Adesso che la ciambella è riuscita senza buco diranno che la famiglia Pazzi frequentava la canonica. La realtà è che la famiglia Pazzi costituita da otto persone ha sicuramente firmato per la pace. Non se ne può dubitare se Sergio, di 28 anni, è il capocellula nella località «salita di Mirabello».
La mattina del 27 settembre scorso nella casa colonica della famiglia Pazzi si ebbero i primi indizi di un piccolo incendio. Un fumo nerognolo traspirava dal tetto di una capanna appoggiata alla casa. Allarme, sgomento, grida, fuggi-fuggi e poi il finimondo. Sembrava d'essere in Corea. L'incendio si appiccò al tetto della cantina, ai tini... la gente correva in aiuto, i vigili del fuoco erano già sul posto quando per l'aria, uscenti dal fuoco, passarono pallottole e schegge. Scoppi, ghisa acciaiosa, esplosioni, in men che si sputa in terra tutta la grande casa colonica divenne una bomba esplodente. Tutte le sue interiora furono rovinosamente buttate fuori. Per un raggio di circa due chilometri restavano i segni di bossoli, di canne di fucili, di pezzi di mitragliatrici, di gonnelline di bombe a mano, di ossicini d'acciaio di mortai. Insomma, mancava qualche «bazooka» e poi c'era tutto l'arsenale della guerra moderna.
Naturalmente, come cantavano i nostri nonni ad Adua, «le palle son di piombo e non pasticche». Così ci sono sette feriti. Uno dei quali è stato salvato per miracolo. Si chiama Sergio Fabbri ed è segretario della sezione comunista di Magliano. Sicuramente egli aveva firmato l'appello di Stoccolma contro l'uso delle armi atomiche. Ma stando alle indagini fin'ora espletate di armi atomiche nella casa colonica della famiglia comunista Pazzi non si sono trovate traccie.
Vigili del fuoco e artificieri della Direzione d'Artiglieria di Bologna sono riusciti a mettere un argine alla dilagante esplosione dinamitarda, dopo diverse ore di fuoco di prima linea.
Si trattava di un grosso deposito di armi e munizioni collocate in una profonda trincea scavata sotto la cantina della casa colonica Pazzi. Sopra, i tini carichi di mosto contenevano il vino in fermento, e sotto, codesto po' po' di roba... coreana. La trincea, almeno a quanto testimoniano i periti balistici, era di dimensioni ampie quanto quelle di una stanza. Le pareti erano rivestite da muri di mattoni. La ricoprivano lastre di cemento armato. Tutt'altro dunque che un ripostiglio improvvisato d'armi stava sotto ai tini del capocellula Pazzi.
Gli artificieri dell'artiglieria e i Vigili del Fuoco di Meldola, soffocata la dilagante esplosione, hanno trovato ancora nell'immenso cratere circa 200 bombe a mano tipo «sipe», un mortaio d'assalto con relative munizioni, numerose mitragliatrici, ed un incalcolabile quantitativo di pallottole per mitragliatrici, moschetti e fucili, automatici. E quello che più ha sorpreso si è che tutte queste armi automatiche ricuperate sono tutte efficienti e ingrassate. Niente ruggine. Non potranno nemmeno aver la scusa per dire che questa roba era un caro ricordo di guerra del loro nonno garibaldino.
E della famiglia Pazzi che ne è? Ecco: appena scoppiato l'incendio il capocellula Sergio si è dato alla latitanza. Sua moglie Anita coi due figlioli se ne è andata a Forlimpopoli nella casa paterna. A chi telefonava ai Vigili del Fuoco di Magliano fu detto che non importava e al brigadiere Ferri che stava salendo verso la casa in fiamme fu assicurato che non c'era niente di grave.
La realtà è che la casa colonica è stata «bichinizzata» e ridotta a un cumulo di macerie. Somma jattura sarebbe se in mezzo a tutta quella roba andata per aria si fosse distrutto anche l'elenco dei firmatari per la pace che il capocellula Sergio sicuramente aveva.
Forlì, settembre 1950.