Gravi danni hanno recato ai comunisti di Cusercoli le repubbliche popolari ungherese e cecoslovacca. Forse sono quelli i soli comunisti a rendersene conto in Italia, perchè solo essi hanno potuto constatare che la loro merce non serve più oltre cortina.
Le repubbliche popolari ungherese e cecoslovacca, infatti, non fanno più richiesta di Corone del Rosario e l'industria comunista di Cusercoli ne patisce. Le sono venuti meno due mercati internazionali. Produzione ridotta.
L'unica produzione di Cusercoli, di questa frazione del Comune di Meldola su l'Appennino romagnolo, consiste nella fabbricazione delle Corone del Rosario. Partono di qui, dalla stazione di Forlì, le casse sigillate destinate alle agenzie religiose d'Italia, d'Europa e d'America. Migliaia di Corone di Rosario al giorno, di vario tipo, di varia forma. A incatenare col filo e le pinze i dieci grani dell'Ave Maria o di legno o di madreperla o di cristallo, sono proprio questi tremila abitanti di Cusercoli nella maggioranza comunisti.
Perchè il paesetto di Cusercoli, disseminato lungo una strada di collina, è abitato da gente povera, in maggior parte braccianti. Accanto passa il fiume Rabbi; a un tiro di schioppo sta Predappio. Pochi vanno a pescare nel fiume Rabbi. Forse l'unico è l'attivista comunista di Cusercoli. Mentre aspetta il muoversi della canna fabbrica Rosari. E' un tecnico dell'arte. Le sue mani sono rapidissime. Sa scegliere con gusto l'adattamento dei grani che dovranno essere le Ave Maria e quelli che richiameranno la recita del Pater Noster. Passano attraverso le sue mani migliaia di grani al giorno e le sue mani non sanno e il suo cuore rimane barricato.
E' l'unico uomo di Cusercoli che si faccia vedere in pubblico a fabbricar Rosari. Gli altri se ne stanno in casa e li fanno di sera accanto alle loro donne. Perchè sono sopratutto le donne le principali artefici dei Rosari. Senza distinzione di età, bimbe e vecchie, ragazze e spose. Siedono sull'uscio con nel grembo una varietà chiassosa di grani, il filo attorcigliato e le pinze in mano. Ne hanno fatto un'arte. I movimenti sono rapidissimi, quasi meccanici. Le pinze vibrano e si muovono ritmicamente dentro la mano chiusa di queste donne.
Vanno la mattina a far provvigione dall'impresario. Ricevono una quantità stabilita di materie prime e la sera riportano il corrispettivo in Corone di Rosario.
E sono quasi tutte comuniste. Con immensa tristezza si sente in loro la preoccupazione di smentire una collaborazione a quel coro di preghiere che scivolerà sui grani di quelle corone fabbricate dalle loro mani. «Anche se facciamo Rosari continuiamo ad essere comuniste e in chiesa non entriamo». E il giovane parroco di questo gregge disperso sa bene che il Rosario purtroppo lo fabbricano soltanto. Intercalandolo magari con giaculatorie che non debbono far piacere agli Angeli.
Vanno per il mondo queste corone del Rosario fabbricate da mani ostili alla religione. Ed io m'illudo che la salvezza che si accompagna a questo simbolo della preghiera alla Madonna ritorni su quelle mani collaboratrici inconsapevoli di una preghiera eterna.
La insegnò quell'arte manuale alla gente di Cusercoli un vecchio parroco cinquant'anni fa. Forse era nel suo cuore sacerdotale quella intenzione di salvezza. Mi dicono ch'egli sull'altare solitario della sua chiesa deserta offrisse alla Madonna quell'omaggio in riparazione delle mancate lodi. «La mia gente non vuol pregare e tu, Maria, tramuta in lode le corone del tuo Rosario che qui si fabbricano». E' il testamento del vecchio parroco di Cusercoli.
Cusercoli, ottobre 1950.