La seconda edizione del volume dedicato a Giuseppe Fanin vede la luce nel primo anniversario di quel 4 novembre in cui il cumulo di sassi sulla Via Biancolina, verso la «Tassinara» di S. Giovanni in Persiceto, accoglieva il corpo trafitto e massacrato di un nuovo martire cristiano, del martire de' tempi nuovi, sindacalista ed apostolo di una idea integrale dì redenzione del popolo.
I sicari che, celati nel buio e nella nebbia fitta della desolata solitudine della «bassa», aggredirono il giovane, il quale, recitando il «rosario», ritornava verso la casa colonica dei suoi, pensarono colpire in Giuseppe Fanin anche l’idea e l’opera a cui egli aveva dedicato la propria vita.
Erano un'idea e un'opera intese a redimere le persone e la società, la vita degli individui e i rapporti sociali che li collegano, in una assoluta fedeltà allo spirito del Vangelo, che vuol sanare le anime e i corpi e salvare con la forza dello Spirito Santo tutta la realtà temporale.
Bisognava raccogliere attorno a quell’Idea eterna nuove forze popolari, quelle che nell’ultimo secolo erano più volte mancate, per poter dar vita, storicamente, ad una società nuova. La fine della guerra aveva dischiuso la strada in Emilia — e particolarmente nelle provincie orientali — ad una nuova ondata di estremismo anticristiano che parve nei primi tempi travolgere ogni cosa, ma aveva anche abbattuto, per coloro che avessero Fede e coraggio, ogni ostacolo alla affermazione di una idea sociale cristiana.
Fanin fin dai primi tempi fu tra i non molti che ebbero Fede e coraggio. Educato ad una visione completa dei valori della vita, in una famiglia che era già stata nel natìo Veneto, per generazioni, un vessillo spiegalo di fierezza cristiana, fortificato da una attiva e costante presenza nelle più avanzate posizioni della Azione Cattolica e della Democrazia Cristiana clandestina, abituato alle difficili conquiste della vita spirituale e della virtù morale, prese con sicura coscienza la Sua strada: rinunziò ad altre carriere, vinse le personali inclinazioni e si gettò con tutto l’entusiasmo della Sua anima generosa nell’azione sociale a favore dei lavoratori della terra.
Era l’azione più attuale e più pericolosa In un clima che le vicende sindacali rendevano sempre più arroventato, portò la consapevolezza di un «chiamato» per una missione a cui tutto deve essere sacrificato.
Previde con sicura visione, accanto alle grandi possibilità credute da pochi, i rischi e i pericoli a cui andava incontro.
Il dramma sociale dei braccianti e dei contadini, anelanti da decenni ad un deciso miglioramento delle loro condizioni di vita, si faceva di giorno in giorno più acuto e vibrante, man mano che l’azione dei comunisti esasperava ad arte i contrasti, avvelenava con la propaganda di lotta di classe spinta fino al parossismo i più deboli o i più sfrenati, premeva con la violenza e il terrore gli spiriti liberi o riluttanti.
Sorridente come un fanciullo, ma inflessibile come un credente e coraggioso come solo i buoni sanno essere, Egli ha lavorato in spirito di purezza e di Grazia cristiana, nell’amore degli umili e per la promozione di un loro migliore avvenire.
Oggi, a distanza di appena un anno dalla sua morte terrena, possiamo dire che, mentre molte ardite iniziative a cui Egli pensava sono per tanta parte divenute realtà, anche il Suo ideale di rigenerazione alla giustizia cristiana delle masse bracciantili e contadine della «bassa» emiliana, ha varcato la ristretta cerchia di un pugno di uomini per diventare la diffusa aspirazione di vaste masse popolari.
Ho ritrovato, alcuni giorni or sono, alcuni Suoi appunti: sulla questione dei braccianti, su un nuovo contratto di compartecipazione, su un piano di cooperative agricole operaie, su altre iniziative che Egli vedeva inquadrate in una azione positiva e graduale di emancipazione delle classi più diseredate dei lavoratori agricoli, per strapparli a un tempo dalla loro precaria condizione di salariati e da quella di organizzati nel chiuso sistema dei «collettivi» di tipo sovietico.
Molte di quelle Cooperative sono oggi una realtà conquistata da gruppi sempre più numerosi dei «suoi» braccianti, attraverso pericoli e sacrifici talvolta indicibili. Le iniziative dei lavoratori cristiani, si sono irradate in tutta la provincia; i Sindacati Liberi, dopo mesi di contrasti spesso sanguinosi, proseguino, con sempre più numerose forze, le vie di una giustizia e ferma difesa degli interessi delle classi popolari.
Mentre sono in crisi le realizzazioni collettistiche tentate ancora una volta nella Provincia di Bologna per un esperimento creduto decisivo anche per altre regioni, il progetto di avviamento dei braccianti ad un primo stadio di superamento delle loro posizioni sociali attraverso quel contratto di compartecipazione che Fanin aveva attentamente studiato per vari mesi e che fu il pretesto immediato per la Sua uccisione, si afferma, invano contrastato, in gran parte della pianura che va da S. Giovanni, oltre Molinella, verso il Pò, e, oltre Imola, verso la Romagna. A S. Giovanni, dove Egli ebbe accanto a sè per tanto tempo solo un gruppo sparuto di amici, si è compiuta nei mesi immediatamente successivi al Suo sacrificio, la più aspra battaglia condotta in Italia dai lavoratori cristiani e dai lavoratori liberi per la libertà e la giustizia contro la sopraffazione, ideologia e la violenza fisica.
Essa ha avuto echi profondi nel Parlamento e nel Paese: pensando a Lui i deboli divennero forti, le donne furono coraggiose al pari degli uomini, un gran numero di incerti prese coscienza delle proprie responsabilità. Il Suo olocausto di martirio Cristiano del lavoro, conferma la nostra fede che l’Emilia, terra di estremismi sviluppatisi da decenni in alterative troppe volte tragiche possa divenire il segno della sicura rigenerazione delle grandi masse popolari verso la libertà e giustizia nel solco dei principi cristiani.