Quando verso la fine dell'anno 1950 la stampa comunista cominciò a suonare la grancassa della triplice indipendenza, noi cattolici ci sentimmo come scossi da una sirena d'allarme, e la nostra stampa, specialmente la C.C.B. di Shanghai (Catholic Central Bureau), fu tempestiva e categorica nel denunciare l'anima oscura del movimento.
Per quanto io sappia, il Vescovo di T'ien-Tsin Mons: De Vienne, francese, fu uno dei primi a darne una lunga, dettagliata e precisa interpretazione.
Questa venne letta e commentata dal Vicario Generale di Pechino, in una delle adunanze mensili dei Parroci.
Fu in questa circostanza che i Parroci di Pechino ebbero modo di avere un'idea chiara ed esatta del movimento e ne previdero fin d'allora le inevitabili e nefaste conseguenze.
Nella riunione successiva il Sacerdote D. Liu, Parroco di Nan T'ang, lanciò e difese una proposta suggeritagli da un gruppo di cristiani zelanti:, formare una commissione di laici cattolici i quali, con il permesso delle legittime autorità ecclesiastiche, si recassero dal Governo per intavolare trattative ed abbozzare o stipulare accordi reciproci per una più completa attuazione della «triplice indipendenza» nella Capitale.
Tutti i promotori manifestavano intenzioni ottime, ma le intenzioni fan comodo anche al diavolo. La proposta fu bocciata in pieno dalla totalità dei Parroci stranieri e si fece prevalere il principio: «dall'Autorità ai cristiani», perché l'unico ed autentico organo per simili accordi non può essere che l'Autorità ecclesiastica.
Alcuni Parroci cinesi lamentarono in sordina «l'esagerata severità» e la «ostinata risolutezza» degli «stranieri». Ma nulla da fare; la bocciatura era stata definitiva e senza appello. Se l'iniziativa era partita da alcuni laici cattolici, bocciati! Se dal Governo, bocciato anch'esso! E con molta probabilità il fiasco toccò al Governo, il quale, in verità, spiava tutte le buone e le cattive occasioni per incontrarsi con gli esponenti della Chiesa cattolica, ammansirli e poi liquidarli. La faccenda si sgomitolò così:
I Sacerdoti cinesi formularono una dichiarazione d'amor patrio, secondo i desiderata di Chou En Lai e intonata, almeno parzialmente, ai principi della triplice indipendenza. Noi Sacerdoti stranieri, coscienti del pericolo, restammo «il terzo escluso». Non ci invitarono al «gran consiglio indigeno» e la dichiarazione non ebbe la nostra firma.
Un gruppo di Sacerdoti stranieri, me compreso, ritennero di dover intervenire presso il Vicario Generale. Secondo noi si correva il rischio di cadere nel giuoco degli avversari che tentavano una manovra di politica anticattolica dietro l'apparenza del patriottismo. Mandarono me. Ma l'esito non fu felice, e il Vicario rispose: «Qui si tratta semplicemente di questioni patriottiche ed il vostro intervento oltre ad essere inutile sarebbe molto dannoso, perché inasprirebbe di più i comunisti. Alla fin fine questa dichiarazione in progetto ci può servire per guadagnar tempo e attendere istruzioni dall'Internunziatura di Nanchino».
Vinse la tattica sul principio del temporeggiamento; fu così che i Sacerdoti cinesi con «prudenza e buona volontà» stilarono, firmandolo, il protocollo dell'agguato. Anche i due Vescovi stranieri, francescani, rifugiati a Pechino, pendevano per l'aurea via di mezzo, purché il clero indigeno non intendesse di rappresentare la Chiesa Cattolica. Il segretario di Mons. Riberi, Don Ch'en, sperava che «con parole vuote ed altisonanti si potessero ottenere dei risultati concreti». Premessa la qualifica «come cittadini», i Sacerdoti cinesi non fecero che stendere una lunghissima apologia della dottrina cattolica e della Chiesa di Roma che ha voluto sempre mantenersi da sé senza alcun bisogno di altri Stati, far propaganda della propria religione da sé ed anche con i martiri, governarsi e dirigersi da sé.
Così concepita, la dichiarazione fu presentata al Governo, il quale dopo qualche giorno, evidentemente, la rimandò indietro. «Queste storielle raccontatele ai vostri bambini nelle sagrestie! Questa non è una dichiarazione di amor patrio, ma una difesa dell'Imperialismo».
I nostri furono costretti a cambiarla, mutilandola di tutto ciò che appariva superfluo alla mentalità comunistarda, ed aggiungendovi qualche frase pratica suggerita dal Governo stesso; il quale però neppure questa seconda volta fu soddisfatto. Dopo la seconda, il gran rifiuto venne anche la terza volta. E sì che s'era concesso tutto il «parecchio» possibile ! Ma per chi vuol tutto, il parecchio è fratello di niente. Il Governo mirava al tutto: slacciarsi da Roma, staccarsi dal Papa! I nostri, grazie a Dio, non mollarono; saldissimi come i primi Apostoli ed intrepidi come i martiri, si fermarono al parecchio. Per il resto dissero: no! Costasse anche la morte, ben venga!
La terza stesura — oh che pazienza, questi nostri cinesi! — non fu più soltanto respinta ai mittenti, ma corretta da capo a fondo: «Se la scriverete così verrà immediatamente approvata dal Governo e pubblicata». Già, come un professore che approva con un bell'otto il compito dei suoi ragazzi, dopo aver loro passato la copia lui stesso!
Con pazienza davvero certosina, si fuse la quarta stesura. I comunisti, prelibando l'ottimo boccone della volpe, mandarono dei fotografi per documentare l'assise; i nostri si opposero, ma la violenza fece lo stesso, almeno in una sezione. Sei Sacerdoti cinesi, tra cui uno della mia Missione, Don T'ung, dovettero posare, fingendo di stendere la dichiarazione. Anche questa quarta stesura, nonostante gli scatti al magnesio, fu bocciata e bloccata nell'ufficio politico del Governo, il quale, indignato, dichiarò il suo: «Non se ne fa più niente !»
Non mi riuscì di leggere la quarta edizione, ebbi una copia della terza così come fu imposta dal Governo. Ed eccone la traduzione letterale:
«I Cattolici delle regioni settentrionali della Cina, come cittadini, manifestano, concordemente riuniti, la loro dichiarazione di patriottismo!
«Uomini di ogni classe, cittadini di tutta la nazione!
«La religione cattolica è stata portata in Cina da più di trecento anni, e il numero dei fedeli supera i tre milioni e mezzo.
«I primi Missionari, come Matteo Ricci, Giovanni Schall e molti altri, nonché tantissimi cattolici cinesi, illustrarono grandemente con le scienze e con le arti la nostra madre Patria, e i loro nomi sono passati alla storia. Tra questi, particolarmente Ma Hsiang Pei, recentemente morto, è conosciutissimo come insuperabile educatore e patriota.
«Disgraziatamente però, dopo la guerra dell'oppio, si stese in Cina la diabolica mano dell'imperialismo che con molti e ingiusti trattati invase la nostra terra e rese schiavo il nostro popolo; non solo, ma con il pretesto di proteggere la causa religiosa deturpò gravemente la Chiesa santa e pura.
«Purtroppo, allora, ci furono alcuni tra i fedeli, in verità pochissimi, che si prestarono spontaneamente all'imperialismo per fare soprusi e sevizie al nostro popolo.
«Noi cattolici proviamo tuttora il più grande e sincero rincrescimento per queste umiliazioni che l'imperialismo ci ha inflitto. Noi tutti concordemente dichiariamo che i cattolici cinesi formano una sola cosa con il popolo di tutta la nazione, e riconosciamo che soltanto dopo avere sventate le insidie dell'imperialismo ed energicamente ricacciata la sua invasione, potremo intraprendere la grandiosa e pacifica ricostruzione del Paese.
«Noi formuliamo il sincero proposito di combattere validamente l'America, di aiutare la Corea, proteggere la famiglia e difendere la Patria.
«Il popolo cinese si è già rialzato!
«I cattolici cinesi non furono mai secondi ai cattolici di altre nazioni per patriottismo, né mai lo saranno.
«Noi vogliamo che ciascuno, stando al proprio posto, obbedisca alle leggi del Governo, sostenga la causa comune, aumenti il lavoro e la produzione, lotti insomma con tutte le forze per la ricostruzione di una nuova Cina.
«Inoltre noi nutriamo tanta fiducia di poter realizzare i grandiosi principi della triplice indipendenza, del resto apertamente indicati da vari Sommi Pontefici, e cioè che " la Chiesa cattolica in Cina si mantenga, si propaghi e si governi da se stessa!".
«Noi fermamente decisi di non appoggiarci mai più agli aiuti europei, lavoreremo con ogni sforzo, aumenteremo la produzione e troveremo da noi stessi il danaro necessario per l'evangelizzazione.
«Riconosciamo e sosteniamo che il dovere di evangelizzazione sia compito esclusivo degli indigeni, secondo il tradizionale pensiero della Chiesa, e siamo più che mai decisi ad arrivare al punto in cui soltanto Vescovi e Sacerdoti cinesi governino i nostri interessi religiosi sotto la guida del Sommo Pontefice!
«I cattolici cinesi, come cittadini, hanno un doppio obbligo di amare la Patria.
«Noi, secondo l'ideale di amore universale dei Cristo, manifestiamo il nostro fervore religioso per la Patria e per il Popolo, perciò vogliamo aiutare il Governo nella sua opera di beneficenza e di soccorso onde compiere la nostra missione di amare il prossimo come noi stessi».
Il Governo cancellò i nomi di Ricci e di Schall, la frase: «apertamente indicati da vari Sommi Pontefici» ed altre espressioni che... «stonavano»; e fece aggiungere: «riconosciamo che anche oggi tra i cattolici ci sono degli imperialisti che bisogna epurare senza misericordia». La frase: «Sotto la guida del Sommo Pontefice» si sarebbe dovuta mutare con l'introduzione di una paroletta ereticale: «Noi, ancora, sotto la guida del Sommo Pontefice...».
Più chiaro di così non c'è che la schioppettata. Ed a tutti ormai non rimaneva che aprire gli occhi e vedere la... volpe. Contro coloro intanto che cercavano di resistere col «non possumus» dell'Apostolo, il Governo continuava a tuonare: «Va bene! se siete irremovibili, per adesso non se ne farà più niente. Lasciate pure qui la dichiarazione, e in seguito vedremo!» In seguito? Ma quando?... Il Vicario Generale commentò: «Molto probabilmente essi vogliono prima far terminare il movimento nella vicina T'ien-Tsin dove sembra sia attecchito molto per opera di alcuni cristiani progressisti, poi incominceranno qui, ma noi non concederemo di più di quel che abbiamo concesso».
Nella riunione di aprile poi, che fu l'ultima, espresse il desiderio che i Parroci stranieri domandassero le dimissioni dall'ufficio, per rimpiazzarli con indigeni e tentare così di colmare l'irruenza aggressiva dei rossi.
Ci disse inoltre che aveva abbozzato un'idea di convocare tutti i cristiani di Pechino nella Cattedrale per una dimostrazione religiosa patriottica.
Noi stranieri anche qui manifestammo esplicitamente le nostre riserve. «A me sembra — ci disse il Vicario — che la vostra idea sia esagerata. Io credo che dopo questa grande dimostrazione, noi potremo essere più liberi in fatto di religione; chissà che un bel giorno tutti i cristiani di Pechino non possano fare un bellissimo pellegrinaggio al Santuario Mariano di Nan T'ang! La giusta tattica «dall'Autorità ai cristiani» è fallita e la nostra dichiarazione non è stata accettata; ora proviamo un'altra via: «dal popolo all'autorità», e questa, pur rimanendo nell'ortodossia ed al di qua di ogni polemica concettuale, otterrà il suo effetto, perché è proprio quella che piace ai comunisti».
Ma taluni elementi estremisti, nel corso dei fatti, falsarono completamente il significato della dimostrazione. Furono impartite direttive precise e minute per i canti, per le bandiere, per gli slogans da gridare, per l'elezione dei capi, dei sottocapi, ecc...
Il giorno venne fissato per la domenica del 22 aprile 1951.
Ma la sera precedente la Polizia dei vari rioni telefonava alle comunità cristiane, informandole che essa stessa ne avrebbe preso la direzione, per la sicurezza dell'ordine pubblico e per garantire un'ottima riuscita! Intanto «comandava» di cambiare alcuni numeri del programma ed alcuni motti sulle bandiere!
Per le ore 10 tutti nella piazza interna del T'ien An Men, il Cremlino di Mao...
La dimostrazione quindi non sfilò più dalla Cattedrale, come nel progetto iniziale, ma dal Palazzo dell'imperatore, per dire al popolo, a questo povero «sovrano», che la parata era di sfondo puramente politico, una dimostrazione cioè di amor patrio.
Nell'adunata, prima che il corteo snodasse, parlarono anche alcuni rappresentanti politici; gli oratori, più o meno chiaramente, batterono sempre lo stesso tasto: l'urgenza di epurare la Chiesa dalla zizzania seminata con le mani dell'imperialismo. Uno di essi fu più tecnico e programmatico e disse: «La Chiesa di Pechino si purificherà e si rinobiliterà con un solo mezzo: con le riunioni di accusa pubblica (K'ung Su), come si sta facendo con grandi successi a T'ien-Tsin ed in tante altre località della Cina» ! La dimostrazione fu punteggiata dai famigerati slogans: Evviva il comunismo russo! Evviva Stalin! Evviva Mao Tse Tung!...
«In seguito vedremo!» avevano detto, ed ormai tutto è visibile. Il Governo comunista, appigliandosi tenacemente a qualunque concessione offerta in buona fede, intende marciare con perfetta mala fede verso il suo traguardo finale: lo scisma da Roma.
Questo voleva dire la triplice indipendenza?... Proprio e soltanto questo.