Il compagno Savelov era veramente sconfortato. La sua lettera al giornale di Baku, il maggiore centro petrolifero dell'URSS, era veramente angosciosa e l'aveva scritta dopo averci pensato su parecchio tempo.
«All'inizio di luglio — scriveva il compagno Savelov, prendendo le cose alla larga — furono assegnati sessantadue appartamenti sulla via Vodopyanova. Era da supporsi che in tutti gli appartamenti ci fosse l'acqua corrente. L'acqua invece non si vide per un mese intero. Poi un bel giorno finalmente apparve, ma durò poco. Un altro bel giorno vennero gli operai dell'acquedotto a piantare tappi ed a sigillare i rubinetti dal secondo piano in su. Dopo di che ci fu acqua a disposizione di tutti, ma a patto che si andasse a prenderla dai rubinetti del primo piano».
«Nella casa ci sono le tubature del gas, e bene o male il gas ora ci viene erogato, ma sempre con nostro timore che succeda qualcosa per via delle perdite. Durante il primo mese stemmo tutti senza gas perchè i tubi perdevano troppo».
Questa del compagno Savelov è soltanto una delle moltissime lettere piene di reclami o di accorata delusione che i cittadini sovietici mandano ai giornali locali.
Il partito comunista e il governo invitano la popolazione ad esporre le loro lagnanze in queste «lettere al direttore», le quali rappresentano una efficace valvola di sfogo attraverso cui alleggerire l'irritazione della massa. Quando le cose vanno male, il partito ed il governo indirizzano la rabbia dei cittadini verso i funzionari di grado minore, i quali vengono in queste occasioni sommersi da accuse di «metodi burocratici» e peccati analoghi ma ai quali, in definitiva, non si può chiedere che riaggiustino quello che non va come dovrebbe.
«Alla fine di giugno — si legge in un'altra lettera, scritta allo stesso giornale dalla compagna Zomskaya — andammo ad occupare un appartamento in un caseggiato di nuova costruzione, al numero 15 della via Zavokzalny. Eravamo felici di poter disporre di un appartamento nuovo, e speravamo di trovarci tutte le necessarie installazioni per una vita confortante.
«Le nostre speranze, però, sono andate deluse. Non siamo neppure in grado di servirci della energia elettrica per fare luce nella casa. Non c’è trasformatore e le lampadine si fulminano.
«In un appartamento del secondo piano mancano i rubinetti per l'acqua. Al primo piano i rubinetti ci sono ma non chiudono bene. Le porte e i pavimenti sono fatti di legno che ogni tanto tira fuori delle gobbe. In molti appartamenti le porte non chiudono ed i pavimenti sono già sconnessi».
E ora diamo un'occhiata alla lettera del compagno Sciatholin, il quale è esasperato. Scrive Sciatholin: «In giugno venimmo a sistemarci in un nuovo caseggiato, al numero due della via Bakikanov. Ancora oggi l'area dinanzi alla quale la casa è situata è ingombra a tal punto di materiali da costruzione, di sbarre di ferro, di pietre, di ghiaia e di sabbia che quando piove o c'è forte umidità è impossibile scendere in strada. Spesso è necessario, dopo aver fatto le scale dal quinto piano al pianterreno, arrampicarsi a qualche finestra di altro lato della casa e trovare un'altra strada più praticabile».
Il compagno G. Matisevic desiderava «abbellire» il suo appartamento, ma gli andò male. «Andai in un emporio — egli scrive — e comprai un barattolo di vernice. L'etichetta diceva a grossi caratteri che si trattava di vernice per pavimenti e che si sarebbe asciugata nel giro di settantadue ore dopo l'applicazione.
«Mi servii di quella vernice per mettere a nuovo il pavimento della mia casa. È passato più di un mese da quel giorno, ma la vernice non si è ancora asciugata. Scarpe e mobili continuano ad attaccarsi al pavimento».
Queste sono soltanto alcune delle molte lettere di rimostranza che ho lette sul giornale di Baku nel mio brevissimo soggiorno in quella città. Debbo aggiungere che rimostranze del genere se ne trovano a iosa in tutta la stampa sovietica, compresi i giornali di Mosca, e ad esse si fa molto spazio.
I firmatari di queste lettere protestano contro tutto, denunciando manchevolezze e raffazzonature tanto frequenti e tanto sconcertanti da spingere lo straniero a chiedersi come mai siano possibili cose del genere in un Paese che pretende di essere una delle più grandi potenze.
È sufficiente, del resto, fermarsi ad osservare il lavoro in un cantiere edilizio per chiedersi, sgomenti, se è mai possibile per l'Unione Sovietica costruire una forte nazione. La mano d'opera per ordinari lavori di costruzione è formata dal personale meno qualificato che uno possa immaginare, perchè la maggior parte della gente al lavoro è composta di donne e di ragazzi, che sono poi coloro ai quali nell'URSS si danno i salari più bassi. E a volersi fermare a lungo a seguire il loro lavoro, specialmente ai macchinari, si vede che inevitabilmente o combinano guai grossi o ne intralciano il regolare funzionamento per più o meno assoluta inesperienza.
Dal mio appartamento ho seguito per molte mattine certi lavori di costruzione sotto la mia finestra ed ho assistito alla graduale agonia di una grossa impastatrice, finita praticamente in rottami.
E poi si vedono donne e ragazzi che dispongono i mattoni in maniera tanto assurda e diseguale da lasciare grossi buchi, buoni come osservatorii, nelle pareti man mano che salgono. Oppure donne giovani ed anziane che tirano giù martellate senza controllare ciò che fanno, impegnate come sono a chiacchierare senza fine. Oppure, vi sarà dato, come più volte è capitato a me, di vedere una vecchia sistemare l'impasto di cemento e ghiaia in una grossa fessura col semplice procedimento di scaraventare palate di impasto, colmarne la fessura e poi assestare l'opera col peso del suo corpo.
Va da sè che non tutto ciò che si costruisce nell’Unione Sovietica è compromesso nella sua stabilità da sistemi come quelli ora esposti. Ci sono anche belle e solide costruzioni, forse più solide che belle, quali la sede del ministero degli esteri e l'università di Mosca, i grandi complessi industriali, le centrali idro-elettriche ed altre importanti costruzioni disseminate in tutte le repubbliche dell'Unione.
E la spiegazione di questa disparità sta nel fatto che non c'è sufficiente mano d'opera specializzata da assegnare al settore industriale che riguarda le esigenze particolari della popolazione. La mano d'opera più qualificata presta servizio nell'industria pesante. E poi l'immensa Armata Rossa assorbe, trattenendoli a lungo, i giovani appena giunti ai diciotto anni e finisce con l'estraniare molti milioni di braccia e di prestazioni d'ogni altro genere dall'economia nazionale. Infine, i
campi di lavoro sono pieni di uomini e donne che potrebbero essere meglio utilizzati in normali lavori civili.
Baku costituisce un ottimo esempio di questo problema sovietico, poichè è una città che, stando a ciò che dicono le stesse autorità russe, ha dovuto essere ricostruita dalle fondamenta. Quel grosso centro petrolifero, specie nella parte della città vecchia, ha tuttora quartieri fantasticamente decrepiti, dove strade strettissime si rincorrono in ordito pazzesco fra costruzioni che è difficile accettare come abitazioni per esseri umani.