.... 29 settembre 1951. — Cari giovani della mia Cina! Pareva che l'Arcangelo della luce li avesse toccati in fronte con la sua spada. Gli occhi erano brillanti, forse come quelli di Tarcisio nella sassaiola o di Sebastiano sotto il tiro delle frecce romane !
Quella mattina spirava intorno a noi e dentro di noi l'aria di una chiamata eroica. Ed eravamo prontissimi a tutto. Sì, anche alla morte! I giovani nella chiesa, piccola ma bellissima, scandirono con più entusiasmo di sempre il loro giuramento: insanguinare la spada del persecutore piuttosto che insudiciare la coscienza con l'inchiostro della firma ereticale; e i fatti lo documentarono a meraviglia.
Venne il diavoletto rosso, il luogotenente del Governo popolare, a portare la lista da riempire per chiedere l'espulsione dell'Internunzio, Monsignor Antonio Riberi. Disse: a mezzanotte!... e fu preciso come un Longines; ma indescrivibile il suo livore nel vederla bianchissima come alla consegna. Non poteva inghiottire le ragioni del Rettore della scuola, il quale si sforzava di convincerlo che egli aveva presentato la lista ai giovani e che li aveva lasciati liberissimi di firmare. Possibile? Qui c'è puzza di autentico complotto! E vuole svegliare i giovani. Interroga alcuni individualmente, in segreto; tutti rispondono come sotto dettato dello Spirito Santo. Un ragazzetto di undici anni gli fa osservare:
— Noi non possiamo vendere l'anima con una firma!
— Allora tu non ami la Patria?
— Sì, io amo molto la Patria, ma a quella terrena preferisco la celeste! Le leggi della Patria io le osserverò tutte, purché siano conformi a quelle della mia Chiesa, le quali mi proibiscono di firmare; e tu non mi potrai mai costringere ad andare contro la mia coscienza, perché il nostro " buon Governo ", tra le altre libertà, predica anche quelle di religione. Se il Governo vuole scacciare il rappresentante del Papa, ha la potestà di farlo. Perché esigere la nostra firma?
Quanta semplicità, mio povero bambino! Ma non sai che i comunisti cercano sempre di giustificare le loro azioni col far vedere che tutto quel che fanno è volontà del popolo?
La mattina dopo la battaglia di mezzanotte, mi sentivo una gran voglia di baciarli tutti in fronte quegli autentici bozzetti di eroi; perché neppure uno, ed erano centocinquanta tra grandi e piccoli, neppure uno firmò!
Il rappresentante del Governo, anche se minacciando una rivincita, se ne dovette ripartire sconfitto; ma la rivincita non venne mai, almeno fino a quel famoso 29 settembre 1951.
Tutti della stessa tempra i giovani che ci eravamo formati in quell'oasi di predilezione che era l'Istituto Salesiano di Pechino!
A questi giovani io facevo scuola e tenevo conferenze, ad essi comunicavo le mie gioie, le mie speranze e i miei non rosei pronostici; era con essi e per essi, insomma, che io vivevo. E tutti attendevano, sempre con insaziabile avidità e con impaziente trepidazione, il «Ti Shen Fu» che narrasse loro le nuove ed eroiche gesta di qualche confessore di Cristo. «Che c'è di nuovo a Pechino?»
Le volevano sentire, mi dicevano, non per curiosità, ma «per riscaldarsi sempre più nella fede e per spronarsi ad imitare gli atti eroici dei martiri». Ed io mi ci infiammavo a raccontargliele, perché di molte io stesso ero stato testimone, trovandomi spesso, per il mio ministero, a dover correre da una Parrocchia ad un'altra; e nella vivezza del racconto mi incantavo a rimirare quegli occhietti luccicanti che qualche volta stillavano più di quattro lacrime...
Oh, quanto gli volevo bene! E quanto bene mi volevano !
Di esempi ne avevo sempre da raccontare, perché nei fervori della primissima lotta tutti si sentivano onorati di manifestare alla Chiesa Cattolica la lealtà della loro fede. Tuttavia mi limitavo a quegli episodi i cui protagonisti conoscevo io stesso, o quelli nei quali avevo recitato anch'io la mia piccola parte.
Una fanciulla di quattordici anni, trascinata sul palco dell'Aula Magna dell'Università Cattolica, di fronte ad una infinità di gente adunata apposta per l'accusa pubblica, avrebbe dovuto confessare che i Missionari cattolici erano andati in Cina per svolgere opera di spionaggio segreto, e la Legione di Maria alla quale lei stessa era iscritta, essere nient'altro che un'organizzazione sovversiva al Governo del popolo. Infine le impongono di confessare che anche lei è stata ingannata da questi «lupi vestiti da agnelli».
L'eroina esita un istante per ricomporsi dallo stordimento; poi cade in ginocchio e tira fuori dalla tasca il suo Rosario. La turba grida che la si faccia alzare perché in quella posizione è in contatto con la sua divinità; e perciò invincibile. La piccola obbedisce sorridendo, ma resta sempre muta; allora i soldati la scuotono, la percuotono, le tirano i capelli, la schiaffeggiano. Lei, muta. Infine, pur di non dargliela vinta, la costringono a gridare: «Evviva Mao!» La fanciulla grida: «Evviva il Papa!» Fu un fulmine a ciel sereno che le cagionò una tempesta di pugni e schiaffi; ed a forza di spintoni fu cacciata fuori dal palco.
Ad un padre di famiglia, un bell'uomo di 29 anni, fu permesso di giocare l'ultima carta; era da settimane che veniva continuamente martellato; alla fine gli si domanda:
— Non hai tu forse tre figli che ogni giorno ti chiedono il pane?
— Sì!
— Non ti preoccupa la loro esistenza?
L'uomo non risponde.
— Accusa i Missionari stranieri, oppure...
— Ho capito ! Preferisco la seconda parte del dilemma! E Dio penserà alle mie creature!
Venne trascinato immediatamente nel mistero della prigione!
Questo colloquio me lo riferì la moglie quando venne a raccomandarmi il figlio più grandicello...
Ad un altro fervente cristiano di 56 anni, attivissimo Legionario di Maria, toccò identica sorte.
Aveva risposto da eroe alla minacciosa domanda del giudice armato:
— Quante teste hai tu?
— Una sola, ma sappi che anche di anima ne ho una sola, per cui non esito a scegliere! Mio padre morì a 35 anni di età, io ne ho 56 e ogni giorno che passa mi sembra di recare una nuova offesa a mio padre. Quando avrò la consolazione di andarlo a trovare, per me sarà sempre tardi!
Una bambina di dodici anni, che si comunicava ogni mattina, passava da una casa all'altra delle sue amiche e le ammoniva:
— Non dite mai che la Legione di Maria è sovversiva, se no la Madonna ci fa morire.
Da principio i comunisti ridevano di questa sempliciotta; poi le proibirono di uscire di casa, sotto la pena del taglio della lingua. Un giorno la bambina va al posto della Polizia con una lametta in mano per farsi tagliare la lingua pur di riavere il permesso di circolazione. Ammirati da tanta audacia, i «compagni» le ridanno il permesso di uscire, ma con la proibizione esplicita di recarsi nelle case private. La bambina ogni volta che incontrava le amiche per strada ripeteva sempre la sua raccomandazione...
Il giorno 7 febbraio 1951 mi son trovato presente alla partenza da T'ien-Tsin di un Sacerdote Olandese della Congregazione della Missione: il P. Steenstra, consigliere del Vescovo, il quale godeva tanta stima e popolarità tra i cristiani. Un giorno si reca al posto di polizia per ritirare il suo Pass, consegnato per la rinnovazione.
L'ufficiale gli dice di tornare a sera; egli ritorna, ma il Pass non è ancora pronto. Ritorna il giorno dopo e gli dicono che sarà pronto per l'indomani. L'indomani sera vi si reca di nuovo, ma riceve la stessa risposta. Allora egli fa osservare:
— Ma, per favore, mi si dica con certezza quando posso trovarlo pronto, perché io non ho tempo da perdere!
Il delitto è commesso!
Il Padre viene obbligato immediatamente a scrivere il foglio di applicazione per il rimpatrio. Egli protesta e si rifiuta decisamente! La mattina dopo, la Polizia è all'Episcopio; cerca l'ottantenne Vegliardo ed irrompe nella sua stanza:
— Qui nel suo Episcopio c'è un Sacerdote che ha tentato di resistere alla Polizia; se non rimpatria immediatamente, lei si rende responsabile di tanta sfrontatezza !
Per evitare il peggio, il Vescovo è costretto a sacrificare il P. Steenstra. La notizia è in bocca a tutto il Clero e a tutti i cristiani. La sera della partenza scoppia una manifestazione di solidarietà che poteva rivestire tutte le proporzioni di una protesta. Il Clero straniero, capeggiato dal Vescovo, ed alcuni Sacerdoti indigeni sono presenti sulla banchina del porto e con essi una gran folla di cristiani, per lo più studenti e studentesse dell'Università. Io arrivo un pochino tardi, quando già il Padre sta nell'ufficio della dogana. Con la scusa di portargli un documento dimenticato, riesco ad attraversare il blocco delle sentinelle ed avvicinarlo. Non l'ho mai veduto; ma ho la sensazione di conoscerlo fin dall'infanzia. Ci baciamo commossi; mi faccio dare una sua foto, nel retro della quale scrive: «In unione precum!».
Quando esco dalla dogana, molti cristiani dalla banchina si sono aggruppati vicino al ponte levatoio che conduce alla nave. Le sentinelle tentano di allontanarli due e tre volte; ma sempre inutilmente.
Dopo pochi minuti ecco il Padre! I cristiani gli si accalcano per l'ultimo saluto:
— Padre, ritorni presto!... Arrivederci presto!
In tanta ressa le guardie minacciano di usare la forza e il Padre stesso fa del tutto per liberarsene. Quando ci si svincola noi pure saliamo in banchina per raggiungere gli altri. Sta solo, ritto, in atteggiamento di un condannato, a morte.
Un cristiano rompe il silenzio con il grido: «Padre, ci benedica!».
Nel vedere quella folla lacrimante cadere in ginocchio e quella mano che tanto lentamente tracciava in aria l'ultimo segno di Croce, anch'io piango. Dopo questa scena un altro cristiano intona l'Ave Maria in cinese; tutto il coro prosegue. Il Padre indica di smettere, ma il coro ingrossa sempre; allora il Padre sparisce nella cabina. Una voce di donna si leva stridente: «Il Padre non è contento», e il canto cessa. Nel silenzio posso ben distinguere le parole di un Sacerdote francese, allora Rettore dell'Università:
— «Ils sont fous, ils sont fous!»; — e scappa via.
Sì; i cristiani cinesi se lasciati veramente liberi nello sfogo dei loro sentimenti verso la Chiesa Cattolica sono capaci anche di compiere pazzie.
Altri due Padri stranieri avevano lo stesso delitto. Portavano, poverini, il naso lungo! per cui furono soggetti alla stessa condanna.
Tema: dobbiamo scacciarli dalla Cina! Pure questa volta fu facilissimo trovare il pretesto, davvero puerile e comico.
Una sera hanno una visita inaspettata dei comunisti, i quali, dopo la litania delle solite domande insulse, dicono: «Voi qui una volta avevate un cane. Ora, dov'è?
— È morto.
E se ne vanno.
La sera dopo alla stessa ora, la stessa visita, le stesse domande; e si scopre che il cane è stato ucciso dai Padri, perché troppo vecchio. La commedia dura per un terzo e quarto giorno, ma infine si muta in tragedia. I comunisti domandano ironicamente:
— Le anime dei vostri cani sono forse salite nel vostro paradiso?
— No, rispondono i Padri, perché le anime di coloro che mordono ingiustamente il prossimo non andranno mai in paradiso.
— Ed allora dove vanno?
I Padri perdono le staffe:
— Vanno in Corea!!!
Non l'avessero mai detto! Dovettero lasciare immediatamente la Cina, senza portarsi via neppure uno spillo ed ebbero anche l'onore di un picchetto armato che li accompagnò alla stazione come rivoluzionari e sovversivi. Anche la radio americana se ne interessò per divertire il suo pubblico...
Alcuni nostri amici, studenti dell'Università Cattolica di Pechino, una sera si recarono a fare una scampagnata a circa venti Km. fuori della città; la Polizia, informata, li va a braccare, li interroga e, saputili cristiani, dice loro di non essere in regola, perché sono senza lasciapassare; ma i nostri che hanno la testa sopra le spalle e la lingua molto spiccia, rispondono che la legge riguarda soltanto coloro che si allontanano dalla città oltre i 25 Km. Inutile giustificazione! Il capo è condotto al posto di polizia, mentre gli altri della comitiva si costringono a ritornare in città.
Intanto, al posto di polizia, un ufficiale fa al capo questa proposta: — Se tu confessi di essere un sovversivo ed un rivoluzionario a servizio della Chiesa Cattolica, noi ti liberiamo immediatamente e ti garantiamo che non ne subirai alcuna conseguenza.
Il giovane si oppone decisamente. Lo lasciano in una gelida stanza fino alla mezzanotte. Finalmente ritorna l'ufficiale e gli fa sottoscrivere di essere uno studente dell'Università Cattolica.
— Ma sì, con tutta l'anima! — Soltanto allora lo licenzia nel cuore della notte, in aperta campagna...
I miei giovanetti nel sentire questi episodi, commossi fino alle lacrime, fremevano di santa impazienza e si fortificavano sempre più nei propositi e nei giuramenti di fedeltà al Papa e alla Chiesa Cattolica; ed io approfittavo per impegnarli sempre più con domande quasi demagogiche cui rispondevano con giovanile frenesia.
Li avvertivo che anche per essi si sarebbe avvicinata l'ora della prova e che soltanto alla scuola di tali esempi sarebbero rimasti vittoriosi.
Questi stessi episodi mi piacque riaccennare nella conferenza che tenni a tutti i giovani in occasione dell'Esercizio della Buona Morte del mese di agosto 1951; ed in questa occasione volli ripetere espressamente quella mia protesta di fede che avevo fatto solennemente di fronte ad essi alcune settimane prima: — Miei buonissimi giovani, voi sapete bene come hanno trattato e trattano il Cardinale d'Ungheria Em.mo Mindszenty, l'Arcivescovo di Zagabria Mons. Stepinac; e vi ricorderete anche di quanto vi dissi intorno alla tattica dei comunisti verso la Religione cattolica in Russia, in Polonia, in Romania, in Cecoslovacchia, in Bulgaria ed in altre nazioni in mano ad essi; tutti ormai conosciamo più o meno quel che fanno per estorcere notizie o presunti delitti dai Missionari di Cristo. Io non voglio rattristarvi con il pensiero di una mia prossima prigionia; però voi tutti avete occhi per vedere ed intelligenza per capire quale sarà, tra breve, la nostra sorte: la Cina non può fare un'eccezione di fronte alla regola comune di tutte le altre nazioni occupate dai rossi. Ebbene fin da ora sappiate che le verità di fede, che vi abbiamo predicate ed insegnate fino ad ora, sono sempre le medesime, anche quando vi verranno a dire o a leggere cose da noi scritte in quei luoghi dove viene distrutta la libertà umana: una è la nostra fede e voi tutti ne sapete i principi.
Questo era il senso della mia professione di fede, ma la forma suggerita dalla circostanza era tale da commuovere i miei piccoli amici.
Quella lontana mattina del 29 settembre 1951, S. Michele Arcangelo mi diede lo spunto per ricordare ai miei giovani di voler lottare insieme, fino all'ultimo sangue, e, tutti insieme, facemmo una preghiera e una promessa.
— Forse domani, dicevo loro, io non vi vedrò più, ma ricordatevi che S. Michele Arcangelo è sempre con voi e vi difenderà nella lotta contro le insidie del demonio.
Chi avrebbe mai potuto pensare che proprio queste dovevano essere le ultime parole che avrei rivolto ai miei giovani?! Quel mio «domani» fu profetico: nel pomeriggio del giorno dopo io stavo assaporando le delizie della galera di Mao.