Il luglio '48 fu molto «caldo» a Persiceto. La sera del 14, giorno dell’attentato a Togliatti, una folla enorme convocata evidentemene mediante i fili di un'organizzazione perfetta si addensò urlante e minacciosa nella piazza davanti al palazzo del Comune.
Interprete ufficiale dei sentimenti popolari, il Sindaco Drusiani lesse un telegramma del Governo, in cui lo si invitava, a nome dei cittadini di S. Giovanni in Persiceto, a dimettersi d'urgenza, costituendo un pericolo gravissimo per l’incolumità del Paese.
Il giorno dopo e seguente, furono bloccate le strade, e il balcone del Palazzo Comunale, su cui era installato radio e alto-parlante, servì a meraviglia per il coordinamento del «picchettamento volante» come lo chiamavano gli speakers. Richiami di vegliare ognuno al suo posto in attesa degli ordini, proclami gravidi di oscure minacce si susseguivano incessantemente; l’ora x sembrava finalmente giunta.
Ben è vero che 4 militi della «Celere», passando la notte del 15 in moto per le vie della città, bastarono per convincere svariate folle di «rivoluzionari» a tornarsene a casa! (l’autentico coraggio se non è bianco non è neppure rosso).
Al termine dello sciopero, si potè fare il bilancio di 18 persone malmenate e percosse, soltanto 18 perchè tante, al primo vento di fronda, si erano chiuse premurosamente in casa.
Artefici di queste nobili imprese, risultarono forestieri piovuti in Persiceto, i quali però, caso strano, avevano saputo molto ben individuare i malcapitati bianchi di mezzo alle folle rosse che dominavano le vie e le piazze. Fra i percossi, ci fu pure una zia di Giuseppe: la signorina Prof. Lidia Fanin, nota per la sua bontà in tutta Persiceto.
Giuseppe si trovava a lavorare in campagna coi fratelli il 15 luglio, quando gli si accostarono alcuni tipi, invitandolo a desistere dal lavoro. l’invito finì in aperte minacce; uno del gruppo, dopo aver tentato di mettergli le mani addosso, gridò minaccioso: «Beh, avremo modo di incontrarci da soli!»
Terminò lo sciopero e l’attivista che aveva così parlato, incontrandosi con Giuseppe, gli chiese scusa per le parole che gli aveva rivolte. «Se si tratta di perdonarti, sappi che io l’ho già fatto, soltanto cerca di rivedere i tuoi metodi poco democratici!»
Sembrava che tutto finisse qui. E invece quella non fu che la prima avvisaglia della catastrofe che si sarebbe abbattuta su lui.
Da tre mesi appena Fanin si era dato al Sindacalismo e già la sua attività richiamava l’attenzione delle organizzazioni comuniste. All’indomani dell’assassinio il segretario della Confederterra confessava: «Lo avevamo più volte diffidato a non proseguire lungo la via della scissione». Dieci giorni prima del delitto era stato diffuso nella zona di Persiceto un volantino della Lega Braccianti della C.d.L. di Persiceto, in cui fra l’altro si diceva: «La mano ossuta degli agrari, appoggiata dagli organi di governo, stretta a quella dei servi sciocchi tipo Fanin, Bertuzzi, Ottani tenta di stendersi di nuovo rapace nelle nostre campagne...».
Sembrano parole pressoché innocue; secondo la risoluzione votata dall’esecutivo della C. d.L. bolognese, con questo volantino non si fece che «additare una persona, il cui esempio va sconsigliato ai lavoratori».
Piccola cosa è la miccia, ma più che bastevole per far scoppiare l’incendio. E il manifestino servì ad arroventare l’atmosfera già resa irrespirabile da un continuo, spietato incitamento all’odio, fatto attraverso le riunioni di cellula, i comizi, i cartelloni e gli avvisi murali.
C'era di che preoccuparsi, ma Fanin non si scompose.
Era tranquillo in coscienza, era sicuro di non aver mai fatto male ad alcuno per cui nemmeno sospettò che quelle minaccie potessero diventare un giorno, e proprio per lui, un'atroce realtà. Sembrò qualche giorno dopo la diffusione del volantino, che si organizzasse un pubblico comizio nel corso del quale Fanin si sarebbe difeso, ma poi non se ne fece nulla. Ad un amico che gli chiedeva spiegaioni su questo, disse: «Per mio conto preferisco lasciarli dire per ora.
Poveri illusi che non sanno quello che si dicano».
Ma gli amici rilevando i pericoli a cui si esponeva, gli prospettarono un giorno l’opportunità di fornirsi di un'arma per difendersi.
«Pippo, un'arma in tasca non ti fa male! Vedi che quasi ogni giorno succede qualche fattaccio! Anche tu hai il dovere di difenderti!».
Fanin ascoltava e taceva. Non poteva nascondersi il pericolo; quante volte percorrendo di notte la via buia e deserta che da S. Giovanni lo portava a casa si sarà ricordato di D. Donati, di D. Reggiani colti a tradimento lungo le strade incrocianti con la sua! E poi egli rincasava abitualmente di notte quando la via stesa per 5 Km. in mezzo alla campagna si fa muta e deserta; ritornava più o meno alla stessa ora; sarebbe stato relativamente facile tendergli un brutto scherzo! Fanin si rendeva conto di questo; dall’altro canto gli amici continuavano ad insistere: «Pippo prendi anche tu un'arma; potresti averne bisogno!».
Ma egli non la intendeva; e finalmente un giorno ad un amico espresse il motivo di questa sua riluttanza: «Senti, caro; io ho 24 anni; se mi dovessi trovare un giorno nella necessità di difendermi e difendendomi uccidessi qualcuno, forse avrei tutti gli anni che mi rimangono amareggiati da un rimorso; potrei rovinare una povera donna, dei bambini innocenti. No, no; non voglio avvelenarmi la vita; nei guai io lascio gli altri, perchè in Dio e nel Paradiso io ci credo!».
L’animo il cuore di Fanin attraverso queste parole si rivelano in tutta la loro grandezza: c'è in lui un senso umano e cristiano veramente superiore.
Alla luce dei fatti che poi seguirono sembra di leggere in queste parole la generosa accettazione del martirio.
Con un'altra ragione ancora egli giustificava il suo contegno: «Io penso che noi a volte esageriamo nel valutare la loro cattiveria».
E ripeteva il motivo che più lo rendeva tranquillo: «Non so poi perchè dovrebbero cercare me! non ho mai fatto male a nessuno! E perchè dovrebbero farne a me?!, Si, potranno fermarmi, minacciarmi, potranno darmi due schiaffi, due pugni, poi tutto finisce!».
Era buono Fanin, troppo buono, fino al punto da non poter credere in certi momenti alla cattiveria degli uomini!
Ma la notte del 4 novembre non furono solo schiaffi e pugni, bensì barbari colpi di sbarra fino a fiaccarlo ed ucciderlo.
Caduto, in mezzo alla sua terra che unica testimone, fasciò di nebbia e di silenzio le sue agonie, il giovane sindacalista cristiano dava serenamente la sua vita, forte della sua fede in Dio e nel Paradiso.