Mons. Luigi Balestrazzi

Una perla del clero

foto Mons. LUIGI BALESTRAZZI

  Nato a Monteveglio l'11 aprile 1901 da Gaetano e Adelaide Bergamini; nell'ottobre 1915 entra nel seminario delle Capanne e il 2 aprile 1927 è ordinato sacerdote da S. Em.za il Card. G. B. Nasalli Rocca. Dopo essere stato per più di due anni propagandista diocesano per le Missioni, il 6 gennaio 1930 prende possesso della parrocchia di S. Marino di Bentivoglio. Nel settembre 1933 è nominato Padre Spirituale nel Seminario Teologico di Bologna; ivi è ucciso nel bombardamento del 25 settembre 1943.

  La vita cittadina, dopo la resa dell'Italia all'8 settembre 1943, si era a poco a poco risvegliata, ripigliando quel ritmo svagato e un po’ chiassoso che è proprio della cittadinanza bolognese.
  Chi a Bologna pensava ancora al pericolo di una eventuale incursione sulla città? Si era anzi creata, nella maggioranza dei cittadini, una euforia inconscia e, a ben riflettere, ingiustificata. «Ormai ci siamo arresi — si pensava. — Non vi è ragione quindi che gli alleati continuino le incursioni!» Anche le segnalazioni della contraerea, disorganizzate per la diserzione in massa dei militi all'8 settembre, erano state riprese dai tedeschi a ritmo ridottissimo e comunque insufficiente per la necessaria vigilanza sulla città, per cui non era possibile prevenire in tempo il pericolo.
  Quale fatale illusione!
  Improvvisa e inaspettata, poco dopo le 10 della mattina del 25 settembre 1943, si riversava sull'abitato, senza che fosse preannunciata da allarme, la più letale delle incursioni che a migliaia mietè le vittime ancora intente alle loro occupazioni o sorprese per la strada.
  Quando rochi e frettolosi squillarono i segnali d'allarme, già la prima ondata aveva compiuto la sua azione di morte e ovunque, specie nei paraggi della stazione centrale, si alzavano dense e rossicce le cortine di fumo e di polvere dalle macerie abbattute.
  E quanto gravi fossero le conseguenze, celo dicono i più di mille cadaveri che giacquero alla Certosa, raccolti in gran parte per le strade e rimasti quasi tutti sconosciuti.
  Quella prima ondata di rombanti apportatori di morte si abbattè anche sul nostro Seminario Regionale, in via dei Mille 20, disgraziatamente troppo vicino alla Stazione, e stroncò la vita di un sacerdote a tutti caro e da tutti rimpianto, perchè tutti lo stimavano e gli volevano bene: Mons. Luigi Balestrazzi, il Direttore di Spirito dei Teologi, la Guida Spirituale più ricercata dalle anime più desiderose di perfezione.
  Disceso dalla sua Oliveto, ove aveva trascorso le vacanze presso la famiglia, era da qualche giorno in giro, con la sua bicicletta, per visitare le anime che si erano affidate alle sue cure, specie suore ed educande sfollate qua e là per la Diocesi, dopo i primi bombardamenti. Ovunque era stato accolto con gioia intima, perchè la sua presenza era conforto e quiete per lo spirito agitato.
  E quel mattino la volontà divina dispose che si trovasse nell'atrio del Seminario Regionale, quando gli apparecchi effettuarono il primo sgancio. Il sibilo delle bombe che precipitavano lo colse nel primo corridoio e lo scoppio, avvenuto a poca distanza da lui, lo gettò violentemente contro la parete, mentre lo spostamento dell'aria gli schiacciava i polmoni. Così, raccolto in sè, colla tempia macchiata di sangue e illividita, ancora sorridente come sempre, fu trovato dai primi coraggiosi che penetrarono fra le macerie.
  Quando ci giunsero le prime voci della sua morte non volevamo credere a tanto lutto perchè ci sentivamo ribellare all'idea della sua scomparsa: troppo grande la sua opera di bene, troppo necessaria ci sembrava la sua presenza per tante anime assetate di perfezione! E abbiamo sì chinato la fronte ai decreti dell'Onnipotente, per il quale anche la vittima innocente ha una missione da compiere, ma in noi è sempre rimasta assillante la domanda:
  — Perchè, o Signore? perchè proprio si è trovato lì al seminario in quell'ora in cui. per impegni precedenti, doveva essere altrove? —

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  Don Luigi Balestrazzi, nella sua alta figura, nella sua faccia ossuta incorniciata in una corta e crespa capigliatura biondocastana, colle sue labbra sottili sempre tese al sorriso, coi suoi occhietti profondi che spesso erano distratti ma che quando ti fissavano sembravano frugarti lo spirito, realmente affascinava e si faceva amare.
  Da teologo fu un prefetto modello: la sua autorità non pesava mai sui giovani a lui affidati; sapeva comprendere e scusare le mancanze dovute non a cattivo animo ma, più che altro, ad esuberanza di giovinezza, e sapeva anche dire la parola di correzione quando ci voleva: non mai la parola tonante risentita, che turba e provoca risentimento e ribellione nel giovane, ma la parola amorevole, sussurrata in una amichevole conversazione, a tu per tu, in modo che il colpevole non solo si convinceva di aver sbagliato, ma sentiva istintivo in sè il desiderio di correggersi.
  E nella sua camerata, proprio per questo, non si formarono mai gruppetti ostili o piccoli sordi rancori contro di lui.
  Fin d'allora rivelava quale tempra di formatore di spirito sarebbe stato un giorno. # # #
  Fin dagli ultimi anni di teologia si rivelò un predicatore di eccezione: frase scelta, periodare forbito, dizione chiara e intuitiva, saggia dosatura di pause che incatenavano il pensiero dell'ascoltatore, appoggiatura delle frasi basilari sapientemente dosata ad intervalli, e sempre la voce nitida baritonale, flautata e carezzevole di cui non si era mai sazi, facevano sì che da quando Mons. Luigi si poneva davanti ai suoi uditori e li fissava un breve tratto, col suo sorriso che era già una persuasione, tutte quelle anime erano incatenate a lui e pendevano ansiose dalle sue labbra, senza stanchezze, fino alla fine.
  Con gli anni le sue doti naturali si affinarono dell'arte più smaliziata dell'oratore, per cui non solo furono sempre efficaci le sue meditazioni, ma sempre più convincente apparve anche la sua arte oratoria di fronte ai grandi pubblici delle cattedrali.
  Fin dal seminario del resto ricordiamo che si era andato formando una buona biblioteca dei grandi classici dell'arte oratoria: dal nostro P. Segneri, dal grande Bossuet, ai più moderni oratori francesi, e su tutti prediligeva il sommo Lacordaire, tipo perfetto dell'oratore santo.
  Non ricordiamo mai un suo discorso in cui abbia cercato l'effetto oratorio: la meta era sempre e solo il bene delle anime. E i suoi parrocchiani di S. Marino, che nei pochi anni che l'ebbero come pastore impararono ad amarlo in modo da non saperlo più dimenticare, anche oggi ricordano i suoi catechismi e le sue spiegazioni del Vangelo: segno che Mons. Luigi sapeva anche dimenticare i voli lirici d'effetto per adattare il linguaggio e il pensiero a quelle menti meno preparate.
  Ma ciò che crediamo non potranno dimenticare i seminaristi, le religiose e i fedeli che hanno avuto la ventura di sentirlo sono i suoi fervorini, specie quelli eucaristici: piccoli gioielli che uscivano cesellati e imbrillantati da un cuore riboccante di affetto e di sacro zelo.
  Incaricato dell'azione missionaria in seminario, seppe comunicare a tutti quell'ardore apostolico che in lui avevano acceso la parola di P. Beduschi e l'esempio di amici generosi, come P. Accorsi e P. Rizzi, che avevano lasciato il seminario per la «Nigrizia» di Mons. Comboni. Egli fu impedito di seguirli dalla sua salute cagionevole, ma la fiamma non si spense nel suo cuore, anzi si esternò ancor più feconda quando, ordinato sacerdote, gli fu affidato la propaganda missionaria in Diocesi.
  Crediamo non esagerare se affermiamo che mai le nostre parrocchie furono pervase di spirito missionario, materializzato in raccolte cospicue e in ardenti funzioni religiose per le Missioni, come in quell'epoca in cui don Luigi, instancabile propagandista, si portava di chiesa in chiesa e tutti infiammava alla grande opera.

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  Quando Sua Em.za il Card. Arcivescovo lo volle parroco a S. Marino di Bentivoglio, egli portò in quella zona e diffuse in ogni casa la sua sete di bene. I sammarinesi non potranno mai dimenticare l'opera preziosa svolta da don Luigi in soli tre anni di ministero. Abbiamo allora avuto occasione di trovarci nella sua chiesa in occasione di feste sempre solennissime, e ancora siamo edificati dall'attaccamento dei giovani che non sapevano sacrifici per riuscire a farsi onore nella «schola cantorum» che egli volle e diresse: e lo facevano per lui. Lo vediamo ancora alto sul pulpito, quasi proteso al cielo nella sua pallida figura slanciata, e ancora siamo edificati del silenzio religioso con cui i suoi fedeli, accalcati attorno a lui, nella chiesa zeppa, bevevano avidamente la sua parola.
  E quando al mattino della Visita Pastorale del 1932 trovò la facciata della sua casa parrocchiale imbrattata di scritte ingiuriose, i suoi figli, che lo videro avvilito per quelle offese che giustamente riteneva immeritate, gli si strinsero attorno e protestarono:
  — Non siamo stati noi, don Luigi! Son stati forestieri che non la conoscono! — Perchè sembrava loro impossibile conoscere don Luigi e anche solo pensare di dargli un dispiacere.

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  Ma la sagace intuizione dei Superiori lo volle in un campo più delicato e Mons. Balestrazzi fu il Direttore di spirito modello del seminario regionale. A lui affidarono la propria vita interiore con slancio non solo i leviti del tempio, ma sempre più numerose anche le anime consacrate a Dio nei conventi e le anime che. pur vivendo nel mondo, aspiravano alla perfezione.
  «Mons. Balestrazzi faceva intravedere la via alta e luminosa che. praticamente, voleva dire: distacco da se stessi, disinteresse, generosità, umiltà, obbedienza verso i superiori, immolazione vera e completa per il bene, delle anime, spirito e cuore tutti e solo di Dio» scrive ammirato e nostalgico un seminarista.
  «Sotto la sua guida, ricorda una Madre Superiora, bisognava ad ogni costo staccarsi dalla terra per aspirare alle celesti cose. Conservo una sua lettera che è programma prezioso di vita religiosa».
  E come non rimpiangere la sua dipartita quando dalla sua penna uscivano delicatezze come queste? «Il Bambino Gesù le doni forza e santità per fare tanto bene alle anime che avvicina. Ho chiesto anche che la renda felice di quella felicità che non muore, e che la tenga sempre in alto là ove le creature non arrivano ad amareggiare, ma solo si vive e canta perchè Dio è vicino».
  È il poema della scalata al ciclo a cui si poneva mano con entusiasmo sulle orme di tanta guida.
  Caratteristica la sua carità verso i poveri, i più provati dalla sventura. Generosità, distacco dal danaro, specie in un sacerdote, sono essenziali. Mons. Luigi ne fu un modello.
  Si sa che spesso Dio si compiace di chiamare al suo sacerdozio i giovanetti di condizione più disagiata. Mons. Luigi partecipava alle preoccupazioni di questi sfortunati che si angustiavano all'approssimarsi della scadenza delle «rette». Spesso, esigendo il segreto, lui stesso pagava col proprio.
  Un giorno il Rag. Alfredo Fantini lo incontra a Bologna negli afosi mesi estivi, ne rileva l'aspetto non florido e lo prega di volersi concedere un periodo di riposo. Monsignore sorridendo risponde:
  — Sì, caro ragioniere, andrò per qualche giorno al Lago di Garda, assieme ai confratelli, e di là vi manderò un caloroso saluto. —
  Ma il saluto promesso e atteso non arrivò mai. In un nuovo incontro facendo le sue scuse diceva:
  — Il giorno prima della partenza venne un padre di famiglia carico di avversità; diedi a lui la somma del viaggio: perchè prima il dovere e poi il piacere! —
  Ritornando un altro giorno da una lunga e riuscitissima predicazione tenuta in una cittadina di Romagna, incontrò a Forlì un venerando sacerdote sconosciuto, titolare di una misera parrocchia. Monsignore nel sentire le ristrettezze di quel parroco, trasse di tasca la busta ancora intatta che conteneva l'onorario delle sue fatiche apostoliche e sorridendo la consegnò al confratello in Cristo.
  Quando il fratello Alessandro, sposo e padre, dovette recarsi a Milano per un urgente intervento chirurgico, Monsignore volò al suo letto per assisterlo amorosamente. Raccontava in seguito la sua penosa agonia quando già aveva perduto la vista ed esclamava:
  — Povero Sandro! gli avrei dato volentieri i miei occhi Tanto io potrei lavorare anche se cieco. —
  Sono episodi che ci commuovono e ci scolpiscono l'eroismo della sua carità.

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  Questi i tratti essenziali di questa figura eccezionale di sacerdote che tutta Bologna ha rimpianto quando la violenza cieca di una bomba ne stroncava l'attività e la vita.
  — Perchè, o Signore? — ci chiedevamo in principio.
  «Explevit tempora multa» ci suggerisce la Sacra Scrittura, e la sua missione era compiuta.
  Sappiamo che ciò che è superiore al comune ci sta male quaggiù.
  La sua aria sovente astratta sembrava aspirare ad altra meta, a un suo mondo superiore.
  Oggi che l'ha raggiunto ci ha lasciati il suo esempio e il suo ricordo per stimolarci a lavorare bene per raggiungerlo lassù.