«... So la grandezza dell’amore di cui ti ho fatto dono. In questi giorni ho compreso che cosa significhi amare con amore cristiano, amare nella creatura la bellezza della sua anima e così amare Dio.
Io amo te di un amore che giunge fino a Dio. E il mio amore è puro perchè anch'io sono puro e voglio portare la mia purezza al talamo matrimoniale.
Nella pienezza di questi sentimenti che sono tutti per te, non vedo, non desidero altro che il tuo cuore abbia uguali palpiti per me. Forse chiedo troppo?... A te cui dono amore chiedo amore».
E' un biglietto del luglio 1942 alla sua fidanzata. Egli aveva allora 17 anni.
Dal primo incontro sono trascorsi 3 anni. Pippo è diventato uomo e l’idillio dell’adolescenza è diventato amore. Un tumulto di senzazioni e di impressioni nuove lo esaltano e lo deprimono.
Vorrebbe ad esse abbandonarsi e assaporare tutta l’ebbrezza di quell’amore che dà alla sua vita un significato intenso e gli apre nuovi orizzonti. Ma la coscienza vigile dà l’allarme.
Ha 17 anni, e già pensoso di sè scruta sentimenti ed istinti con l’acuto e preciso bisogno di veder chiaro nell’urgere impetuoso di quella sua giovinezza ardente e precoce.
«Sono venuto agli Esercizi» egli scrive «perchè avevo bisogno di riordinare la mia vita spirituale... Alla mia età penso cose che molti giovani imparano solamente a 24-26 anni. Sono forse anormale? O peccatore?... Quello che io faccio e penso è lecito o è peccato?».
L’incertezza è di breve durata. Egli che un giorno dirà «Non ammetto la buona fede in un uomo, ne un'incerta posizione morale» imparò presto la dura disciplina del conoscere e dominare sè stesso. Un'amica fucina scrive di lui: «La rettitudine che gli impediva di indulgere a qualsiasi compromesso, a qualsiasi parvenza o avvicinamento meno che schietto e lo portava ad evitare le occasioni di esporsi a un disagio morale, era certamente in lui uno sforzo verso la purezza, o uno stato ottenuto in seguito ad uno sforzo».
Preziose sono le testimonianze dei suoi amici sulla sensibilità del suo animo di fronte ai problemi morali.
«Un giorno viaggiando in treno assieme, si entrò in discussione sui problemi che la vita presenta e su vari argomenti in campo morale. Mi apparve in lui una profonda tendenza ad evitare ogni torbida immagine che potesse offuscare il suo pensiero, un mirare alla serenità degli affetti, alla limpidezza del sentimento». Così racconta una fucina di Lettere.
Un fucino di giurisprudenza scrive di lui: «Ricordo ancora con quale passione discuteva con uno studente di agraria mentre il 28 gennaio '48, dall’Università andavamo verso la Stazione. Si parlava dell’amore e l’altro che era con noi esprimeva la sua sfiducia più assoluta sulla possibilità di un amore cristiano e non soltanto sensuale. Pippo reagiva; anche allora egli fu accusato d'idealismo: eppure noi sapevamo che egli viveva la sua vita di purezza. Quanto l’addolorava la visione di una gioventù data al vizio ed il constatare che gli altri neppure potessero pensare a una gioventù pura!»
Per Giuseppe era l’anima della donna che l’illuminava perchè «essa sa amare meglio e compie ogni sacrificio per difendere il suo amore dalla decadenza o per salvarlo dalla rovina».
Pippo non era un carattere freddo nè quello che si suol definire una «mezza cartuccia».
Chi l’ha conosciuto sano e pieno di vita non poteva certo pensarlo chiuso nel puritano egoistico guscio di chi per paura o pigrizia o malattia non vuole o non può conoscere l’amore. Gli ambienti stessi in cui visse, studenteschi e militari non furono certamente i cenacoli più casti della sua purezza. Dovette andar contro corrente, la straripante e pietosa corrente di una gioventù che è convinta della propria virilità secondo le consuetudini e le opinioni, solo quando ha toccato il fondo d'una esperienza di peccato e di umiliazione. Dovette lottare contro sè stesso, la sua sensibilità e la sua fantasia, contro gli impeti vigorosi del suo sangue giovane ed ardente.
Scriveva nei primi tempi del suo fidanzamento: «Faccio fatica a stare a posto ma ci sono riuscito e ne sono contento». E ancora: «Se dovessi lasciarti, temo, ne sono quasi certo che sarei sopraffatto dal fango che finora sono riuscito a tener lontano».
Agl’intimi confessò qualche volta il suo travaglio: «Faccio una fatica tremenda! Desidero sposarmi presto». l’amore di Pippo per ben otto anni fu il colloquio di una gioventù pura che in attesa del matrimonio cerca di realizzare nell’unione degli animi il completamento spirituale della propria personalità. Fu l’ascesa di due anime a Dio; un tendersi reciproco delle mani nelle asperità, una sinfonia di gioia e di fede nella vita.
Le lettere dell’Accademia Militare di Modena, dalla Germania, dall’ospedale ove fu a lungo in seguito a un incidente, documentano le tappe del loro amore! «Oggi è Pasqua, giorno di gioie intime. Ho ricevuto stamane la S. Comunione ed ho pregato per noi... è come se io fossi con te: abbiamo ricevuto lo stesso Gesù, abbiamo nei nostri cuori lo stesso amore, nella nostra vita le stesse aspirazioni.
La Vita non può rendere felici ma possiamo dividere la nostra infelicità in due, divenendo così contenti di vivere, benedicendo chi ci ha dato la vita e donando nuove vite...».
«Dimentica un momento tutto quello che ti circonda e guarda nel tuo cuore la bellezza dell’amore puro: tutto promette un domani di guadagnate certezze». «Domani sarà Maggio... e tu non vedendomi accanto a te nella preghiera serale alla Vergine, sono certo che pregherai per me». «Ricordati che solo Dio è capace di sanare qualsiasi ferita e che nella tristezza, nel pericolo, nel dolore solo chi ha fede in Lui, può trovare ristoro e salvezza. Così ti parla il mio cuore, che in questi ultimi tempi, ha sentito più volte il tocco magico dell’Amore Divino. Chi è più grande di Lui? dice il Libro Sacro. A Lui l’olocausto delle nostre sofferenze quotidiane, unitamente alle piccole gioie».
Il sogno più grande di Pippo era la famiglia e i figli che egli avrebbe avuto. Il sentimento della paternità era in lui «natura e carità, bellezza e vita» era insomma l’impulso dell’uomo a «partecipare dell’incontenibile e amorosa volontà che Dio ebbe nel creare l’universo». Amava con tenerezza tutti i bambini e si compiaceva se talvolta il nipotino per errore lo chiamava papà.
Scrive di lui la cugina Angela: «Pochi giorni prima della morte sostavamo insieme davanti alla tomba famigliare. Pippo immaginava che un giorno ben venti figli sarebbero venuti a pregar pace per noi. «Venti?» dissi io allora: «Non sembrano troppi?». E Pippo lietamente «Dieci per ciascuno. Non vorrai tradire le abitudini della famiglia Fanin spero!».
La sua purezza era il dono più bello che egli avrebbe fatto ai figli del suo sogno. Nulla lo sdegnava come le sofferenze dei piccoli dovute alle colpe dei genitori.
Pippo fu accusato di troppo idealismo da molti, per la sua intransigenza in fatto d'amore e di morale. Ma il mondo ha bisogno d'idealisti come lui che ha saputo del suo ideale fare una realtà vissuta e sofferta fino al sacrificio supremo.
Povera Lidia! Fioriscono ancora i garofani scarlatti e fraganti che egli con gesto gentile soleva puntarle fra i capelli nerissimi e il maschio volto s'illuminava di tenerezza sgombro di ogni pena e di ogni contrarietà. Guardando l’album dei loro ricordi si rimane colpiti da due foto: in prima pagina un pilastrino rustico fra un campo fiorito dove adolescenti scambiarono il primo innocente bacio; nell’ultima pagina una croce bianca contro il cielo tempestoso sul luogo ove egli è caduto.
Tra due croci il loro meraviglioso amore.