4 novembre 1948: giorno sacro alla memoria dei Caduti per la Patria.
In tutte le Piazze d'Italia si è commemorata la storica data invocando la pace. Anche in Persiceto Piazza del Popolo ha risonato delle note del Piave ed ha visto sfilare il tradizionale Corteo con le Corone per il Monumento ai Caduti. Quando cala la sera, la Piazza appare inondata di luce fasciata di nebbia: la triste nebbia di novembre. Giunge una corriera: porta 60 bambini che tornano da un pellegrinaggio alla Madonna di S. Luca.
Come è bello e sereno l’incontro di questi piccoli con le mamme dopo la lunga giornata di separazione!
Sono le 18,30, ora del passeggio: c'è molta gente che s'accalca davanti al cinema. Troppa gente; tanta che Giuseppe Fanin con la fidanzata indugiano un po'; poi pensano di tornare a casa. Anche quella sera la passeranno assieme. Giuseppe era giunto al noto appuntamento con un bel mazzo di fiori; gli amici fucini, con i quali s'era incontrato, l’avevano naturalmente preso in giro! Si erano poi persi a parlare degli argomenti dell’ora: tesseramento della FUCI, sindacalismo. Si era parlato del Congresso Provinciale del 6 novembre a Molinella, della relazione che Giuseppe doveva tenere sul nuovo patto di Compartecipazione Agraria da lui studiato; da parte degli amici era stata espressa la preoccupazione: «Bada che non ne salti fuori uno dei soliti congressi....». La conversazione era terminata al numero 93 di Corso Italia, alla casa della fidanzata. Si erano lasciati con l’abituale «Ciao, ci vediamo domattina al treno». E siccome il treno parte ogni mattina alle 6,30 e Giuseppe doveva alzarsi almeno un'ora prima per fare i 6 Km. dalla casa alla stazione, quella sera aveva pensato di ritirarsi un po' per tempo. Sono le 21,45. Eccolo pedalare veloce per Corso Italia, passare la Porta Garibaldi e sparire solo nella nebbia e nel buio. Era l’ora del Rosario che Giuseppe recitava ogni sera durante quel tragitto: la strada così nella notte non gli faceva paura: si sentiva accanto la Madre del Cielo: «Sancta Maria... ora pro nobis peccatoribus nunc et in hora mortis nostrae...». Un'ombra appare ferma sulla strada; Giuseppe esita e s'arresta; «Non ho mai fatto del male a nessuno; chi potrà farmi del male?!». Ora sono due, tre ombre che gli si serrano addosso bieche e nere come il tradimento.
Mezz'ora dopo un corpo rantolante veniva trovato da un passante su un mucchio di ghiaia. «È un ubriaco» pensò alzando un lembo del gabardine. Sotto c'era un cranio fracassato. Attorno, nella nebbia fredda si intravedevano poche case. Ma nessuno aveva visto nulla, nessuno sapeva nulla. Eppure Giuseppe aveva lottato nella notte prima di soccombere. Quando ì Carabinieri lo raccolsero, era a 30 metri dalla bicicletta; le mani deformate dal gonfiore e dai lividi dicevano ì suoi tentativi di difendere la testa. La lotta era stata impari: ì cinque solchi nella nuca testimoniavano la ferocia con cui era stata menata la verga di ferro. Anche quando si era abbattuto sulla ghiaia i mostri avevano continuato a battere fino a spezzare le ossa; all’Ospedale si riscontrarono altre ferite fonde di punteruolo nei fianchi: le belve, non contente di uccidere, avevano voluto torturare.
Quando giunse all’ Ospedale nessuno lo riconobbe; fu tragico il momento in cui il Maresciallo dei Carabinieri lesse sulla carta d'identità: Giuseppe Fanin. Neppure allora il medico e gli infermieri riuscirono a rintracciarne i lineamenti pur tanto noti; sulla fronte lavata dai grumi di sangue, spiccavano ora rosse e larghe ferite, e il labbro superiore appariva nero, orribilmente gonfio.
Una macchina velocissima passò pochi minuti dopo presso il mucchio di ghiaia.
Era la Prof.ssa Fanin, zia di Giuseppe, che accorreva ad avvertire i parenti: «Pippo s'è fatto male» annunciò e non ebbe la forza di dire altro; Al fratello Virgilio, babbo di Giuseppe, disse in disparte: «Bisogna che tu venga subito». Quando il babbo entrò nella camera di medicazione, s'arrestò rigido a guardare. «Assassini» mormorò, ma la sua voce non aveva l’accento dell’odio. Il dottore se lo vide accanto poco dopo: «Mi pare grave; dobbiamo chiamare il Sacerdote?». Il dottore rispose con un cenno del capo. Don Giuseppe fu presso il morente ad amministrare l’Olio Santo. Alle 1,45 del 5 novembre, senza aver ripreso conoscenza, Giuseppe spirava. La zia Lidia guardò il babbo ai piedi del letto: era ancora immobile, rigido: la statua del dolore; solo le labbra si muovevano appena a scandire qualcosa: pregava.
A casa la mamma, cui zia Lidia aveva detto che Pippo era caduto dalla bicicletta, dormiva; sognando un lungo misterioso corteo funebre. Al mattino — nessuno era ancora tornato — s'affrettò in bicicletta verso S. Giovanni. Quando giunse al mucchio di ghiaia, lo vide insanguinato. Provò una stretta terribile nel tragico presentimento: «È sangue del mio sangue!». Prima ancora di giungere all’Ospedale seppe tutto, «È il secondo che mi muore senza che l’abbia potuto vedere». Ed ebbe una crisi violenta di pianto. La cognata le fu vicino: «Sii brava anche tu come Virgilio! Pensa che hai un Martire in Cielo a pregare per te». Il mite richiamo la scosse e fu udita esclamare: «Sì, meglio certo in Cielo, che saperlo vivo fra gli assassini». Dopo molte insistenze ottenne di vedere suo figlio: «Vedrete che sarò brava!». Se lo strinse forte fra le braccia: le ferite sanguinavano ancora. «Povero Peppino! Come t'hanno ridotto!» Ubbidì poi a chi le disse di tornare a casa. Voltasi alla cognata: «Lidia, veglialo tu e dagli qualche bacio per me».
Il babbo alle 6 del mattino era partito dall’Ospedale per andare ad avvertire il Parroco. A quell’ ora, anche i suoi ragazzi erano in Parrocchia a Lorenzatico per la Comunione del Primo Venerdì del Mese. E in Chiesa li vide assorti davanti all’altare: la Gianna, Gianni, Lino. Don Antonio uscì dal Confessionale.
«Don Antonio, sa ancora niente della disgrazia?».
«No; di quale disgrazia?».
«Hanno assassinato Peppino».
Il signor Virgilio aveva parlato col suo tono normale di voce, tranquillo e piano; appena alterato da un velo di pianto. Quando Don Antonio all’inizio della Messa diede ai fedeli il tristissimo annunzio, tutti piansero con lui: accanto all’altare, avvolto nel mantello, il signor Virgilio interrogava impietrito il Crocefisso grande sull’altare maggiore, e il suo occhio non diede una lacrima.
La domenica — al funerale — babbo, mamma, fratelli, fidanzata, sorelle di Giuseppe: tutti furono presenti.
A metà della Messa si accostarono alla Santa Comunione. E Cristo sembrò trasfigurare quei volti, in cui lo strazio più vivo si placava nella; serenità della Fede.