Si debbono ancora ascoltare gli ultimi testi di accusa citati da David Rousset.
La signora Camilla Leliva, scrittrice polacca, fu arrestata dalla N.K.V.D. a Low nel 1939.
Dopo 14 mesi di prigione fu deportata a Kolima, nell'estremo nord siberiano, dove passò sei mesi. Benché condannata a otto anni fu liberata nel 1941 in seguito all'amnistia concessa ai cittadini polacchi.
La teste descrive le condizioni di trasporto e le norme di lavoro alle quali fu sottoposta. Lavorò a salare i salmoni e, come tutte le sue compagne di sventura, aveva le mani piagate a causa del lavoro duro ed eseguito a ritmo frenetico; quelle ferite non venivano mai curate. Le donne erano esonerate dal lavoro quando divenivano madri e per questo motivo erano frequentissimi i matrimoni da campo, vale a dire le unioni libere.
L'ultimo teste citato dall'accusa è Monsignor Paolo Meletieff, vescovo russo della Chiesa cattolica di rito orientale, più che settantenne. Egli comincia la sua commovente deposizione segnandosi e recitando: «In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
Egli racconta che fu arrestato due volte, nel 1920 e nel 1931; condannato a sette anni di lavori forzati e deportato nella regione desertica di Akhmolinsk nel Kazakstan si trovò insieme a 10.000 detenuti che furono obbligati ad accampare all'aperto senza baraccamenti e senz'acqua. Furono decimati dalla dissenteria e dovettero subire da parte dei guardiani sevizie, per le quali molti morirono. Naturalmente i preti non potevano dire Messa, né prestare gli ultimi Sacramenti ai moribondi.
Il Vescovo descrive scene rivoltanti tra cui quella di un vecchissimo monaco che, esausto per le sofferenze della detenzione, veniva trascinato per le gambe attraverso il campo tra le risa e i lazzi dei guardiani.
Il Presidente, prima di sospendere l'udienza, che riprenderà con le arringhe, comunica che i 5 testimoni a difesa che erano stati convocati secondo la procedura normale e in tempo utile, non hanno accettato l'invito ricevuto.
Pertanto, dopo avere ascoltato 25 testimoni di cui 13 russi, 7 tedeschi, 3 polacchi, 1 bulgaro e un ceco, citati tra i 200 dei quali la commissione d'istruzione ha raccolto le deposizioni, il Presidente sospende l'udienza.
Il discorso impetuoso e appassionato di David Rousset riassume in una sintesi magistrale tutte le deposizioni udite nel corso di cinque laboriose giornate. Egli insiste sul fatto che i testimoni rappresentano tutta l'umanità che ha vissuto nei campi di concentramento sovietici nelle epoche più diverse, dal 1927 al 1950, e che vi hanno occupato le cariche più disparate: dall'invalido posto a razione ridotta, sino all'alto funzionario che amministrava migliaia di detenuti.
Passando ad esaminare la credibilità delle testimonianze Rousset precisa che solo quelle accuratamente controllate sono state scelte dalla Commissione d'istruzione per essere sottoposte al Tribunale e del resto il confronto delle diverse deposizioni permette di controllarne facilmente la veridicità.
Sull'argomento della buona fede dei testi si è loro rimproverato di essere dei nemici del regime; per altro la maggioranza di essi non lo era al momento dell'arresto e non si può loro rimproverare di esserlo divenuti, dopo aver sofferto ciò che hanno sofferto. Sarebbe stato anormale se non lo fossero divenuti ed anzi la loro estrema moderazione costituisce la migliore garanzia della loro buona fede e della loro onestà.
È stato contestato il caso di Andreieff, ufficiale dell'armata di liberazione antibolscevica del generale Vlassov; ma quale che sia la opinione dei giudici a questo proposito, il valore della testimonianza rimane intero e il regime sovietico è il solo responsabile degli atti estremi ai quali spinge i cittadini russi.
Dopo avere ricordato al tribunale il livello di miseria, di denigrazione della dignità umana e di avvilimento nel quale il regime dei campi spinge le sue vittime, Rousset lancia un patetico appello ai sentimenti di solidarietà dei reduci dei campi nazisti verso i loro compagni di miseria, vittime del mostruoso e onnipossente sistema sovietico.
L'avvocato belga Beer de Laer, che assiste Rousset in questo processo, porta davanti al tribunale nuovi elementi e nuove testimonianze. Si riferisce a dati ufficiali depositati alla Commissione economica e sociale dell'O.N.U. dai quali risulta che il 17% della popolazione lituana è stata deportata; che in Estonia sui 60.000 deportati si ebbero 9.000 morti al disotto dei venti anni, 900 al disotto dei quattro anni, 300 al disopra di ottant'anni.
Gli allievi aviatori, i marinai rifugiati, i bambini in vacanza della Repubblica spagnola, furono anch'essi inviati ai campi di concentramento e dopo quattordici anni ve ne sono ancora che vegetano nel terribile campo di Karaganda.
In definitiva, i detenuti dei campi sovietici si trovano in situazione peggiore di quelli dei campi nazisti, in quanto questi ultimi potevano sperare nella fine della guerra, mentre i primi si considerano definitivamente morti, senza alcuna speranza di liberazione.
Parla infine per ultimo l'avvocato parigino Theodore Bernard, che difese Rousset nel famoso processo «Lettres Françaises» contro Kravchenko.
Egli riassume, con logica serrata, l'aspetto giuridico della questione.
Per prima cosa lamenta l'assenza dei testimoni di difesa e si propone di sostituire alle testimonianze orali, delle quali gli avversari non hanno avuto il coraggio di valersi, testimonianze scritte e cioè documenti sovietici redatti in tempo non sospetto, dei quali deposita presso la Corte i testi originali. Da un grande numero di documenti ufficiali sovietici risulta in modo irrefutabile sia l'esistenza dei campi di concentramento, sia il principio della repressione selvaggia contro tutti i «nemici del regime staliniano».
L'avvocato Bernard cita infine la definizione che dà dei campi di concentramento la Grande Enciclopedia sovietica, stampata a Mosca nel 1937, e che si adatta così bene al caso in esame da poter essere adottata dal Tribunale.
L'avvocato Bernard passa poi ad enumerare una lista di decreti, di leggi, di articoli di Codice Penale, di circolari, di trattati di diritto sovietici dai quali risulta in maniera inequivocabile ed in modo del tutto ufficiale tutto ciò che è stato rivelato nel corso del presente processo, e più specialmente:
— il potere assoluto della N.K.V.D. in materia di condanne ed esecuzioni arbitrarie;
— la supremazia dei detenuti comuni su quelli politici; [L’art. 57 del Codice del lavoro correzionale nuovo dice espressamente: «Al corpo di supervisione sono destinati i più fidali detenuti-operai, preferibilmente condannati per reati professionali o comuni. Per ordine del capo del luogo di detenzione il corpo di supervisione può essere armato...».]
— l'incredibile severità delle condizioni di esistenza e di lavoro nei campi di concentramento.
«Tali sono le esigenze della rivoluzione proletaria e noi non ce lo nascondiamo» dichiarava A. Vichinsky in uno studio sulla procedura giudiziaria sovietica edito a Mosca nel 1936. «Ebbene, dice l'avvocato Bernard, perché allora nasconderlo oggi?».
E si arriva alla conclusione: il regime dei campi di concentramento sovietici è quasi del tutto simile al regime di quelli nazisti. Il Tribunale che rappresenta la coscienza umana deve condannare senza appello tale sistema di terrore e di regresso umano.