Di che parlano un ragazzo e una ragazza sovietici quando escono insieme la sera?
Mi venne voglia di chiederlo ad una donna, nonostante possa sembrare banale fare domande del genere.
Libri, film ed altre manifestazioni servono alla propaganda sovietica per intessere idilli e conversazioni patetiche su uno sfondo di trattori e di stakanovismo. Sapevo del resto, per averlo visto, che quando le giovani coppie sovietiche si appartano nei ristoranti e nei caffè non hanno occhi che per loro stessi. Come in tutto il mondo.
Bene, quando chiesi ad una donna di che parlano i giovani quando escono insieme la sera la risposta venne esitante, ed evasiva. «Beh, ci sono tante cose di cui parlare», mi disse, «Quali, per esempio? Lei è sposata da poco, mi ha detto. L'uomo che ora è suo marito deve averla corteggiata. Stavate insieme qualche volta. Di che parlavate?». Altra pausa, e poi: «Glie l'ho già detto: di molte cose. Della competizione socialista, per esempio».
Questo è in parte un assurdo, naturalmente. In Russia, come altrove nel mondo, i giovanotti e le ragazze hanno ben altri argomenti da trattare quando sono soli. Tuttavia, il loro atteggiamento verso la vita denuncia le conseguenze di un addestramento tenace e tutto particolare, poichè il sistema educativo attuato dal partito comunista dalla prima infanzia in poi si impadronisce di quanto vi è di più intimo nelle creature.
Il partito comunista sovietico, quando parla delle nuove generazioni, che sarebbero la sua espressione, parla di gioventù in generale. In realtà si tratta di una determinata parte della gioventù, poichè molti giovani sfuggono al pieno rigore dell'educazione sovietica. Il partito stesso, del resto, è interessato principalmente a coltivarsi i giovani che esso considera dotati di particolare talento ed i quali saranno sottoposti ad un indottrinamento e ad un addestramento che farà di loro la riserva specializzata da cui verranno selezionati i campioni da affinare per farne, in seno al partito, i dirigenti di domani.
Si può dire che non v'è città sovietica che non abbia la sua casa, o meglio il suo «Palazzo» dei Giovani Pionieri. In teoria, tutti i ragazzi sovietici sono membri di questa organizzazione. Ma coloro che frequentano i «Palazzi» dei Pionieri sono in realtà quelli ai quali il partito ha deciso di dedicare una attenzione speciale e dei quali curerà l'educazione con estrema meticolosità sino a che assomiglieranno a piccoli automi che rispondano automaticamente ad ogni comando. Si tratta di una istruzione che poggia con formidabile impegno sullo sviluppo del talento, sulla educazione di partito e sulla disciplina.
Nei miei viaggi in molte delle repubbliche sovietiche ho avuto occasione di visitare un certo numero di questi «Palazzi» dei Giovani Pionieri. Quello di Taskent, la capitale della repubblica Uzbeka, mi sembra decisamente tipico. Vi andai di domenica. Il mio arrivo non era stato segnalato e prima di entrarvi ebbi una discussione piuttosto animata con l'uomo di guardia. Alla fine decisi di esibire la carta «lasciapassare» rilasciatami dalla polizia e fui scortato con ogni riguardo all'interno.
La prima persona a venirmi incontro fu una donna, la direttrice. Era visibilmente imbarazzata per l'ospite inatteso, poi si mise a mia disposizione per una visita. Fortunatamente per lei — lo seppi poi — tutto era stato tirato a lucido il più possibile in vista di imminenti visite di un certo numero di delegazioni, fra le quali una brasiliana, una indonesiana e una di mongoli. Nei locali fervevano lavori di sistemazione.
Nell’edificio vi erano una cinquantina di ragazzi, tutti giovanissimi, ed altrettanti ne stavano in un vicino cortile. Il resto dei ragazzini di Taskent (la capitale Uzbeka ha 600.000 abitanti) stavano a far chiasso nelle strade e nei giardini. Quelli che costituivano la popolazione del «Palazzo» erano il fior fiore della nuova generazione locale e su di essi il partito fa affidamento per mettere in sicure mani le leve del comando. Non tutti erano uzbeki, c'erano anche dei ragazzi russi. La direttrice mi disse trattarsi di due gruppi nazionali di uguale numero in quella scuola.
Avvicinandomi al «Palazzo» si era impadronita di me una sensazione tra di accoramento e di sgomento. Il «Palazzo» è una massiccia e piuttosto tetra costruzione a due piani, molto lunga e circondata da una alta siepe coperta in buona parte da slogan del partito. L'interno non la ravviva. Vi trovai un'aria piuttosto da caserma. I ragazzini erano stati messi in fila e attendevano obbedienti e silenziosi l'arrivo degli ospiti. Erano vestiti con proprietà: avevano gli abiti della domenica e portavano al collo i fazzoletti rossi, che sono il simbolo della organizzazione dei Giovani Pionieri.
La direttrice mi accompagnò a vedere il «Gabinetto», il locale dove un gruppo di ragazzi fra i sette e i quattordici anni discuteva con molta gravita i problemi dei Giovani Pionieri. «È come un piccolo governo», mi disse la mia guida. Penso che la gravità che era sui volti dei ragazzi in assemblea fosse di circostanza, almeno in buona parte. Erano attesi degli ospiti, non dimentichiamolo, ed è assai probabile che la direzione avesse sollecitato dai ragazzi un comportamento che non è quello solito dei ragazzi.
In un'altra stanza mi furono mostrati i lavori fatti dai ragazzi, pitture e sculture, alcune delle quali molto apprezzabili, e le loro raccolte biologiche e zoologiche. In un'aula vidi un gruppo di ragazzi in costume che imparava danze folkloristiche uzbeke: a dare il tempo erano tre giovanissimi che suonavano fisarmoniche italiane e tedesche.
I ragazzi erano tutti estremamente timidi con me e, più tardi, con le delegazioni. Non c’era in loro quella animazione e quella vivace spensieratezza che ci si aspetterebbe da ragazzi di quella età, e in gruppi così cospicui. In certi momenti sembravano avviliti. Il «talento» scoperto in loro dai fiduciari del partito era indubbiamente in quel loro comportamento, e nel loro comportamento si rifletteva anche l'addestramento al quale sono sottoposti. Mancavano le caratteristiche dell'infanzia e della prima gioventù. Facevano ogni cosa con molta gravita, si trattasse di ordine o di preghiera, e senza esitazione nè domande.
La delegazione brasiliana, guidata da un incaricato che parlava portoghese, ne rimase ovviamente impressionata. Giunti di fresco da Vienna, dove avevano partecipato al congresso mondiale dei sindacati comunisti, i brasiliani erano entusiasti della gioventù sovietica; mostravano di considerare i ragazzi del «Palazzo» come la tipica espressione della gioventù sovietica, nonostante a due passi, fuori del «Palazzo», come nelle strade di tutti i capoluoghi dell'URSS, i ragazzini facessero baccano e i giovanissimi si arrabattassero a darsi da fare per guadagnarsi la vita. Ma da questa generazione della strada, che è la maggior parte, i figli dei qualificati comunisti vengono tenuti al riparo.
Il processo educativo per questi prescelti comincia dalla prima infanzia. Poichè la maggior parte delle madri sovietiche lavora, i ragazzi di tre o quattro anni vengono mandati alle «Dyetskaya», che sono asili dove bambinaie e istruttori provvedono ad averne cura e a plasmarli durante il giorno. In tutte le città sovietiche, nei parchi e nelle strade meno frequentate, è dato vedere gruppi di cinquanta e più ragazzi che camminano o si divertono molto compostamente sotto lo sguardo di istruttori. L'istruzione alla quale vengono allevati è schiettamente russa: ne dovranno venire fuori degli Uzbeki russi, dei Tadgiki russi, dei Kazakhi russi, degli Azerbaigiani russi, eccetera. Tutto ciò che riguarda la loro vita in comune si esprime in lingua russa, e col passare degli anni dovrà essere la lingua di tutta l'Unione Sovietica.
Al riparo di notizie e di informazioni dirette dal mondo esterno, almeno nella parte che non si adatta al modello comunista, i ragazzi diventeranno servitori obbedienti della società comunista.
Molti, però, sfuggono a questo sistema. Col preciso e robusto profilarsi di un ceto medio nell'Unione Sovietica, un numero sempre maggiore di madri sta cercando di sottrarre ore al lavoro per dedicarle all'educazione dei figli.