«So la grandezza dell’amore di cui ti ho fatto dono, completo dono.
In questi giorni ho compreso che cosa significhi amare con amore cristiano: amare nella creatura la bellezza della sua anima e così amare Dio.
Io amo te di un amore che giunge fino a Dio. E il mio amore è puro perché anch'io sono puro e vorrò portare la mia purezza al talamo matrimoniale.
Nella pienezza di questi sentimenti che sono tutti per te, non vedo e non desidero altro che il tuo cuore abbia uguali palpiti per me. Forse chiedo troppo?... A te cui dono amore, chiedo amore».
È un biglietto del luglio '42 alla sua fidanzata. Egli aveva allora 18 anni. Si conoscevano dal '39 e non l’impressionava la giovane età. Era sicuro di sé. Sicuro di saper giungere al matrimonio senza essersi sbagliato e senza ridurre la fiamma dell’amore a un mucchio di cenere.
«Se questo amore soccomberà, sarà per colpa nostra e non per casi fortuiti. Perché io voglio raggiungere il fine che mi sono prefisso. Voglio raggiungere il matrimonio. Molti consigliano di troncare le nostre relazioni e... salutarci quando ci s'incontra. Per me questa è una cosa assurda.
Io amo una ragazza, l’ho voluta amare e l’amo sinceramente. Amo in lei la sua bontà, la sua Fede, il suo fisico, la sua bellezza. Sono stato preso dalla sua bontà e dalla diversità del suo comportamento nei confronti delle altre compagne». Così scriveva per sé stesso agli Esercizi Spirituali del '41.
Aveva incontrato l’amore tra la folla e nella moltitudine innumerevole non aveva visto che «un fiore solo».
Nell’incontro egli aveva qualcosa «da dire, da insegnare, da rivelare».
Era il dialogo vissuto di una gioventù pura che attende il matrimonio. La cugina Angela, che visse con lui i primi anni della fanciullezza, ci scriveva pochi giorni dopo la sua morte:
«Il sogno di Pippo, per il quale lavorava con purezza e fervore, era la famiglia. Amava istintivamente i bimbi. Più volte l’ho visto pensoso e commosso davanti a una creaturina nuova e si compiaceva se il nipotino per errore talvolta lo chiamava papà.
Lo ricordo fanciullo con quei capelli chiari come il lino e famosamente indocili, lasciare i giuochi per venire a fare il babbo a tutte le nostre bamboline. Pochi giorni prima della morte, sostavamo insieme davanti alla tomba famigliare. Pippo immaginava che un giorno ben venti figlioli sarebbero venuti a pregare pace per noi.
«Venti? dissi io allora. Non ti sembrano troppi?»
E Pippo lietamente:
«Dieci per ciascuno. Non vorrai tradire le abitudini della famiglia Fanin, spero!»
Pippo voleva essere puro anche per essi, i figli del suo sogno. Poche cose lo sdegnavano e lo rattristavano come le sofferenze dei piccoli causate dalle colpe dei genitori.
Pippo non era un carattere freddo. Era esuberante, pieno di vita. Nei primi tempi del fidanzamento, ancora nel '41, scriveva:
«Facevo fatica a stare a posto, ma ci sono riuscito e ne sono contento». Ed è ancora la sua penna:
«I nostri incontri non sono mai stati occasione di peccare, abbiamo sempre evitato i discorsi giù di strada. Anche su questo punto siamo perfettamente tranquilli.
Alla mia età penso cose che molti giovani imparano solamente a 24-26 anni.
Sono forse anormale? O peccatore?»
Erano le domande che la sua coscienza si poneva nell’ansia di non essere sulla giusta strada.
«Se dovessi lasciarti, temo e son quasi certo che sarei sopraffatto dal fango che finora sono riuscito a tenere lontano e perderei pian piano la mia purezza».
Il suo amore fu veramente l’incontro che «trasforma in ascesa ed elevazione perché le anime battezzate nel sole sapevano di poter spiccar il volo verso orizzonti più alti e lontani».
Preziose sono le testimonianze dei suoi amici sulla sensibilità del suo animo di fronte ai problemi morali.
«Un giorno viaggiando in treno assieme, si entrò in discussione sui problemi che la vita presenta e su vari argomenti in campo morale. Mi apparve in lui una profonda tendenza ad evitare ogni torbida immagine che potesse offuscare il suo pensiero, un mirare alla serenità degli affetti, alla limpidezza del sentimento». Così racconta una fucina di Lettere.
Una fucina di giurisprudenza scrive di lui: «Ricordo ancora con quale passione discuteva con uno studente di agraria mentre il 28 gennaio '48, dall’Università andavamo verso la Stazione. Si parlava dell’amore e l’altro che era con noi esprimeva la sua sfiducia più assoluta sulla possibilità di un amore cristiano e non soltanto sensuale. Pippo reagiva; anche allora egli fu accusato d'idealismo: eppure noi sapevamo che egli viveva la sua vita di purezza. Quanto l’addolorava la visione di una gioventù data al vizio ed il constatare che gli altri neppure potessero pensare a una gioventù pura!»
Per Giuseppe era l’anima della donna che l’illuminava perché «essa sa amare meglio e compie ogni sacrificio per difendere il suo amore dalla decadenza o per salvarlo dalla rovina».
Quale angoscia per la fidanzata rivedere il suo volto sfigurato dal gelo della morte!
I suoi occhi erano chiusi per sempre. E le labbra non avrebbero mai più potuto dire il giuramento dell’amore e della vita.
.... «La storia eterna continua. Non temere i distacchi. Quanto più te ne vai, più profondamente rimani, vicini anche se lontani, uniti anche se separati. Il tuo è un fiore che si cerca con le radici sotterra. La tua è una stella che si chiama al di là dagli orizzonti».
«Il tuo amore non ha fine, perché al di sopra di te, non v'è che la luce di Dio».