Don Ubaldo Marchioni

Il grande partigiano

foto Don UBALDO MARCHIONI

  Nato il 19 maggio 1918 a Vimignano di Grizzana da Augusto e Smerigli Antonietta; ordinato sacerdote il 28 giugno 1942 da S. Em.za il Card. Nasalli Rocca, cappellano a Monzuno fino al 17 maggio 1944, quando fu nominato parroco a Gugliara e subito trasferito a San Martino di Caprara di cui prese possesso 1’8 settembre 1944. Trovò la morte nella chiesa di Casaglia di Caprara il 29 settembre 1944.

  29 settembre 1944: nella montana chiesetta di Casaglia di Caprara, attorno al sacerdote che sta devotamente celebrando, un centinaio di fedeli, in prevalenza donne e bambini, prostrati nella trepidazione di un pericolo imminente, affisano gli occhi a quell'altare su cui si rende presente la Vittima Divina.
  — Pietà, Signore — è il grido che erompe più angosciato da ogni petto quando più violente e più vicine si fanno le raffiche delle mitragliatrici, più sinistri i bagliori degli incendi, più basse e dense le cupe ondate di fumo che si alzano nel cielo sereno dalle case in fiamme.
  Sono stati svegliati all'alba dai ripetuti spari nelle boscaglie attorno e specie sulle cime del Monte di Caprara, su cui ha sede un Comando di Partigiani, e presto si è sparsa fra loro l'agghiacciante notizia portata da qualche montanaro in fuga:
  — I tedeschi danno la caccia ai Partigiani, e bruciano tutto! Scappate! — Da Sperticano, da Pioppe, da Gardelletta, da «La Quercia» infatti l'irruenza nemica si stringe e incalza.
  Gli uomini in parte hanno raggiunto i boschi più scoscesi verso il Setta, le donne e i bambini hanno sperato una salvezza nella sacra inviolabilità del tempio, e a gruppi o isolati, col cuore in gola, si sono raccolti nel piazzale e nell'interno della chiesa.
  Non c'è l'Economo che è il Parroco di S. Martino di Caprara, don Ubaldo Marchioni, il giovane zelante sacerdote che ha incarico di provvedere anche a questa parrocchia che sovrasta la sua Caprara. Egli, oltre a celebrare la Messa nei giorni festivi a Casaglia, si inerpica, appena può, anche alla chiesina di Cerpiano, anch'essa affidata alle sue cure.
  Ma quei buoni montanari sanno per esperienza lo zelo di d. Ubaldo ed hanno aspettato fiduciosi, come le pecorelle cadute in una sterpaia inestricabile chiamano e aspettano il pastore che le liberi.
  E d. Ubaldo è venuto.
  È venuto nonostante le pressioni dei suoi congiunti che lo scongiuravano di restare in casa in quella mattina che già si presentava con sì tristi presagi, mentre attorno cominciavano a levarsi al cielo le prime colonne di fumo dai cascinali in fiamme. Don Ubaldo ha sentito più forte l'appello di una voce superiore. Ha ricordato che quando prese possesso della sua parrocchia di S.Martino, parlando ai suoi fedeli, aveva loro detto: — Ben volentieri e di gran cuore io mi sacrificherò per le anime vostre! — Ed ora è giunto il momento di mantenere quella promessa. Anche lassù vi è una parte del suo gregge esposto al pericolo, anche lassù vi è il Ss.mo Sacramento che può essere profanato, e bisogna provvedere: consumare le Sacre Specie, fare Comunioni anche lassù e a Cerpiano, se è possibile!, come poco prima ha fatto nella sua chiesa di Caprara con i molti popolani che si sono riversati nel tempio, in canonica e nei locali adiacenti.
  — Bisogna che vada! — ha deciso don
  Ubaldo. — Pregate. Sarà quel che Dio vuole!
  — E anche il padre non ha saputo più trattenerlo.
  Sua intenzione era di giungere prima fino a Cerpiano, la località più isolata e più scomoda, provvedere alla sicurezza di quella chiesina e degli abitanti, poi ritornare a Casaglia e infine ritirarsi ancora presso i suoi a S. Martino.
  Ma passando da Casaglia si è visto circondale da quel numeroso gruppo già da tempo in attesa fiduciosa. Gli si sono stretti attorno:
  — D. Ubaldo, resti con noi! Non ci abbandoni, d. Ubaldo! —
  Si sono levate mani tremanti a supplicarlo; tanti occhi, nuotanti nelle lacrime e dilatati dal terrore, lo hanno fissato con ostinata fiducia; le mamme gli hanno presentato i loro piccoli stretti alle loro sottane:
  — Pei nostri bambini, d. Ubaldo —
  E d. Ubaldo è restato rinunciando a recarsi a Cerpiano ove forse l'avrebbe atteso in agguato un diverso martirio.
  È entrato in chiesa e si è preparato per la Messa: tutti si sono riversati attorno all'altare e si sono prostrati a terra.
  È il giorno di San Michele Arcangelo. — Fortis in bello! — pensa d. Ubaldo e invoca fortezza per i suoi che si dibattono inermi in una delle aberrazioni più mostruose della guerra.
  Al momento della Comunione molti si appressano al Banchetto degli Angeli battendosi il petto. Le Sacre Specie sono consumate.
  La Messa è celebrata; d. Ubaldo depone i paramenti, passa tra la folla che non lascia la chiesa e dice ancora una parola di conforto mostrando l'intenzione di dare una scappata a Cerpiano.
  Ma la popolazione è troppo agitata: sente, ed è ben triste presentimento!, che il pericolo si fa più vicino. Già giungono dalle alture i comandi gutturali dei rastrellatori a caccia dei partigiani e dei civili; e tutti si stringono intorno a lui. È una barriera di corpi e di anime che non si può superare e d. Ubaldo ancora si commuove:
  — Recitiamo il Rosario, allora. —
  Tutti hanno un sospiro di sollievo e, mentre ancora si inginocchiano, sentono alleviarsi il panico che li opprimeva. D. Ubaldo estrae la corona, si inginocchia sui gradini dell'altare e intona il rosario. I fedeli fanno coro.
  L'irruzione in chiesa di un gruppetto di tedeschi col mitra puntato interrompe la preghiera.
  D. Ubaldo si alza in piedi, le donne e i bambini ammutoliscono. I tedeschi avanzano verso il prete: lo riconoscono:
  — Il grande partigiano! —
  Così l'avevano chiamato da tempo, sapendo del suo aiuto disinteressato a tutti coloro che bussavano alla sua porta; anche e specialmente ai partigiani, poichè i partigiani erano i più bisognosi.
  Quando fin dal gennaio 1944 le montagne che sovrastano la sua chiesa si popolarono di partigiani, di renitenti alla leva o di ribelli alla repubblichetta di Salò egli fu in mezzo a loro come un missionario di Cristo, perchè, oltre al pane per rifocillare i loro corpi, sapeva dire la parola buona che consola lo spirito, sapeva diffondere gli elementi dottrinali della Democrazia Cristiana per illuminare le loro menti e confortarli ad ideali più puri. È per questo che «La Punta», il periodico clandestino della Democrazia Cristiana, riporterà poi nel numero di febbraio 1945, una sua breve biografia, esaltandone l'opera a favore dei patrioti unendola all'opera degli altri sacerdoti:
  «L'olocausto di d. Marchioni si aggiunge ai troppi ormai offerti dai sacerdoti delle nostre terre. È il tributo meraviglioso dei sacerdoti italiani alla causa della carità e della libertà».
  Ed ora il «gran partigiano» è in loro mano! È giunto il momento della vendetta.
  D. Ubaldo si fa avanti, sfidando il mitra spianato e, rivolto al comandante spiega, supplica:
  — Non sono partigiani questi! Lo vedete! sono donne, bambini, gente che abita sul posto da anni. Sono tutti innocenti! —
  La parola è convincente, riboccante di sincerità e di carità: è parola di padre che trepida per la sorte dei figli.
  Un ordine suona: — Tutti fuori! —
  Escono terrorizzati e sono incolonnati, in numero di 84, verso il cimitero di Casaglia.
  C'è in chiesa una povera donna, Nanni Vittoria, semi-paralizzata alle gambe, che non può muoversi e che si aggrappa convulsa allo schienale della sedia nel tentativo di ubbidire. I tedeschi le impongono di lasciare l'appoggio e, visto che non le è possibile reggersi da sola, la fucilano sul posto fra l'orrore dei fedeli che stanno uscendo e che hanno il triste presagio della loro fine.
  Mentre d. Ubaldo è piantonato all'altare, vengono frugati tutti i locali adiacenti. Nel campanile sono trovati nascosti, in un ultimo tentativo di sfuggire alle loro ricerche, una donna: Enrica Ansaloni, cognata del defunto arciprete, e Giovanni Betti di Gardelletta. Una scarica di mitraglia li abbatte sul posto.
  Mentre la colonna penante della porzione migliore del suo gregge ondeggia verso il luogo del suo martirio, d. Ubaldo, rimasto solo nella chiesetta fra quelle belve, privato anche della consolazione di assistere fino all'ultimo i suoi fedeli in pericolo, china il capo alla volontà di Dio e si prepara all'ultimo olocausto.
  Non abbiamo particolari sulla sua morte.
  Un fucile gli è spianato contro, e il degno sacerdote stramazza sulla predella dell'altare maggiore sul quale, pochi istanti prima, si ergeva con la bianca Ostia fra le mani quale intermediario fra Dio e l'umanità. Un'ora dopo la chiesa è in preda alle fiamme.
  Due giovani nel pomeriggio dello stesso giorno entrano in chiesa, incuranti delle fiamme che ancora si sprigionano attorno, e vedono il giovane sacerdote disteso sulla predella dell'altare, mentre le fiamme lo circondano, quasi timorose di lambire quel corpo che, come vittima propiziatoria, giace immolata ai piedi dell'altare. Leggono accanto un grande cartello: «Ribelli questa è la vostra sorte».
  E forse fu sorte beata quella di d. Ubaldo che non vide lo strazio del gregge, che non seppe le esosità usate verso la sua famiglia.
  Non videro gli occhi suoi di buon pastore il cimitero, il luogo consacrato al riposo dei giusti, imporporato dal sangue di tanti innocenti, ben settanta fra donne e bambini! Non vide egli il muro di cinta e la cappella mortuaria scrostati dalla falcidia dei colpi di mitraglia di quei forsennati! Non vide cadere l'uno sull'altro madre e figli! Non udì l'ultimo urlo saturo di terrore; non rabbrividì allo scoppio di pianto sconsolato del piccolo Tonelli del «Possatore», rimasto illeso sui cadaveri della madre e di cinque fratelli: «Io voglio morire con loro!»
  Gli è risparmiato lo strazio della mostruosa profanazione della chiesa di Cerpiano che, in quello stesso giorno di S. Michele Arcangelo, si trasforma in un raccapricciante carnaio dove 43 vittime innocenti sono squarciate e dilaniate a colpi di bombe a mano! E non sente il cuore spezzarsi alle parole della piccola Rossi Paola di sei anni che, rizzandosi fortunosamente incolume, fra la strage dei suoi, singhiozza guardandosi sgomenta intorno: «Tutti morti! la mia mamma! la mia zia! la mia nonna Giovanna! il mio fratellino!... Tutti morti!»
  Gli è risparmiata l'ansia angosciosa per la famiglia.
  Difatti mentre il padre, la madre e una sorella di 14 anni stanno in penosa apprensione, verso il mezzogiorno dello stesso 29 settembre, giungono alla canonica di S. Martino quattro tedeschi che perquisiscono la casa. Stanno per partire. Uno di loro tranquillizza il padre:
  — Qui nulla fare... Non avere trovato armi. — E chiedono da bere.
  Mentre viene loro offerto del vino, un soldato nota sul caminetto della cucina un po’ di polvere nera, residuo di sassi scalfiti e di legna spaccata.
  — Questo essere esplosivo! — gridano i barbari, a caccia di un pretesto qualsiasi per abusare del loro potere.
  Il padre si affanna a spiegare, nel miglior modo, che sono in errore, ma quelli non vogliono sentile ragioni.
  — Bruciare! bruciare! — E partono infuriati appiccando il fuoco a due fienili adiacenti alla chiesa.
  Fu allora solo rimandata la strage della famiglia.
  Purtroppo più tardi anche la madre e la figlia Maria troveranno la morte e il padre di d. Marchioni resterà solo, peregrinante col cuore spaccato dal dolore.
  Quando ritornerà per rintracciare i suoi cari non potrà che dar sepoltura a resti talmente carbonizzati e sì bestialmente sparsi, da riuscire appena a identificarli.
  Il primo ottobre infatti i tedeschi avevano fatto uscire dalla chiesa di San Martino, ove avevano trovato scampo, una quarantina di persone fra uomini donne e bambini, «dando una fucilata a ciascun uscente». Di quei corpi ancora agonizzanti ne avevano fatto un cumulo e, aspersili di benzina, avevano appiccato loro il fuoco. Un falò tragico si era alzato nella notte in uno spettacolo sinistro.
  Chi ha seppellito, dopo alcuni giorni, il buon d. Ubaldo nella grande fossa che accoglie le 84 vittime di Casaglia di Caprara, ha assicurato di averlo trovato in chiesa tutto carbonizzato e senza un piede.
  Particolare curioso questo piede che non si è potuto, ritrovare! Quel piede che tante miglia ha percorse, tanto spesso ha pigiato sul, pedale, tante volte ha arrancato veloce sui dirupi, pei sentieri boscosi, in perpetua ricerca delle sue pecorelle!
  «O quam speciosi pedes evangelizantium pacem. evangelizantium bona» torna spontaneo alle labbra.
  Gli angeli forse l'hanno riposto, come reliquia preziosa degna di somma venerazione, a simbolo della gloria riservata alle fatiche e, ancor più, al sangue degli apostoli di Cristo.
  Così era immolata la prima vittima sacerdotale nei massacri di Marzabotto.