Un altro movimento crudelmente messo in opera è stato il cosiddetto «anti-rivoluzione e anti-corruzione». Con questo duplice movimento il partito comunista intendeva disfarsi dei nemici, delle persone sospette e di tutti gli inciampi della nuova società. È stata una tremenda carneficina dal maggio del 1951 al maggio 1953. I cosiddetti reazionari o sospettati come tali venivano arrestati nottetempo senza che nessuno sapesse dove fossero condotti. Solo dopo il processo e il giudizio sommario si fece sapere al popolo che quei tali stavano in carcere per questo o per quest'altro motivo. Il popolo non ebbe altro che fare da altoparlante e gridare: «A morte i reazionari!».
Un giorno due bambine bussarono timidamente alla porta. Avevano il viso pallido e gli occhi in lacrime, e dissero: «Padre, questa notte sono entrati in casa degli uomini. Hanno legato il babbo e il nonno e se li sono portati via. Non sappiamo dove». Qualche mese più tardi dovevano sapere che il nonno era condannato alla fucilazione ed il babbo all’ergastolo, perché erano di inciampo al partito comunista. Ecco tutto.
Una mamma cercava suo figlio scomparso, non si sa come, la notte precedente, quando uno le disse: «Ho visto stanotte passare un carro scortato da gendarmi carico di individui legati». A queste parole cadeva svenuta. Intuì che fra le persone legate ci poteva essere anche suo figlio. In base alle uccisioni fatte nella nostra sottoprefettura di Yutze e di altre circonvicine si è potuto fare un computo sommario per tutta la Cina ottenendo la cifra di circa tre milioni di vite sacrificate al movimento.
Per quanto riguarda il «movimento anti-corruzione», detto anche «movimento della caccia alle tigri» (i mercanti), i risultati sono stati ancor più disastrosi. Sono stati presi di mira i mercanti, i quali, col pretesto di aver truffato il governo corrompendo i funzionari, venivano tassati in misura tale da non bastare tutto il loro capitale. Il chiasso contro i cosiddetti «corruttori o cannoni inzuccherati dell’imperialismo» è stato incredibile. La somma voluta veniva fissata da un ispettorato segreto, che la faceva poi dichiarare dal popolo adunato con grida feroci. Gli agenti s'intrufolavano fra le file del popolo e sussurravano una somma, che il popolo, da buon altoparlante, gridava con insistenza, con minacce di morte in faccia ai poveri mercanti legati in loro presenza. Lo schiamazzo perdurava finché la povera vittima non avesse ammesso «spontaneamente» di aver truffato per via di corruzioni la somma voluta. Gran parte dei mercanti venivano presi dalla disperazione e molti ricorsero al suicidio per por fine ai guai; tanto che il movimento anti-corruzione fu poi chiamato «movimento dei suicidi», I superstiti passavano il loro capitale al governo, che per salvare le forme manteneva ancora in attività le aziende e le botteghe a titolo privato, ma con capitale diventato governativo. Varie persone in segreto mi hanno confidato: «Nominalmente siamo ancora gli antichi proprietari, ma di fatto non siamo che servi bottegai del governo. Se le cose vanno bene il guadagno è del governo, se invece vanno male la responsabilità è nostra. Meglio non pensare a queste cose, altrimenti non c'è che da impazzire e far la fine dei nostri compagni suicidati». Insomma la conclusione fu una sola: liquidazione totale della categoria dei commercianti. Vennero danneggiati anche non pochi cristiani dei centri cittadini di maggior sviluppo industriale e commerciale.