E adesso che ho narrato 1'odissea del figlio della Tugnina, prima durante e dopo la sua esperienza comunista in Cecoslovacchia, diamo la parola all'interessato. A me premevano gli episodi e le vicende cronistiche della sua avventura comunista. Interrogandolo, mi preoccupavo di appagare la mia curiosità, illudendomi di interpretare quella dei lettori. Egli invece, che ha appreso dalla scuola di Partito il metodo analitico, mi esprimeva continuamente i suoi giudizii sulla democrazia popolare instaurata oltre cortina. Perciò, esaurita la narrazione episodistica obiettiva, gli proposi di scrivere alcune pagine sul come egli ha visto questo metodo comunista e perché se ne sia nauseato.
Il figlio della Tugnina, che, oltre ad avere una rispettabile cultura derivatagli sia dalle scuole tecniche e sia dalla frequenza delle cellule quand'egli era un dirigente a Villa Prati, ha anche una vivace intelligenza e una non minore capacità di analisi, mi scrisse queste paginette che qui aggiungo. Non modifico che qualche frase. Il resto è tutto suo.
«Quando giunsi in Moravia fu subito mia preoccupazione di rendermi conto come la pensava la gente di fuori, dato che mi avevano avvertito che in quella regione erano tutti reazionari. Così, contro la volontà dei dirigenti politici dell'Azienda agricola, andai a visitare Brno, Znojmo, Ceske, Budejovice, Miroslav ed altri centri minori. Sopratutto mi intrattenevo coi lavoratori, dato che avevo ormai appreso la lingua loro e che essi mi consideravano un collega. Li interrogavo circa il benessere ricevuto dalla Repubblica di Gottwald, ma tutti rimpiangevano la prima Repubblica. Dicevano: quella veramente ci aveva dato un progresso, ma questa ci ha fatto solamente grandi promesse e invece di migliorare, peggiora progressivamente la nostra condizione; i generi alimentari scarseggiano, i tessuti non si trovano, tutto è tesserato e per comprarli al mercato libero non ce la facciamo con la nostra misera paga. La paga diminuisce e i prezzi aumentano.
Io nel vedere e nel sentire questo rimanevo sconcertato. Come, mi chiedevo, se la Cecoslovacchia è uno dei paesi più ricchi d'Europa e con una cultura molto elevata? Quali sono le cause di questo star male? Forse io incontro solamente ex capitalisti?
Di ex capitalisti ne avevo veramente incontrato e ne incontravo qua e là nel lavoro della fabbrica e della campagna, ma nessuno rispondeva alle mie domande. Facevano cadere il discorso sull'Italia, sulle nostre bellezze geografiche e dimostravano paura ad impegnarsi in discorsi e in giudizi che riguardassero il loro governo. A lamentarsi invece erano i lavoratori come me, che faticavano dieci ore al giorno. E man mano io stesso esperimentai che ciò che essi affermavano circa l'insufficienza della paga per vivere, era vero. I soldi che io guadagnavo in dieci ore mi erano appena sufficienti per acquistare quel po' di roba cattiva per mangiare. Senza dire che dovevo privarmi di ogni divertimento in quanto non gliela facevo col portafogli. Intanto si avvicinava l'inverno e il mio passaporto non mi veniva restituito. Mi lusingavo sempre d'attendere. Così fui costretto a farmi inviare da mia madre un po' di vestiario perchè non avevo nemmeno la possibilità di comprarmi una camicia.
Terminato il mio impegno di lavoro verso lo Stato Cecoslovacco, volevo rimpatriare. In attesa della promessa regolarizzazione del mio passaporto fui costretto ad accettare un lavoro in una fabbrica di tubi a Chomotov dove facevo tre turni con una media di 12 ore lavorative, non esclusa la domenica.
La Polizia segreta si era accorta che io stavo malvolentieri laggiù, perciò mi pedinava continuamente. Giacché non esiste maggior pericolo per la democrazia popolare d’un comunista che abbia il coraggio di esprimere apertamente il suo disappunto sui loro sistemi. Nonostante ch'io notassi le manovre della Polizia nel pedinarmi, visitavo più paesi che mi fosse possibile per sempre meglio rendermi conto della situazione. Così visitai Most, Kladno, Deein, Litemerice, Carlovj Varj. Dappertutto incontravo operai che avevano lottato per instaurare quel regime, lavoratori che si erano adoperati attivamente per portare al Governo Gottwald credendo di attuare quelle bellissime promesse elettorali. Ed ora li vedevo scontenti e mi dicevano: i dirigenti girano in macchina e noi continuiamo come prima e peggio di prima a faticare. Ci mandano lontano dalle nostre famiglie dove lo Stato crede, non tengono in considerazione le nostre capacità, non ci pagano e se ci lamentiamo c'è Jakomovo!
Nessun componente di quelle commissioni turistiche che dall'Italia vanno a visitare la Cecoslovacchia vede e sente queste cose. Innanzi tutto gli fanno vedere le cose che designano i dirigenti comunisti e poi non li lasciano mai soli. A Chomotov, per esempio, mentre io ero in fabbrica vennero Nenni, Negarville e Secchia a visitarci. Li condussero negli uffici amministrativi, ma non mostrarono loro gli operai nella fabbrica. E ricordo che Nenni si lasciò scappare con qualche suo vicino questa frase: ma noi vogliamo vedere gli operai e le fabbriche e questi non ce li mostrano mai! Un dirigente della Camera del Lavoro di Milano stette per un mese a Carlovj Varj per curarsi il mal di fegato con quelle acque sulfuree. Non fu lasciato solo un momento. Lo accompagnava continuamente una signorina di Morawska Ostrava che io sapevo essere della Polizia segreta.
Per me non era ancora sufficiente questo. Volevo rendermi conto dello svolgimento storico degli avvenimenti che avevano portato il popolo ceco alla democrazia progressista, perciò mi feci narrare la cronistoria delle vicende della prima repubblica e l'andata al potere di Gottwald. I lavoratori nel raccontarmela si mordevano le dita e maledivano quel giorno quando essi vi avevano dato il loro aiuto!».
Ho trascritto questa pagina di Alvaro Capelli, come conclusione di questa storia, perchè mi sembra importante e soprattutto asciutta. Ad ogni modo il figlio della Tugnina sta a Villa Prati di Bagnacavallo (Ravenna). E' a disposizione di quanti vogliono la conferma dalla sua viva voce di queste cose scritte.