Oggi, su questi colli bagnati dal sangue di tanti nostri fratelli di fede, sulle sacre rovine di questa chiesa che radunava ogni domenica un popolo semplice, pacifico, laborioso per l’appuntamento settimanale con il Cristo presente nel sacramento, diamo inizio al sesto Congresso Eucaristico Diocesano.
Abbiamo voluto partire da qui, perchè fosse garantita la completezza del nostro approfondimento del divino mistero e fosse favorito, per così dire, l’equilibrio spirituale delle nostre celebrazioni.
Noi speriamo, se la Provvidenza lo vorrà, che il Congresso ci dia modo di cantare pubblicamente e coralmente la nostra gioia e la nostra riconoscenza per il dono della presenza del Signore in mezzo a noi. Noi ci auguriamo che nei prossimi giorni la nostra città possa tributare a Gesù Eucaristico i trionfi che sono nella sua più antica e genuina tradizione.
Certo, la storia sacra conosce anche il caso di Mical, l’arida e contegnosa moglie di Davide, che si seccava della danze festose compiute in onore dell’Arca di Dio. Noi però, quando si tratta dell’onore da offrire al Creatore del cielo e della terra, preferiamo l’entusiasmo e il trionfalismo di Davide.
"Il Signore regna, si ammanta di splendore; il Signore si riveste, si cinge di forza" (Sal 93,1): così canta il Salmista; ed è giusto che almeno qualche volta la terra venga avvicinata un po’ al cielo, che è la grande aula della lode a Cristo; è giusto che qualche volta i nostri giorni grigi anticipino la luce gioiosa del giorno eterno. Questo speriamo che avvenga nel nostro Congresso.
Ma guai a noi se ci dimentichiamo, anche per un istante, che l’Eucarestia - pegno e premessa di gloria - nasce però dalla croce e contiene la croce.
"Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finchè egli venga" (1 Cor 11,26). Non si può capire veramente l’Eucarestia, se per un solo momento perdiamo di vista la croce: la croce del Figlio di Dio, che ne fece, con l’obbedienza fino alla morte, l’espressione più intensa della sua spoliazione salvifica e quasi il punto estremo della sua stessa incarnazione; la croce del Cristo totale, che in ogni secolo fa della storia della Chiesa, sposa e corpo di Cristo, una storia di dolore e di sangue.
Noi dovevamo dunque partire di qui, per un giusta e armoniosa comprensione del dono di Dio.
Noi cominciamo il nostro Congresso, venerando la povera pisside sfregiata dalla barbarie, preziosa reliquia che qui è custodita con amore, proprio perchè ci sia concesso di innalzare benedicente su Bologna, con piena verità e con autenticità assoluta, l’ostensorio splendente della manifestazione finale.
Dei fatti orrendi avvenuti su queste montagne si dà di solito una valutazione politica. Ed è, se correttamente compiuta, una valutazione legittima e necessaria come è legittimo e necessario studiare le aberrazioni ideologiche e gli impulsi irrazionali che hanno portato a questi delitti.
Ma per la vita del popolo di Dio questo tipo di analisi non serve molto e in ogni caso non può essere giudicato esauriente.
L’analisi politica e ideologica non può andare al cuore del problema. Appunto perchè non oltrepassa la scena del dramma umano, non è adeguata a penetrare fino in fondo alla realtà delle cose e a comprendere davvero una storia che trova nell’eternità la sua sorgente e il suo approdo. Perciò non può dare una spiegazione adeguata a un fenomeno così universale e ripetuto come quello del martirio.
Non ci spiega, ad esempio, perchè il sangue dei cristiani e dei sacerdoti abbia continuato a scorrere nella nostra regione, anche negli anni successivi, quando il vento ideologico, le bandiere, le prepotenze erano cambiate. Non ci dice perchè in questi ultimi tempi siano stati uccisi, in condizioni assolutamente dissimili e sotto violenze di segno opposto, l’arcivescovo di San Salvador, Monsignor Oscar Romero, e il prete polacco Jerzy Popieluszko. Non rende ragione del fatto che, in terre diverse, sotto regimi diversi, in contesti culturali diversi, il sangue accompagna con insistenza la vita delle comunità cristiane.
Per limitarci a coloro che Giovanni Paolo II ha proclamato beati in questi ultimi trenta mesi, noi ricordiamo ad esempio:
- il gesuita spagnolo Diego Luis de San Vitores, martirizzato nelle Isole Marianne nel secolo XVII;
- le tre carmelitane Suor Maria Pilar, Suor Maria Angeles e Suor Teresa, uccise nella guerra civile spagnola;
- il gesuita olandese Tito Brandsma, la monaca di stirpe ebraica Edith Stein, il tedesco Padre Rupert Mayer, periti nei campi di concentramento nazista, rispettivamente di Dachau, Auschwitz e Sachsenhausen;
- e infine Carolina Kozka in Polonia e Anaurite Nengapeta nello Zaire, ambedue uccise per aver difeso la loro purezza e la loro dignità di donne.
Solo una lettura teologica che oltrepassi le cause puramente terrestri, solo una riflessione che nasca dall’intelligenza della fede e dalla contemplazione di tutto il disegno di Dio può darci ragione di tutto questo sangue versato in tanta varietà di situazioni umane, da parte dei discepoli del Signore Gesù.
L’ultimo misterioso libro della Bibbia, l’Apocalisse, ci fa intravedere qualcosa della liturgia che in cielo si celebra al cospetto di Dio, con l’offerta perenne di Cristo, Agnello sacrificato per noi. "Vidi - ci dice lo scrittore ispirato - sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa. E gridarono a gran voce: Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra? Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finchè fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro" (Ap 6,9-11).
La Chiesa prosegue il suo cammino nei secoli, raccogliendo questa messe di esistenze donate al suo Signore, fino a che, giunto a compimento il numero dei martiri, la storia ecclesiale potrà arrivare alla sua conclusione. Nell’evento sempre ricorrente del martirio, è lo stesso sacrificio di Cristo per la vita del mondo che, per così dire, aspira a raggiungere il suo perfetto avveramento nell’immolazione di quelli che sono suoi e a lui si sono perfettamente assimilati.
Il martirio dunque scandisce e misura il cammino del popolo di Dio verso il pieno e aperto possesso del Regno.
"Il fenomeno del martirio - scrivevo lo scorso anno e lo ripeto oggi con immutata convinzione - non è per la Chiesa qualcosa di fortuito e di eccezionale: è l’impronta delle stimmate, che non manca mai nel "corpo" di Cristo. Essa lo deve aver caro, e, senza curarsi di tener nota dei nomi e delle bandiere dei carnefici, non deve dimenticare nessuno dei suoi figli inermi che sono stati uccisi dai prepotenti del momento, quale che sia l’ideologia e il pretesto della violenza omicida: essi sono il suo tesoro e la garanzia della sua fedeltà al Vangelo" (Eucarestia, Chiesa e mondo, n. 34, pag 50).
La Croce è la sola forma possibile di incontro tra l’azione di Dio, che vuol salvarci, e il mondo che, asservito al peccato e alla vanità, in tutti i modi e con tutte le scuse, tenta di opporsi alla iniziativa del Padre. Nella croce la colpa e la misericordia, l’ottusità umana e la sapienza divina, la ribellione e l’amore trovano il loro vero contatto; così, attraverso il martirio, nel cuore della storia si insedia e resta attivo il mistero del nostro riscatto e della nostra elevazione. Dalla croce nasce la vittoria di Dio e si afferma l’unico trionfo al quale noi aneliamo: cioè il trionfo della verità nelle coscienze e nei cuori, che finalmente si arrendono alla luce e alla grazia.
Chi celebra l’Eucarestia, per ciò stesso prende "la sua croce" e si pone alla sequela del Signore.
Chi celebra l’Eucarestia, apre a poco a poco la sua anima alla logica del martirio e riproduce un poco dentro di sè la capacità di sopportazione e l’oblatività generosa dei testimoni di Gesù.
Chi celebra l’Eucarestia, sa che deve ovviamente attendersi incomprensioni e prepotenze, ma sa anche che gli viene dato quotidianamente il Pane dei forti, in grado di dare vigore a ogni debolezza e di infondere coraggio in ogni pavidità, sicchè niente e nessuno può mai intimidirlo.
La Chiesa di Bologna qui a implorare, tra le altre, soprattutto la grazia di saper attingere, dal sacramento che annuncia la morte di Cristo e ne ripresenta la passione redentrice, una totale adesione al suo Signore crocifisso e risorto e l’impegno di una donazione senza riserve per la vita del mondo.