Purtroppo temiamo che anche questo anno non ci sia possibile nella solennità del S. Natale, parlarvi, figli carissimi, dal pergamo della nostra Metropolitana e nemmeno, come facemmo l’anno scorso, dalla "Casa della Madonna", il nostro caro Santuario di San Luca. Pensiamo perciò di indirizzarvi per iscritto una nostra parola di esortazione e anche di paterno augurio in questo S. Avvento.
Si annuncia dalla Chiesa in questo tempo il grande gaudio che è di tutte le genti: la venuta del Salvatore. S. Luca riferisce esattamente le parole dell’Angelo ai pastori così: "Non temete, perché io vi annuncio un grande gaudio destinato a tutto il popolo, perché oggi nella città di Davide (Betlemme) vi è nato un Salvatore, che è il Cristo Signore (S. Luca c. IV).
Se è un momento nella storia del mondo in cui si sente il bisogno di un Salvatore, è proprio questo! Agli orrori per sè così grandi di una guerra che infuria in tutto il mondo distruggendo ed annientando vite, energie, beni, si aggiunge una paurosa, e direi più paurosa anarchia nel campo delle idee con la soppressione di ogni principio umano. Odio, sangue, vendetta: ecco il trinomio che compendia la tenebrosa ora presente. Eppure se ci riposiamo un momento in queste ore di agonia, sulle pagine sempre vive del Vangelo di Gesù Cristo Salvatore, vi troveremo subito un rimedio prodigioso e quasi vorrei dire istantaneo. Un capo di Stato facendo il giuramento nell’assumere la sua carica, posava, anni or sono, essendo protestante, la mano sulla Bibbia che voleva aperta sulla pagina di S. Paolo dove nella lettera ai Corinti, eleva quel magnifico inno alla carità che incomincia colle parole: "Se parlassi le lingue degli Angeli, ma non avessi la carità, sarei nient’altro che un bronzo sonante".
Se a questo divino amore che ci stringe a Dio e dovrebbe stringerci fra noi, e che è tutto il Vangelo, si fossero ispirati e s’ispirassero davvero i grandi, reggitori di popoli, e i piccoli che sono soggetti, ecco l’arcobaleno della pace in mezzo alle nubi: assicurandoci quel poco di benessere che può desiderarsi e realizzarsi in questa che resta sempre valle del pianto, non della gioia. Invece: chi ha le ricchezze, chi ha la potenza, chi ha la forza vuole ad ogni costo far pesare la sua mano sugli altri, vuole accrescere le prime , alzare la seconda ad un grado sempre più sommo, rinvigorire la terza con ogni mezzo di armi, e di insidie e allora ...immensi e spesso irreparabili dolori nella umana famiglia.
Chi è piccolo, tenue, vuol sollevarsi e guarda con livore chi sta in alto, spesso provocato, bisogna ammetterlo lealmente, dalla asprezza, dalla ingiustizia, dalla insipienza di chi approfitta della sua posizione privilegiata, per negare alla famiglia del suo prossimo quello che egli possiede con tanta abbondanza, largitogli da Dio per farne parte agli altri. Amministratore dei suoi beni è l’uomo, non padrone! Padrone è Dio, Dio che chiederà rigoroso conto fin dell'ultimo centesimo dato o preso senza diritto. Ecco l’insegnamento preciso del Vangelo, della Chiesa e dei sacerdoti. Per questo ci è stata sempre inspiegabile la guerra fatta alla Chiesa cattolica da coloro che dicono e vogliono essere i salvatori del popolo, dell’operaio, del povero, del proletario. La Religione cattolica è la prima assertrice impavida in ogni tempo della elevazione degli umili. Basterebbero, per accennare ad una sola questione, quella del salario, le due parole del Catechismo dove si elencano i peccati più gravi, che gridano vendetta al cospetto di Dio: Uno di essi è: defraudare la mercede agli operai, per dire che la Chiesa, prima di tutte le moderne e ottime provvidenze sociali, aveva sancito che non dare questa mercede o salario convenienti, dunque, e proporzionati a tutti i bisogni di chi lavora è un delitto che grida vendetta al cospetto di Dio. Il quale fa questa divina vendetta incenerendo grossi patrimoni, fatti ingiustamente col sudore dei lavoratori, come, se osserviamo bene gli avvenimenti, ci è dato verificare molto spesso.
Se invece di considerare la Religione e la Chiesa come nemica, ci si fosse fidati della sua dottrina e della sua opera e la si avesse aiutata nel suo lavoro, senza dubbio si sarebbe riuscito assai meglio, e più presto a dare assetto a quella tormentosa questione che acuisce gli odi, le lotte e può preparare giorni ancora più luttuosi.
Noi con viva sollecitudine paterna di Vescovo e di italiano facciamo nuovamente appello a tutti i figli nostri, di ogni tendenza, di ogni pensiero, dai grandi agli umili - operai e datori di lavoro - perché ci ascoltino con animo scevro da pregiudizi, da passioni. Voi, soprattutto che sugli altri avete supremazia di intelligenza e di azione, adoperate tutta la vostra influenza per adottare con prontezza generosa tutti quei mezzi pratici per introdurre e dare vita ad un savio ordinamento di cose che - dopo i cinque anni di guerra - non apra un altro periodo di guerra ancora peggiore tra i figli dello stesso suolo e della stessa madre, l’Italia martoriata e sanguinante! Ahimè! Non seminiamo di morti - con quale strazio diciamo questa parola - le nostre contrade! I morti di tutti i campi, dalla luce della eternità, questo, noi pensiamo, supplicano ai superstiti, e dalle loro tombe, note od incognite, gridano: sat datum lacrimis, sat datum doloribus - già troppo è stato dato alle lagrime, già troppo ai dolori!
Stoltamente si è detto, e si dice anche da taluni che forse si atteggiano a cristiani, che il cristianesimo in questa lotta mondiale è stato superato: cioè non ha potuto efficacemente intervenire. No: non è, nè sarà mai vero. Anzi proprio già si sente e più si sentirà il bisogno di ritornare al Cristianesimo, se l’umanità non vorrà suicidarsi: e suicidarsi non può perché è Dio che la mantiene in vita fino all’ultimo dei giorni da Lui contati e stabiliti. Nel parossismo della febbre non si vuole la medicina dal malato, la si rigetta e qualche volta la si getta rabbiosamente in terra e perfino sul viso del medico o dell’infermiere. Ma se si riesce a farla inghiottire e ad applicarsi, il malato guarisce. Non è dunque la medicina che è superata, è il malato che ancora si ribella a giovarsene. Tocca a tutti i sani far sì che il malato non si condanni da sè alla morte.
Venerabili fratelli e figli, leggete, meditate questa nostra parola e lavorate assiduamente perché penetrando nei cuori Gesù Salvatore sia veramente Salvatore.
Ridate il Vangelo, ridate il Vangelo a questo malato dell’anima che è il popolo nostro! Primo campo del vostro apostolato la vostra famiglia, altro la vostra officina, il vostro lavoro, la vostra professione, le vostre conoscenze; terzo la vostra, la nostra città che purtroppo porta le stigmate di tanti dolori, di tanti lutti, di tanto sangue...; infine la diletta e benedetta Italia che sembra essere tornata a quel Medio Evo nel quale comparve Santa Caterina da Siena. Essa pur tra molte disillusioni e apparenti sconfitte, come in Firenze e in Siena stessa, faceva un incessante lavoro perché il dolce alito della cristiana carità spegnesse l’ardore delle fazioni, la più funesta ed efficace sorgente di lacrime in questa nostra Patria. Senza stancarci, col cuore in angoscia, ripetiamo ancora a tutti senza eccezione: se veramente volete bene alla Patria, basta col sangue, basta coll’odio, basta da tutte le parti. Vi benedico, fratelli e figli carissimi, e ai piedi della Culla del divino Salvatore state certi che vi ripeterò l’augurio: Gesù sii veramente Gesù, cioè Salvatore - Jesu, sis mihi, sis nobis Jesus!
Dalla nostra Residenza questo giorno 10 Dicembre 1944,
seconda Domenica del S. Avvento