si era nel Luglio del 1952). Dopo aver sparate le solite cartucce contro gli imperialisti e i Missionari americani in genere, il capo ordinò: Ed ora ascolteremo le accuse del signor Ma contro questi preti. E lei, sig. Chow, si prepari a succedergli.
Il sig. Ma, un non cattolico, salì sul palco e cominciò: «Cinque anni fa il Padre N. (già da tempo fuori dalla Cina) comperò un fusto di petrolio. Noi fummo incaricati di trasportarlo alla Missione. Pioveva, il carico era pesante e noi faticavamo maledettamente in mezzo al fango per portare agli imperialisti il loro fusto di petrolio. Fummo pagati la miseria di 2 libbre di riso a testa per il lavoro, mentre avremmo dovuto guadagnarne 10. Noi accusiamo gli imperialisti di averci pagato troppo poco e chiediamo che costoro ci diano ora 8 libbre di riso a testa».
La parola fu al secondo teste, il sig. Chow, poi successivamente ai Sigg. Kung, Liang, Miao, Kao ecc. ecc. Io ne contai 55 degli accusatori. Parecchie volte tentai di lanciare un’occhiata a coloro che ci accusavano, ma mi buscavo dei colpi in testa con un ombrello: «Giù la testa!».
Ogni tanto il teste era una donna.
Costei dice — pronunciò forte il capo — che il cuoco lavorava solo un paio d’ore al giorno per preparare da mangiare agli imperialisti e guadagnava 200 libbre di riso al mese, mentre lei lavorava assai di più e più duro, lavando i piatti degli imperialisti e non guadagnava 200 libbre di riso al mese. Essa chiede...
Durante la guerra giapponese — ci accusò un altro — io ho perduto sette porci e parecchie centinaia di libbre di riso quando i giapponesi invasero il paese». E il Capo decise che tale perdita doveva essere imputata a noi, perchè gli imperialisti americani erano in collusione con i Giapponesi in tale invasione e fu solo il vittorioso esercito Comunista che li scacciò». CMB 8 (1952) 653-654
D. È vero che i Comunisti Cinesi hanno imprigionato dei Missionari?
R. Diamo soltanto qualche nome. Sono morti in prigione:
1) Mgr Leon de Smedt, Vescovo di Siwantze Chahar.
2) Mgr Cirillo Jarre, Arciv. di Tsinan, Shantung.
3) Mgr Ignazio P'i Shu-shih, Arciv. di Mukden, Manciuria.
4) Mgr Francesco Sav. Ford, Vescovo di Meih siere Kwantung.
Imprigionati: I seguenti Arcivescovi, Vescovi, Prefetti Apostolici:
Roberto Kowalski di Wuchang, Hupeh - Ambrogio Pinger di Chowtoun, Shantung - Filippo Còtè di Suchow, Kiansi - Curbert O'Gara di Juanling, Honan - Gustavo Prèvost di Lingtung, Manciuria - Carlo Weber di Ichow, Shantung - Augusto Olbert di Tsing-tao, Shantung - Luca Capozi di Taiyuan, Shansi - Fulgenzio Pasini di Sanyuan, Shensi - Ferruccio Ceol di Kichow, Hupeh - Tarcisio Martina di Jihsien, Hopeh - Silvestro) Valentin di Kangting, Szechwan - Gabriele Quint di Weihaiwei, Shantung - Irvigo Koenig di Shaowe, Fukien - Antonio Pott di Sinyanh, Honan.
D. Ci sono dati ufficiali comunisti di uccisioni di controrivolu-zionari?
R. A parte il grande numero di uccisi che mai furono dichiarati, abbiamo alcune dichiarate esecuzioni in massa. I dati seguenti li ricaviamo dalla Communist New China News Agency la quale, a volte, parlò genericamente di «largo gruppo» di condannati.
In soli 13 giorni (dal 19 al 31 Marzo 1951) furono uccise:
Dal 19 al 25, 91 persone;
Il 25 un «grande numero» tra cui 34 persone direttamente nominate;
Il 25 nello Swatow 23 persone:
Il 26 nel Canton 19 persone;
Il 27 un «grande numero» tra cui 31 persone direttamente nominate;
Il 31 un «grande numero» tra cui 22 persone direttamente nominate.
Chi volesse altri elenchi, ricavati da testimonianze assolutamente degne di fede, potrà confrontare il CMB 5 (1951) 412-413.
D. È vero che i Comunisti Cinesi hanno torturato dei Missionari?
R. Lasciamo la parola a 4 missionari usciti dalla Cina il 14 settembre 1952. Ancora portano sul viso i segni delle torture fisiche sopportate durante i giorni della prigionia. I Missionari, arrestati a Pekino sono: P. Maurizio Kavanagh, Padre Ulrico Lebrun, P. Alberto Van Lierde, P. Karel De Ryck.
«I maltrattamenti, nella prigione Verbiest di Pekino, cominciarono dalle prime settimane della nostra prigionia, col cercare di forzarci ad ammettere che noi eravamo delle «spie», degli «agenti segreti».
Io sono rimasto venti giorni continui senza poter dormire un minuto e l'unico riposo che mi era concesso fu di sedermi sul pavimento con la testa eretta e le mani legate dietro la schiena».
«Io fui arrestato con quattro sacerdoti Cinesi, perchè rifiutammo di aderire al «movimento della Chiesa indipendente». Poichè negai di essere una «spia» od un «agente segreto» mi legarono le mani dietro la schiena e mi obbligarono a rimanere in piedi quattro giorni senza che mi potessi muovere. Il 18 Settembre 1951 le guardie della prigione mi obbligarono ad accoccolarmi (chinarmi come seduto sui calcagni) toccando solo terra coi piedi); data una malattia che io avevo avuto da giovane alle ginocchia, una tale posizione mi risultò estremamente dolorosa. Le guardie si accorsero che io soffrivo in quella posizione e mi obbligarono a restarvi per 84 ore senza interruzione. Quando la stanchezza mi vinceva e cadevo essi mi rimettevano nella posizione voluta tirandomi o per le orecchie o per i capelli».
«Arrestato il 4 Agosto 1951 mi legarono le mani dietro la schiena fino al 3 Settembre. Di poi me le legarono davanti. Rimasi ammanettato per 10 mesi. Fui privato del sonno per 20 giorni consecutivi e fui costretto a restare in piedi proprio fino all'esaurimento.
Le guardie mi trascinarono per la barba e finirono per strapparmela completamente».
«Siccome rifiutavo di ammettere che ogni straniero era «un agente speciale» contro la Cina, due uomini mi percossero il viso con tanta violenza e con tanta insistenza per altra mezz’ora, talchè gli occhi, le labbra, le gote erano tumefatte ed irriconoscibili. Fui anche legato per i piedi e sospeso al soffitto».
«Per le sofferenze derivate da stretti e dolorosissimi ammanettamenti, le mie braccia divennero incapaci di movimento. E fui obbligato a mangiare proprio come i maiali».
A un anno di distanza il Padre portava ancora i segni nei polsi.
D. Come? Sospendevano l'accusato al soffitto?...
R. Risponde, per tutti il P. Schyns, un Missionario belga espulso dalla Cina dopo 27 anni di apostolato.
«La tortura più dolorosa fu quella della sospensione al soffitto.
Mi fecero arrampicate su di una pila di mattoni. Avevo le mani legate dietro la schiena. Un soldato, servendosi della catena attaccata alle manette mi spinse i polsi fino all'altezza del collo e attaccò la catena al chiodo attaccato al muro sopra la mia testa. Poi rimosse il mucchio di mattoni su cui stavo. Il peso del mio corpo mi slogò le spalle, i gomiti e i polsi. Io urlai per il dolore. Per farmi tacere un soldato mi ficcò in bocca uno straccio lurido. Ho subito questo trattamento una dozzina di volte. Tale tormento, durava, per me, dai 15 ai 20 minuti. Dalle urla di dolore che io sentivo dalle celle vicine penso che i miei compagni di prigione siano stati sottoposti a tale tormento per ore intere».
D. È vero che il Comunismo Cinese distrugge l'amore filiale, spaccando la famiglia?
R. Basti, a riprova di tale infame insegnamento impartito alla gioventù, quello che uno studente di Pekino scriveva a suo padre che si trovava ad Hong Kong: «Non ti chiamerò più papa, perchè ora appartengo allo Stato» .
D. Però il popolo Cinese è contendo del Comunismo che ha portato il benessere....
R. Il Sig. C. S. Yen, parlando della situazione a Shanghai, Canton, Hantow, così scrive:
«Coloro che hanno appena un po’ di conoscenza della politica internazionale stanno pregando per l'avvento della terza guerra mondiale...
Ormai non resta ai cittadini che il suicidio. La verità si è che sotto il Governo di Pekino non c'è libertà. Senza libertà l'uomo non è uomo, ma una cosa od uno schiavo. E vivere da schiavo è peggio che essere morto».
Un vecchio di 70 anni possedeva circa 330 acri di terreno nel Kiangsi: lo classificarono tra i latifondisti applicandogli una tassa di 2000 sacchi di riso.
Benchè padrone di tanta terra, egli era poverissimo. Aveva affittata la terra a dei contadini, ma non ne aveva ricavato — al giugno 1950 — alcun frutto fino dall’inizio della guerra con il Giappone. Suo figlio lavorava in città per mantenere la famiglia. Quel vecchio pregò allora l'autorità che gli riducesse le tasse. Nulla. Arrivò fino al punto da offrire gratuitamente le sue terre allo Stato. Invano. Fu imprigionato. E in prigione morì.
D. È vero che il Comunismo Cinese ha istituiti i campi di lavoro forzato?
R. In Cina esistevano già, al 31 luglio 1951, 17 campi di lavoro forzato, in diversi luoghi, come a Pekino, Tientsin, Hankow, Canton, Kiweischow eco.
D. Ci sono dichiarazioni ufficiali, in proposito?
R. Sì. Il Ministro di Giustizia, il Signor Shih Liang, decretava nel 1951: «Non basta privarli della libertà, i prigionieri, ma è necessario obbligarli al lavoro forzato».
E Chou En-lai completava, parlando di eliminazione degli elementi «indesiderabili», su scala nazionale.
D. Ci sono dei dati circa il numero dei condannati al lavoro forzato in Cina?
R. Nel campo di Kiweischow sono stati condannati a lavori forzati (strade, miniere ecc.) oltre 20.000 «controrivoluzionari». Così la Radio di Chungking il 1° Ottobre 1951.
Nel campo di Chingho ce n’erano, a quella data, circa 50.000.
Secondo le cifre date dalla agenzia governativa NCNA (New China News Agency) la quale esalta come una conquista, la condanna dei controrivoluzionari ai lavori forzati, circa il 65 per cento dei controrivoluzionari processati nel Sud si trovano nei campi di lavoro forzato.
D. Che cos’è il «capitolo delle colpe»?
R. «Furono formati vari gruppi allo scopo di discutere i temi proposti nelle conferenze generali. Fu istituito il capitolo delle colpe per cui ciascuno oltre a denunciare pubblicamente le colpe della propria vita, doveva dire le oppressioni subite e accusare l'avversario».
D. È vero che anche la letteratura e le arti sono state messe a servizio del Comunismo?
R. Il Vice-presidente Shu Tung, durante un discorso a Shangai agli artisti dava loro questa direttiva fondamentale: l'arte vera non può essere che quella che si interessa del trionfo del proletariato esaltandone gli ideali e gli eroi, contribuendo così al trionfo della democrazia.
D. Èvero che l'osservanza della legge è condizionata alle esigenze della lotta contro i ricchi?
R. La risposta la ricaviamo dal discorso di Ten Tse Hui, (27 dicembre 1950):
«Ci sono varie cose che non si trovano nelle leggi o nei decreti; in tali casi i pareri della maggior parte dei poveri e dei braccianti devono essere rispettati e sottoposti al governo a che li sanzioni. Alcune leggi e decreti sono aperti a interpretazioni diverse, e in tali circostanze devono essere seguiti gli interessi dei poveri e dei braccianti».
Tale risposta fu data, è vero, direttamente in riguardo alla riforma agraria da farsi. È però evidente l'aleatorietà della legge di fronte all'interesse.
D. Anche la riforma agraria è una questione politica?
R. «La lotta contro il feudalismo ha un suo aspetto militare, politico-organizzativo intellettuale, economico... la riforma agraria — confisca della proprietà feudale e ridistribuzione della terra — è la fase più acuta di tale lotta, una fase bene coordinata con le altre manifestazioni di tale lotta.
Isolare la riforma agraria da questa rete di sforzi e riguardarla come una semplice questione di ridistribuzione della terra, come una questione tecnica, sarebbe commettere un grave errore politico».