La laurea in agraria aveva dischiusa alla sua vivace intelligenza possibilità di buone affermazioni professionali, a cui forse inclinava la sua naturale tendenza che faceva di lui, nato da un contadino e vissuto fra numerosi fratelli usi a lavorare tutto il giorno nei campi, un'anima aperta alle suggestioni della cultura e della tecnica. Ma attorno a lui il dramma sociale dei braccianti e dei contadini anelanti ad un deciso miglioramento delle loro condizioni di vita, si era fatto di giorno in giorno più acuto e vibrante, man mano che l’azione dei comunisti era andata creando ed estendendo i «collettivi bracciantili», ed affermava con metodi fatti di intimidazione e di violenze la sua pressione sugli spiriti liberi e riluttanti.
Come stare inerti davanti a ciò?
Educato ad una visione integrale dei valori della vita, Fanin prese senza esitare la sua decisione: rinunciò ad altra carriera, vinse le proprie inclinazioni e si gettò con tutto l’entusiasmo e il coraggio nell’azione sindacale tra i lavoratori dei campi.
«Abbracciò il diffìcile lavoro, in un clima, scrive di lui l’on. Giovanni Bersani, che le vicende sindacali rendevano sempre più arroventate, con la consapevolezza di un «chiamato» per una missione a cui tutto deve essere sacrificato». A lui furono affidati centri della pianura a ponente e a nord di Bologna. E i contadini e i braccianti di Crevalcore, Palata, Decima, Persiceto, S. Agata, Sala Bolognese, Cento, Pieve di Cento, Castel d'Argile, Galliera, S. Pietro in Casale, Argelato, S. Giorgio di Piano, Zola, Bazzano, Crespellano si videro accanto il giovane sindacalista, pronto a studiare con loro e per loro gli urgenti problemi del lavoro.
C'era tutto da fare: dall’organizzazione dei gruppi contadini e braccianti, alla selezione e preparazione dei quadri, dallo studio delle più delicate questioni tecniche, all’impostazione di azioni originali e costruttive della corrente cristiana.
Ma un problema sopratutto lo appassionò: il problema dei contratti agrari e in particolare quello della compartecipazione che egli vide inquadrato in un'azione positiva di emancipazione delle classi più diseredate dei lavoratori agricoli. Strappare questi dalla loro condizione di salariati e insieme da quella di organizzati nel chiuso sistema di «collettivi» di tipo sovietico: ecco l’ideaguida del suo geniale lavoro.
Nei vari mesi di studio di questo progetto consultò tecnici, commissioni di braccianti, professori della Facoltà Universitaria di Agraria.
Nel settembre 1948 aveva sospeso le laboriose consultazioni per iniziare trattative con la Associazione degli Agricoltori; tenace e decisa fu la sua azione presso questi, per indurli ad accettare le clausole più avanzate. Ormai tutto era pronto per il collaudo del nuovo patto ed egli doveva illustrarlo nel Congresso di Molinella del 7 novembre, davanti al Sottosegretario Colombo....
La sua multiforme attività, apprezzata da tutti, lo era particolarmente dagli amici che ammiravano lo stile tutto suo con cui egli svolgeva il suo lavoro....
Nella vecchia sede delle Acli in via Castiglione 8, da una sala destinata a luogo di riunioni con le pareti di legno era stato ricavato un modestissimo angolo. Un tavolo di legno grezzo e due sedie lo ammobiliavano: era quella la Segreteria Provinciale delle Acli-terra, l’Ufficio di Giuseppe Fanin. In alto sulla parete il Crocefisso e, più sotto la Carta della Provincia con annotazioni accanto a tanti Comuni o frazioni: le tappe del suo sogno infranto di apostolato sociale e di cristiano militante.
Su un piccolo scaffale, accanto al tavolo, libri, riviste, giornali, studi di economia e di vita sindacale regalatigli dagli amici della Fuci.
Di fronte al tavolo, nell’angolo, una mensolina appariva sempre ricolma di fiori. Li portava lui dal suo giardino di casa, li disponeva lui appassionato com'era perchè nessuno in questo lo poteva accontentare.
In quest'angolo oscuro e semplice come una cella, egli riceveva: operai, braccianti e contadini venivano a lui: convinti dal suo fare cordiale e sincero, facilmente superavano quel senso istintivo di riserbo in cui spesso si chiude il popolano davanti allo studioso. Li ascoltava con interesse e franco rispondeva, sempre sicuro di se stesso. Prendeva accordi, accettava impegni, e si poteva star certi che Fanin la parola data l’avrebbe mantenuta e a dispetto della vecchia bicicletta o della Vespa arruginita, non sarebbe mancato agli incontri stabiliti. Che anzi, se talvolta si mostrava impaziente, era quando il lavoro di Segreteria doveva subire ritardi. E da quell’angolo oscuro partiva per le sue visite e i suoi incontri, a volte portando con sè pane e mortadella per il pranzo. E quando tornava, gli si leggeva in volto la gioia del dovere compiuto.
«Ci sta un fatto...» con queste parole egli abitualmente si introduceva, ed eccolo a raccontare con passione e calore, le vicende lieti o tristi delle sue peregrinazioni.
I nemici, bisogna riconoscerlo, colpendo Fanin non hanno agito a caso: hanno colpito bene; sapevano che togliendo di mezzo lui, privavano Acli e Sidacati Liberi di una mente e di un cuore. Ma migliaia di giovani sorgeranno a raccogliere le preziose eredità del suo esempio, per percorrere fino alla meta la strada che egli ha bagnato col sangue.