Quarant’anni fa l’uccisione di Giuseppe Fanin sgomentò l’Italia come pochi altri episodi; in un’epoca che pure aveva una sciagurata consuetudine con i fatti di sangue. Sgomentò anzi tutto il mondo civile; ma alla coscienza cattolica italiana apparve subito come un evento di luce e una vittoria; per usare l’antico linguaggio cristiano, apparve come un "martirio".
Un ragazzo che era nato da una famiglia di contadini ed era riuscito ad arrivare alla laurea, che aveva scelto di consacrare la sua intelligenza e le sue energie a migliorare la sorte della gente dei campi; un cristiano e un cittadino che sapeva proporre con ardore le sue convinzioni, ma non aveva mai fatto torto ad alcuno nè inflitto mai alcuna violenza; un uomo sotto tutti gli aspetti esemplare, trucidato inerme a colpi di sbarra, mentre ritornava dall’aver portato alla fidanzata un mazzo di fiori coltivati con le sue mani: ecco chi siamo oggi invitati a ricordare.
La sua morte ha avuto allora per tutti noi il significato e la forza di una rivelazione. In nessun’altra occasione si è capito con più evidenza di quella che un’ideologia che induceva a queste aberrazioni era disseccata in se stessa, finita, senza vero avvenire; che da un movimento incline a simili iniquità e simili ferocie, anche se largamente diffuso e sostenuto da molti cuori in buona fede, non sarebbe mai potuto provenire al popolo nessuna vera giustizia e nessuna autentica promozione; che la sola speranza non deludente non ci viene e non può venirci da chi non rifugge dalla prepotenza nè da chi non esita a derubare della vita gli oppositori, ma da chi è capace di donare la vita.
A distanza di quattro decenni quella persuasione è caso mai più acuta, quella luce s’è fatta ancora più chiara, quella intuizione si dimostra più estesamente comprovata, e il sacrificio di Fanin si propone come una lezione connotata di un’attualità ancora più fresca.
Le nuove generazioni domandano soprattutto di essere giustamente ed efficacemente motivate; hanno bisogno di lasciarsi convincere che il vero fascino della giovinezza sta nella possibilità di aprirsi a grandi ideali; hanno urgenza di imparare a essere risolute senza essere violente, coraggiose senza arroganza, pronte ad accogliere con animo libero ogni positività e ogni valore senza rinunciare mai alla propria identità cristiana, decise a non intimidire nessuno e a non farsi intimidire da nessuno. Ebbene, esse trovano in Giuseppe Fanin un incitamento provvidenziale e un esempio.
Se lo scorrere dei suoi giorni non fosse stato così crudelmente interrotto, egli avrebbe oggi sessantaquattro anni. La brutalità dei suoi carnefici lo ha fissato per sempre tra i giovani, i quali perciò lo devono sentire come uno di loro, coetaneo, amico, fratello di fede.
L’esuberanza esistenziale di questo ventiquattrenne, appassionato al tempo stesso della bellezza e della giustizia, amante della vita e saldo nella disciplina morale, aveva una sorgente segreta e uno sbocco connaturale.
La sorgente era l’intensità del suo rapporto con Dio, dal quale egli voleva ispirato e giudicato ogni suo comportamento. Quando fu assalito, aveva tra le mani la corona del rosario: è la prova che aveva l’abitudine di impreziosire con la preghiera i suoi scarsi momenti di solitudine. E custodiva nel portafoglio i propositi dell’ultimo corso di Esercizi Spirituali cui aveva partecipato: sapeva nutrire la sua fede e il suo impegno cristiano dando spazio al silenzio, all’ascolto di Dio e al colloquio con lui, alla meditazione delle verità eterne.
Lo sbocco di una religione vissuta con questo spessore era la dedizione alla causa dell’uomo; dell’uomo da salvare e da promuovere secondo gli intramontabili insegnamenti del Vangelo. Per lui la scelta cristiana doveva comportare, insieme con l’amore per Cristo e con l’attesa del Regno, una operosità omogenea e coerente nei vari ambiti e nei vari livelli della vita associata.
L’effusione del sangue è sopravvenuta come un divino suggello ad autenticare questa pienezza di professione cristiana e, al tempo stesso, come una porpora regale a esaltare la straordinaria ricchezza di umanità di questo figlio della nostra terra.
La Chiesa di Bologna si onora di Giuseppe Fanin, ne ammira la vita e ne venera la nobile morte. Mentre non si cura che siano ricordati gli uccisori (che, perdonando, affida alla misericordia di Dio), non intende consentire che si sbiadisca la memoria di questo suo figlio retto e animoso. E addita in Giuseppe Fanin a tutti i credenti un esempio di come si vive e di come si deve essere disposti a immolarsi per il Signore Gesù e per l’attuazione sociale del suo messaggio.