![]() |
![]() |
Quest’anno ricorre il 60° anniversario del sacrificio di Giuseppe Fanin figura fondamentale per il mondo cattolico bolognese.
Solitamente il ricordo di Giuseppe Fanin parte dagli anni in cui operò nell’associazionismo e dal contesto politico in cui avvenne il brutale assassinio da parte di alcuni componenti dell’allora Partito Comunista.
Vorrei oggi invece partire dall’attualità della figura di Giuseppe Fanin, in un’epoca certamente diversa da quella della fine degli anni 40, ma che attraverso i corsi e ricorsi storici può trovare delle affinità.
Fanin si può senza dubbio affermare che era un riformatore e questo lo si deduce dall’approccio non in chiave ideologica delle linee di pensiero che perseguiva con la sua opera. In quel periodo essere riformatori, nelle campagne bolognesi dove lui svolgeva una preziosa opera di rappresentanza dell’associazionismo cattolico, non era assolutamente semplice per una situazione piena di tensioni.
Oggi come allora assumersi delle responsabilità davanti alle difficoltà e al cambiamento porta ad essere criticati, e giudicati in modo semplicistico.
Fanin aveva in quel periodo trovato una strada riformista certamente più difficile, quella di centrare fortemente il progresso economico e civile con un’azione che rifiutava il conflitto e che andava nella direzione del dialogo e della proposta.
La sua profonda fede lo aiutava in tutto questo; lo aiutava la sua storia, la prima formazione nel Seminario arcivescovile di Villa Revedin dove in quel periodo i giovani seminaristi avevano l’opportunità nell’ambito del percorso spirituale anche di affrontare tematiche collegate alla vita sociale. Una fede che guardava ai bisogni del presente e che vide uscire dall’esperienza del Seminario bolognese figure esemplari di laici cattolici, come Contardo Ferrini, Giorgio Samoggia Piergiorgio Frassati….. e sacerdoti come Mons. Cesare Sarti e i preti martiri di Monte Sole, Don Giovanni Fornasini e Don Ubaldo Marchioni.
Quando Fanin si recò dal Rettore ed in modo deciso affermò che la sua vita sarebbe stata quella di “un buon padre di famiglia” sapeva che il suo impegno di fede sarebbe continuato nel lavoro e nel sociale.
Ma l’opera riformatrice di Giuseppe Fanin si individua nella sua attività nelle A. C. L. I, nella DC, e nella corrente cristiana della Libera C. G. I. L (futura CISL) di cui fu uno dei protagonisti nell’Assemblea preparatoria del Congresso di Federterra.
Fanin credeva ad un nuovo concetto del valore del lavoro nell’impresa, rifiutando le ideologizzazioni con ottimismo, libertà e severa profondità.
Per questo propose il tema della compartecipazione famigliare, come strumento di crescita economico-sociale, un modello partecipativo di grande attualità.
Proprio nel solco del pensiero che stava maturando nella corrente cristiana tracciato da Romani, Fanin credeva in due concetti oggi molto attuali; quelli della “partecipazione” e della “responsabilità”, temi presenti anche nell’odierno dibattito sindacale.
La sua coerenza, il suo attivismo erano pieni di una volontà che si metteva a disposizione del “bene comune”.
Nell’omelia di S. Petronio di quest’anno, il Cardinale di Bologna Mons. Carlo Caffarra ha ricordato che la società umana “non è il risultato di contrattazioni condotte fra opposti interessi, ma la realizzazione di una dimensione naturale della persona”.
Ha affermato il nostro Arcivescovo che “Se vogliamo che la nostra città cresca, ciascuno di noi - individui e formazioni sociali - deve sempre più prendere coscienza che esiste un bene comune, superiore ai beni privati. [... ]”
“Tuttavia, la conflittualità civile e politica ha ben diversa natura a seconda che la si viva come controversia fra rivali, che non hanno nulla in comune poiché hanno solo interessi da difendere, oppure come incontro tra soggetti, che condividono la ricerca del bene comune, il quale supera e unisce tutti. ”
Queste parole così profonde mi hanno fatto venire in mente i difficili momenti che stiamo vivendo nel Sindacato per scelte di responsabilità della Organizzazione che rappresento, ma ancor di più mi hanno portato alla mente in un contesto sicuramente più difficile, il pensiero di Giuseppe Fanin, che aveva capito già da allora che la strada era quella della ricerca di un bene comune nella società e nel lavoro attraverso il confronto.
L’altra attualità della sua figura sta nel rapporto che aveva con le persone (anche gli avversari) nella vita politica.
In un momento in cui i politici si denigrano a vicenda, si offendono, non si rispettano la testimonianza di Fanin diventa per noi lezione: convinta fermezza delle sue posizioni, ma calma serena e dialogo con gli oppositori.
Fanin dava fastidio perché non si fermava davanti alle minacce, alle false accuse e la sua risposta era nella sua opera quotidiana; era nel correre da una parte all’altra per sostenere i gruppi, alzando la bandiera del Libero Sindacato. Per questo il suo motto era andare in fretta per costruire opere che “dimostrino ai braccianti che noi, mondo contadino, siamo dalla loro parte”.
Un’idea di dialogo sociale politico fortemente necessario anche oggi per risolvere la crisi economica-politica attraverso la conciliazione, la concertazione ma sempre nel rispetto dell’altro.
Ecco la grande attualità, dell’opera di Giuseppe Fanin.
Non posso poi non tornare, amando la storia, a quel periodo così difficile per il nostro Paese, la fine degli anni ‘40.
Ero piccolo quando sentii per la prima volta parlare di Fanin attraverso una foto che lo ritraeva con mio padre (suo coetaneo) ai tempi degli studi agrari.
Il racconto di mio padre su quella figura mi colpì profondamente.
Nel secondo dopoguerra, Giuseppe Fanin aveva un forte ruolo soprattutto nel settore della terra, e sotto la regia del grande protagonista di quei tempi, (e mi permetto di dire anche degli attuali) il Senatore Giovanni Bersani, partecipò alla riunione-convegno svoltasi a Bologna a Villa San Giuseppe dall’8 all’11 settembre 1948. Oltre a Bersani erano presenti Bastia, Fin, Mazzoli, Anna Serra ed altri ancora, ed anche il giovane Fanin che in quell’occasione portò il suo contributo.
Pochi mesi dopo Fanin girava la Provincia tenendo dibattiti-comizi con una rigorosità e con una convinzione che trascinava la gente.
Dava fastidio questa grande idea di libertà e giustizia soprattutto a quella parte comunista che non accettava che il lavoro fosse “cosa anche di altri”, e anziché dialogare iniziarono le minacce e le violenze.
Mi ha raccontato Bersani in sede di stesura del mio testo sulla nascità della CISL a Bologna questo significativo episodio: “insieme a Mazzoli e ad altri tre di cui non ricordo il nome ci trovammo per comporre il manifesto della costituzione del Sindacato libero, autonomamente, perché era difficile trovare una tipografia disponibile in quel momento a stampare un simile manifesto. Ci facemmo dare le chiavi da un artigiano e riuscimmo nella nostra opera, anche se con scarsi risultati; la notte stessa con i secchi di colla ci dirigemmo verso il centro della città e mentre stavamo attaccando il manifesto in via Indipendenza, di fronte a San Pietro arrivò un gruppo di aderenti al partito Comunista che cominciò pesantemente a minacciarci.
Vista la situazione resasi pericolosa, Mazzoli, che in quei tempi girava armato, tirò fuori la rivoltella, e con l’aspetto da “guerriero” che aveva, “calmò le acque”; nel frattempo arrivò un drappello della polizia che ci rimandò a casa”.
Mazzoli uomo di temperamento doveva difendersi e quel gesto era ampiamente giustificato.
In quei giorni fu consigliato a Giuseppe Fanin di armarsi per le minacce che erano divenute ormai quotidiane nei suoi confronti.
Fanin mise la mano in tasca e disse estraendo un rosario “questa è l’unica arma di cui ho bisogno”.
La storia non deve più dimenticare che il brutale assassinio di Giuseppe Fanin avvenne dopo una lunga serie di violenze nel territorio bolognese.
Ricordo che in quel periodo il Senatore Bersani insieme a Ravizzoni ed a Mancini fecero un’interpellanza parlamentare denunciando persecuzioni a danno dei liberi lavoratori. Ciò avvenne in una seduta parlamentare molto dibattuta dove Bersani documentò le aggressioni avvenute particolarmente nei comuni vicini a Bologna.
Voglio elencarle a seguito perché non si perda la memoria di questi eventi.
21 settembre - PIZZI ANNA e Figlia di S. Agata Bolognese, lavoratrici aderenti ai sindacati liberi, alle 13. 30 bloccate, circondate e assalite da una sessantina di donne, con minacce ed insulti.
IDA PICCHIONI e MARIA ZECCHI: trascinate per la strada a viva forza e duramente colpite da 50 donne, provenienti da S. Agata e Crocetta. L’intervento della forza pubblica impedisce che si degeneri in più grave episodio. La Picchioni è percossa con una pietra, la Zecchi è colpita anche a morsi.
22 settembre - BERGAMINI RINALDO, pure di S. Agata, accerchiato e percosso. Il 23 settembre l’attentato si ripete.
24 settembre - Le due lavoratrici PIZZI, assalite e bastonate presso la loro casa, da donne provenienti da Persiceto e da S. Agata.
REBELLATO DAMIANO, di S. Agata Bolognese, il 28 settembre, è fatto cadere in un agguato mediante un filo di ferro teso nella notte lungo la strada. È assalito da tre ignoti che con calci e bastonate percuotono gravemente il caduto.
30 settembre - REBELLATO MARIA, bracciante, due volte fermata a Ponte Rizzoli da blocco stradale, salvata a stento dall’organizzatore Fin, che tenta un accordo amichevole, ma la lavoratrice è rincorsa, strappata dalla motocicletta, percossa e presa a morsi.
NANNINI GIUSEPPE e DOMENICONI ALFREDO, operai, aggrediti brutalmente da ignoti armati di bastoni.
BERSANI, bracciante, ricercato e minacciato nella sua abitazione.
Blocchi stradali, invasioni di luoghi di lavoro, minacce ai domiciliari privati, intimidazioni personali, a Castel S. Pietro, Ozzano, Castel d’Argile, S. Pietro in Casale e zone periferiche.
6, 8, 9, 10, 11 ottobre - Minacce, ostruzionismi, blocchi, aggressioni contro gruppi di braccianti e liberi lavoratori che non aderiscono alla Camera del Lavoro. Pressione del Sindaco di Castel S. Pietro perché i dissenzienti ritornino sotto il giogo della C. G. I. L. Riunione straordinaria della Federterra, ove si dichiara che bisogna lottare con tutti i mezzi per far fallire il “provocatorio tentativo di costituire i Sindacati Liberi”.
Manifesti in cui si additano nominativamente i sindacalisti e i liberi lavoratori cristiani all’odio e al disprezzo delle masse. A Castel S. Pietro, contro 6 lavoratori, violente dimostrazioni che provocano l’intervento dei carabinieri.
12 ottobre - Gruppi di braccianti con il capo lega Costa circondano un gruppo di liberi lavoratori e solo l’intervento dei carabinieri sopraggiunti pone fine alla rissa.
ANNA NANNI e ILDE MANDRIOLI, aggredite e schiaffeggiate, rincorse sino alle loro abitazioni, dove sono costrette a barricarsi.
13 ottobre - Altri 4 lavoratori rurali circondati, fatti retrocedere “pena la vita”.
ETTORE FILICORI, salariato fisso, affrontato presso Quaderna da tre sconosciuti che lo tempestano di pugni provocando la frattura del setto nasale.
GUALANDI SERGIO, schiaffeggiato poi nuovamente aggredito da 4 energumeni che lo percuotono furiosamente, provocandogli larghe ecchimosi e ferite con complicazioni agli occhi e agli orecchi. Per otto giorni rimane degente.
ORLANDI DANTE e ORLANDI RAFFAELLA, di Ozzano, aggrediti nella loro abitazione privata, percossi da un gruppo di 30 persone, minacciati di morte.
RINALDO BOVINA, di Castel d’Argile, percosso violentemente a pugni e a calci, con sospetta lesione alla pleura. L’incidente era provocato da una turba furiosa che aveva circondato e aggredito a più riprese diversi liberi lavoratori. MAZZONI CESARE doveva difendersi sparando alcuni colpi in aria.
13 ottobre - Tumultuosi incidenti nella zona di Castel S. Pietro. Alcuni liberi lavoratori fatti segno a violenze a S. Lazzaro. Intimidazione, pattugliamenti di squadre, blocchi per le vie e davanti alle case dei lavoratori iscritti ai Sindacati liberi. Talune donne buttate a terra e percosse.
RANGONI IMELDE, tornando dal lavoro assalita da gruppi di estremisti, percossa violentemente.
REBELLATO MARIA pure aggredita e colpita con calci al ventre e alle reni. Molte lettere minatorie pervengono agli iscritti ai Sindacati liberi.
15 ottobre - Notevole aggravamento della situazione. A Castel d’Argile la casa di un datore di lavoro circondata per tre ore da una turba d’iscritti alla Camera del Lavoro che esigono la non assunzione di lavoratori dei Sindacati liberi.
Infine il drammatico epilogo avvenne la notte del 4 di novembre del 1948: il Segretario delle A. C. L. I. Terra, Sindacalista della LIBERACGIL veniva barbaramente trucidato nella notte a San Giovanni in Persiceto.
Una linea oscura di violenza che sarebbe continuata nel tempo verso persone che ricercavano nel bene comune e nel dialogo di dare un servizio alla società e al Paese: il mio - mai dimenticato - Professore di Storia Contemporanea Roberto Ruffilli, un prezioso formatore della CISL che ci insegnava l’Economia, Tarantelli, Tobagi, D’Antona ed altri ancora, fino al nostro concittadino Marco Biagi.
Una linea unisce queste persone: l’impegno sui problemi del mondo del lavoro svolto con competenza e coerenza.
Non li dimentichiamo, sono ancora vivi nei nostri cuori e nelle loro opere.
Così come Giuseppe Fanin rimane un punto di riferimento fondamentale per la nostra CISL.
Bologna, ottobre 2008