Le avvisaglie si erano sentite in lontananza sin dal giorno prima, domenica, poi l'indomani, alle 7 del mattino, finalmente arrivarono gli americani: era il 23 Aprile e la guerra adesso era proprio finita! Secondo almeno una parte della Resistenza c'erano però dei conti in sospeso da regolare: cominciò infatti una stagione violenta che, nella sola Provincia di Reggio, portò all'uccisione di centinaia di persone. Secondo una ricerca scupolosa, in via di completamento da parte di una Associazione di famiglie delle vittime, per i soli comuni confinanti di Campagnola, Novellara e Correggio alla fine gli uccisi saranno più di 200!
A Campagnola i primi ad essere eliminati sono due partigiani, i fratelli Ottorino e Francesco Zulini, quest'ultimo di soli 20 anni. L'accusa nei loro confronti è di aver compiuto dei furti presentandosi armati come partigiani. (La questione “soldi” è un capitolo molto oscuro di quel periodo e intendo ritornarci sopra nelle Conclusioni di queste note). I loro corpi saranno ritrovati nella già citata cava della fornace di Fosdondo.
Fu poi la volta della grande purga: c'era da giustiziare chi si era macchiato di crimini durante il passato regime. Come venne compilato l'elenco delle persone da giustiziare ? Chi compilò tale elenco ? Come mai vennero uccise alcune persone e ne vennero risparmiate altre con ben maggiori responsabilità ? Perchè, se si trattava di un atto di giustizia, queste uccisioni non sono mai state rivendicate dalla Resistenza ? Nessuno ha mai dato una risposta a questi interrogativi.
Ci fu una prima “convocazione” con processo, dopo di che i convocati furono rilasciati. Quindi, nottetempo, avvenne la seconda cattura, quella che sarebbe stata fatale. Vennero arrestati questa volta: Carlo Bizzarri e sua moglie Maria Bocedi, Savino Bolognesi, Giuseppe Campadelli, Pietro Mariani, Gastone Pecorari, Cesare Righi e suo figlio Giacomo ed Ezio Siligardi. Il giorno dopo venne prelevato anche Vittorio Bizzarri, fratello di Carlo. I prigionieri vennero uccisi ed i loro resti non saranno mai più ritrovati. Nel 1950, accusati di essere i mandanti e gli uccisori di queste persone, saranno denunciati alla magistratura 7 ex-partigiani di Campagnola (Baraldi, Basenghi, Bolondi, Lino Battini, James Copelli, Bruno Pizzetti e Angelo Menozzi) (Lasagni, 1982, pag.122) ma la cosa non avrà seguito. Ma facciamo un passo indietro. È interessante notare che almeno tre persone, Aderito Pignagnoli, Gino Bedogni ed Erasmo Gelati, che erano stati “convocati” e processati la prima volta, non furono catturati la seconda volta e si sono così salvati. Gelati ha riferito che al “processo”, nella sede del CLN presso il Municipio, erano presenti anche i partigiani “cattolici” e cioè Pasotti, l'avv. Carretti e Donino Carretti, il sacrestano. La manovra di rilasciare gli arrestati sarebbe servita quindi alla parte armata della Resistenza, nella quasi totalità comunista, per poter poi agire indisturbata in un secondo tempo. Una parente di una delle vittime, qualche anno più tardi, chiese conto a Pasotti della sua partecipazione al processo cui era seguita, poco dopo, l'uccisione di queste dieci persone; Pasotti si giustificò dicendo che se non ci fossero stati loro, i cattolici, le vittime “invece di essere quindici sarebbero state trenta”.
Cercherò di tracciare un breve profilo di queste vittime. Le due figure di maggior spicco sono certamente Cesare Righi e suo figlio Giacomo. I Righi erano grossi proprietari terrieri di Campagnola. Di tradizione liberale, (Cesare Righi era stato sindaco di Campagnola nel 1919-20) come molti agrari emiliani avevano aderito al fascismo dopo il “biennio rosso”. Giacomo Righi aveva anche preso parte, assieme ad una ventina di altri Campagnolesi, alla “Marcia su Roma”. Dopo la costituzione della RSI i Righi non avevano aderito al Partito Fascista Repubblicano. Avevano anche, in un certo senso, collaborato con la Resistenza: Giacomo aveva infatti tenuto nascosto in un sottoscala di casa sua il già citato Angelo Menozzi che era ricercato attivamente dalla Brigata Nera come capo partigiano (mentre la moglie di Giacomo gli portava da mangiare nel nascondiglio). Quando vennero a prelevare suo marito e suo suocero la seconda volta, la moglie di Giacomo Righi, sperando in un aiuto, si rivolse al Menozzi che le disse che non c'era da preoccuparsi, che ci avrebbe pensato lui e che i partigiani erano tutti bravi ragazzi: non avrebbe più rivisto i suoi cari neanche da morti.
Altro personaggio di rilievo, in questo gruppo, è il notaio Pietro Mariani. Ormai anziano, era stato sindaco liberale di Campagnola nel 1915 e aveva poi aderito al fascismo diventando anche podestà e segretario del fascio tra la fine degli anni '20 ed i primi anni '30. Carlo e Vittorio Bizzarri e Gastone Pecorari, assieme ad un'altra dozzina di campagnolesi, erano stati inquadrati nella Guardia Nazionale Repubblicana, nell'ultimo periodo della guerra. Nessuno ha mai spiegato come la scelta sia caduta proprio su di loro ma, soprattutto, perchè sia stata uccisa la moglie di Carlo Bizzarri, Maria Bocedi; molto probabilmente il motivo è che avrebbe riconosciuto chi aveva prelevato suo marito. Carlo Bizzarri e sua moglie lasciavano due bambini di 5 e 7 anni. Vittorio Bizzarri lasciava solo al mondo (la moglie era morta durante il parto) un bambino di tre anni, Giampietro, che io avrei ritrovato dieci anni più tardi come compagno all'Orfanatrofio di Reggio. Savino Bolognesi era il daziere di Campagnola e sarà stato giustiziato come “servo dello Stato fascista”. Ezio Siligardi aveva la “privativa”, era stato certamente fascista, nei suoi confronti era stata anche formulata, negli ultimi tempi della RSI, la solita accusa di fare la spia. Giuseppe Campadelli era di una famiglia contadina della zona del Castellazzo; socialista, negli ultimi anni si era iscritto al partito fascista con l'idea, mi hanno detto, che questo gli avrebbe facilitato l'assunzione di qualche carica nella amministrazione del Caseificio del Castellazzo.
Ottavio Tonini e sua moglie, con i figli più piccoli, stavano scappando su un carretto; vennero fermati e, dopo aver messo da parte i figli, portati a Novellara e qui uccisi. Anche in questo caso, se Tonini aveva delle responsabilità, non si capisce perchè abbiano ammazzato anche la moglie; è probabile che valga lo stesso discorso già fatto per la moglie di Carlo Bizzarri. Tonini era l'uomo di fiducia del notaio Mariani di cui ho parlato più sopra; era anche accusato di aver preso parte all'uccisione di un postino antifascista di San Ludovico, crimine che avrebbe anche confessato dopo adeguato “interrogatorio” (a me vengono in mente i processi staliniani dove l'imputato finiva sempre per autoaccusarsi di qualsiasi colpa gli fosse stata attribuita).
La famiglia Lodini era una famiglia di fascisti. Il padre, Silvio, oltre ad essere esponente del partito a livello locale, era anche direttore del carcere di San Tommaso a Reggio; aveva quattro figli: Alberto, tenente della Brigata Nera, Secondo, Dino di 18 anni e Maria di 12 anni. Alberto Lodini era particolarmente ricercato dai partigiani di Campagnola perchè accusato di aver partecipato al rastrellamento che si era concluso con l'uccisione di tre civili innocenti il 15 Aprile (e di cui ho già detto sopra). (Alberto Lodini sarà catturato verso il 20 di Maggio ma il Comando Alleato impedirà che fosse giustiziato a furor di popolo; vedi anche Baraldi, 1976, pag.84 e 1985, pag.79). Con l'approssimarsi della caduta della RSI, mentre Silvio e Alberto erano aggregati ai loro reparti, la moglie di Silvio ed i due figli minori erano scappati verso Nord per sottrarsi alla prevedibile vendetta contro le famiglie di fascisti. Si era ormai ai primi di Maggio e la guerra era finita dappertutto; dopo essere giunti sino a Cremona i tre non sapevano più dove andare. Pensando che a Campagnola la situazione si fosse normalizzata, decisero di rientrare alla loro casa. Vennero avvistati da una pattuglia partigiana dalle parti della Fiuma mentre tornavano a piedi; furono caricati su delle biciclette e portati in piazza a Campagnola dove ci fu un primo tentativo di linciaggio da parte della folla nel frattempo avvisata. I tre catturati vennero portati nella prigione del CLN nel retro del Municipio, le due donne in una cella e Dino in quella accanto. Dino venne “interrogato” per diverse ore mentre sua madre e sua sorella ascoltavano quello che accadeva dalla loro cella. L'indomani la madre di Dino udì un capo partigiano che diceva: “Le due donne no, ma Dino sì ”, era la sua condanna a morte. Dino Lodini venne ucciso, il suo corpo fatto sparire e mai più ritrovato; era poco più di un ragazzo, aveva 18 anni e mezzo, e la guerra era già finita da due settimane; a sentire questo storia mi sono convinto che si sia trattato di una vendetta trasversale, in puro stile mafioso, visto che non erano ancora riusciti a mettere le mani su suo fratello Alberto.
Negli stessi giorni, in piazza a Campagnola, i partigiani uccisero l'odiato Comandante della Stazione della Brigata Nera di Novellara, il maestro Lino Bergamaschi (Ghèba). Ghèba venne trascinato in catene tra due ali di folla inferocita, che gli sputava addosso e lo picchiava, e poi finito a bastonate sulla stessa piazza. È un vero peccato che lo storico “ufficiale” Zambonelli e gli altri autori che hanno scritto di quel perido a Campagnola si siano “dimenticati” di tramandare ai posteri questo “glorioso” episodio della Resistenza.