Stava per uscire l'opuscolo, quando nella Romagna l'odissea del Figlio della Tugnina aveva trovato l'aedo popolare che la traduceva in «zirudëla». Era l'ultima constatazione, aggiunta già alle molte, che la faccenda di Alvaro Capelli interessava la gente più di quanto ci si aspettasse. Un poeta estemporaneo di Verucchio (Rimini) certo Eugenio Pazzini l'ha composta con tale spontaneità e tono per cui sarebbe stato un vero delitto non aggiungerla come appendice a queste pagine.
Nel Comune di Bagnacavallo
dove il rosso trionfa sul giallo,
è tornato da oltre cortina
il figlio di mamma Tugnina.
Romagnolo leale e sincero,
quel che dice ha l'impronta del vero.
Al contrario di come è partito
è tornato sciupato e avvilito.
Ma perché, cosa mai gli è successo
in quel mondo di pace e progresso?
«O compagni, compagni di fede,
chi non prova purtroppo non crede!
Dopo tanti disagi e strapazzi
sono vivo per caso, ragazzi!
Ecco in breve la triste mia storia
che Vi prego imparare a memoria.
Son partito da Bagnacavallo
rosso fuoco e cantando da gallo.
I compagni mi avevano detto:
parti, Alvaro, e sarai benedetto!
Qui in Italia si muore di fame;
là c'è tutto: bistecche, salame,
pasta asciutta, tortelli, frittate,
le pietanze le più prelibate;
là c'è pace, lavoro; c'è vita,
là ogni cosa al piacere t'invita.
Libertà di pensiero e d'azione;
là i compagni hanno sempre ragione.
Chi comanda non sono i signori
ma la forza dei lavoratori.
Corri Alvaro, fa presto, cammina,
vola al sole di oltre cortina.
E così son partito convinto
di trovare il bel quadro dipinto.
Tutte storie, compagni, menzogne...
là i capoccia son gonfie zampogne;
là per forza ti fan lavorare
e sottile è la paga e il mangiare,
le pietanze le più prelibate
hanno un nome soltanto: patate!
Brodo lungo che mette paura
e composto di sola verdura...
le bistecche, i formaggi, i capponi
se li sbafano i bei caporioni.
Tu lavori di giorno e di notte
e se sparli di loro, son botte.
Ti sorvegliano ovunque tu vada:
allo spaccio, al caffè, per la strada.
Libertà di pensiero e di azione
si traduce in silenzio e prigione.
Io non sono, signori, un venduto.
Quel che dico ho provato e vissuto.
Sono figlio di povera gente,
son partito e tornato con niente.
Ho sofferto la fame e gli stenti
e perché dovrei dire altrimenti?
O compagni, compagni di fede,
se qualcuno di voi non ci crede
vada pure a provare, coraggio,
son disposto a pagare anche il viaggio.
Che di fronte al miraggio lontano
splende vivo il bel sole italiano!
EUGENIO PAZZINI
Verucchio (Rimini)