Nel 1926 in occasione della s.visita pastorale sono stati eseguiti nella canonica restauri per £ 3108.30. Altri piccoli lavori nei fabbricati beneficiarii per £ 240: spese in tutto £ 3348.30.
La chiesa parrocchiale di San Giacomo di Lorenzatico, modificata ed ampliata a varie riprese, dal 1875 (se si eccettui il rifacimento del tetto nel 1915 a cura e spese del patrono il principe d’Orléans, duca di Montepensier e questo fu l’ultimo atto del lungo giuspatronato,1496-1920), era rimasta pressocchè abbandonata, dimodochè alla fine del 1915 alla venuta dell’attuale parroco don Enrico Donati in qualità di viceparroco (essendo ormai impotente il parroco don Didimo Bortolotti per la tarda età, era nato il 28 aprile 1829), la chiesa era in uno stato compassionevole: pioveva perfino sulla mensa dell’altare maggiore.
Allora fu che il card. Giorgio Gusmini arcivescovo di Bologna, edotto di ciò si interessò della cosa presso l’amministrazione del suddetto patrono, e ottenne che fosse restaurato il tetto della chiesa e casa canonica (la quale trovavasi nelle identiche condizioni della chiesa), restauro eseguito, come si è detto, nel novembre-dicembre 1915.
Era questo già qualche cosa, ma non bastava. Fu così che nella s. visita pastorale, che la prelodata eminenza tenne la domenica 29 febbraio 1920, egli parlò al popolo della necessità di addivenire a radicale restauro della chiesa, non solo, ma anche ad un ampliamento di essa, reso quasi necessario dall’angustia della chiesa stessa .
L’eminentissimo suggerì in proposito di allungarla anteriormente (cioè dalla parte della facciata); ma si dovette abbandonare questo progetto, sia perchè ne avrebbe sofferto la canonica, la quale sarebbe rimasta in buona parte nascosta, sia perchè la chiesa ne avrebbe sofferto quanto alla proporzione.
Si cominciò perciò a pensare al come provvedere in merito, maturando in tal modo il progetto del prolungamento dalla parte posteriore. Nel contempo don Gaetano Botti, arciprete di San Biagio di Sala, mente aperta ad ogni bellezza dell’arte specialmente sacra (del che ha dato splendida prova nel ripristino della sua chiesa, eseguito appunto in quel tempo),suggerì l’idea di ridurre la nostra chiesa a croce latina, abbattendo le cantorie e portando indietro l’altar maggiore. L’idea piacque e fu riconosciuta di facile esecuzione; nulla vi era di interessante da conservare; potevasi anzi così risanare il sacro edificio da quella parte.
E qui fa duopo venire alla descrizione della chiesa prima dei restauri, perchè si abbia un concetto della necessità dei medesimi.
Cominciando dalla parte superiore, mentre il volto della cappella maggiore, cantorie e coro era in pietrinfoglio (reale), quello del corpo della chiesa era in arella, tutto screpolato e non passibile forse di restauro (era stato costruito nel 1757) a cielo di carrozza, come suol dirsi. A cornu Evangeli si aprivano nel volto del corpo della chiesa due finestre (nella prima e terza campata), a cominciare dal transetto, rettangolari con telai logori a vetri quadrangolari uniti col piombo; e così pure la finestra sulla porta maggiore (costruita nel 1754), che è stata conservata tale e quale nelle dimensioni, mentre il telaio e i vetri erano inservibili. Di fronte alle finestre laterali esistevano identiche finestre a fondo cieco. A cornu Evangeli nella seconda campata a partire dalla facciata era appeso un Crocefisso grande di stucco su croce di legno stile barocco, a contorni dorati, che fu poi ceduto alla chiesa parrocchiale di Rastellino. Di fronte trovasi il pulpito che fu tolto nel corso dei restauri, ed è servito pel nuovo pulpito smontabile. Dov’era questo è stato consevato un piccolo coretto con grata e sportello ad uso delle persone di canonica. A cornu Evangeli erano i seguenti locali: a cominciare dalla porta maggiore: un locale a forma rettangolare, adibito fino al 1922 a deposito per salme (cappella mortuaria), poi a battistero, che prima trovavasi in un loculo a sinistra dell’altare nella cappella attigua dedicata alla Madonna, la cui statua di legno, assai deteriorata, trovavasi in una nicchia, la quale sporgevasi all’esterno del muro di detta cappella, il cui altare era di mattoni e gesso, male in arnese e impregnato di umidità, come del resto la cappella tutta. Di fronte altra cappella dedicata a Nostra Signora del Sacro Cuore, il cui quadro in tela porta i santi Filippo Neri, Antonio di Padova e Gaetano Thiene in atto di supplica alla Vergine, che tiene in braccio il celeste Bambino. Questo dipinto è stato conservato nella parete in corrispondenza a detta cappella, soppressa. Attiguo alla cappella della Madonna a cornu Evangeli e in comunicazione diretta attraverso un’apertura ad arco era un locale rettangolare, con porta esterna che dava sul prato verso la strada, e con altra apertura che immetteva in chiesa vicino alla balaustra: questo locale serviva da coretto per gli uomini e riceveva luce a mezzo di finestra rettangolare a nord. Superiormente era la cantoria per l’orchestra, alla quale si accedeva per una scala di legno. In detto locale lateralmente al coro trovavasi un armadio a muro, inservibile, causa l’umidità. Di qui si accedeva al coro, esso pure rettangolare, e al presbiterio lateralmente all’altar maggiore, nonchè, attraverso il coro, alla sagrestia, che sorgeva di fronte al coretto degli uomini già descritto, con finestra pure corrispondente a quella del coretto per gli uomini.
La sagrestia era divisa dal presbiterio a mezzo di muro avente un’apertura arenata, con gelosia in legno che prospettava nel presbiterio e che aveva la sua corrispondente a cornu Evangeli; questa però senza gelosia. Il soffitto della sagrestia era a travi di legno, mentre quello del coretto per gli uomini era in celato. Nella sagrestia era un armadio a muro pei due baldacchini, lampioni, paliole, ecc., il tutto (eccettuato il baldacchino di minor pregio, di data anteriore imprecisata) procurato dai parrocchiani nel 1875. Detto armadio fu tolto e ricostruito (nelle parti mancanti) in legno nel 1924 e collocato nel corridoio al primo piano della canonica.
Dalla sagrestia si accedeva al campanile, al cui primo piano trovasi l’accesso alla cantoria con organo soprastante la sagrestia, cantoria in corrispondenza a quella sul coretto degli uomini: l’organo inservibile pel tempo e per l’incuria, e non passibile di restauro. Posteriormente all’organo si accedeva ad altro locale ad est, ad uso di ripostiglio, ed esso pure soprastante la sagrestia e ricevente luce da due aperture rerttangolari ad est. Dallo stesso piano del campanile si accedeva al primo piano di canonica a mezzo di apertura, che poi fu tolta. Lateralmente al campanile verso la canonica e adiacente alla chiesa eravi un locale a deposito per armadi, adibito poi a sagrestia, come forse era anticamente.
Il pavimento del corpo della chiesa e di tutti gli altri locali, compreso il presbiterio ed eccettuata la sagrestia, dov’era di mattoni comuni (e così il piano del campanile e quello reso poi a sagrestia) , era alla veneziana, però in condizioni non buone.
Le dimensioni della chiesa erano modeste e insufficienti: prova ne sia che l’attuale balaustra dell’altar maggiore (costruita nel 1772) era fra le colonne, al principio del transetto sotto l’arco maggiore, e l’altare dov’è la balaustra attualmente; il relativo gradino era di macigno e logoro.
Di quanto sopra descritto, cioè delle dimensioni della chiesa e disposizione dei locali vari, si trova sufficiente visione nella pianta prospettiva eseguita dall’ing. Francesco Fantoni parrocchiano.
L’ampliamento e i restauri si imponevano adunque; ma come far fronte alla spesa? Inizialmente, e cioè nel luglio 1920, la cosa pareva facilitata dalla promessa del sussidio di £17000, importo(si disse questa cifra, ma forse è inferiore al vero) dell’indennizzo avuto dai parrocchiani Pietro e ing. Giuseppe Zucchi pel demolito oratorio della B.V. Lauretana.
Ma la promessa fatta esplicitamente al parroco e della quale prese atto e ringraziò pubblicamente il card. arcivescovo nel concludere la s.visita pastorale il 29 febbraio 1920, non venne mantenuta, anzi negata. Però la Divina Provvidenza fu anche in tal bisogna visibile, e si servì dei meno abbienti per l’opera santa; il parroco fece appello ai parrocchiani, i quali colle offerte ordinarie ed anche straordinarie vennero in aiuto.
Si rivolse pure ad enti e persone non parrocchiane, e qui pure si ebbero validi sussidi, smentendo così ancora una volta chi, schiavo dell’egoismo, voleva distogliere dall’intento, accampando la temerietà dell’impresa. Ci fu anzi qualcuno che ebbe l’ardire di impedire l’esito dell’istanza inoltrata al municipio di Persiceto (che aveva pensato alla cifra di £ 5000), informando che il parroco aveva avuto £ 17000 per l’oratorio di Loreto e un sussidio dal vescovado ed un altro ancora, nientemeno dalla Santa Sede!
E così il 29 marzo 1924 i lavori furono intrapresi, ai quali presiedette con intelletto d’amore e spirito di cristiano fervente il giovane architetto prof. Giuseppe Rivani di Bologna. E prima di tutto si abbatterono i vani laterali a cornu Evangelii:battistero, cappella della Beata Vergine e coretto degli uomini, lasciando il muro della chiesa libero da queste aggiunte, che lo deturpavano; e al posto del coretto degli uomini venne innalzata la cappella semicircolare del SS. Cuore di Gesù. Poi si procedette alla demolizione del muro di fondo del coro e dell’altra parte laterale del presbiterio, che fu terminata in un’abside a pianta pure semicircolare, aggiungendo alla chiesa un transetto a sua volta finito nei suoi bracci in due absidi semicircolari. Con tali lavori si poté allungare la navata, portando più indietro l’altare nel nuovo presbiterio, e, abolite le cappelle laterali (che furono ridotte a penitenziere), si crearono due altari a capo del transetto, riuscendo così la chiesa a croce latina.
A sinistra, entrando dalla porta maggiore, nella prima campata verso la facciata, venne costruita una cappelletta, essa pure semicircolare, pel battistero (dov’era prima), mentre furono isolate le due colonne laterali a capo del transetto.
Nel 1926 l’altar maggiore di muratura comune venne sostituito da uno più ricco di marmo di Carrara e marmi colorati di Verona, intonato al tabernacolo pure di marmo, eseguito nel 1788 e già facente parte del vecchio altare, e che venne conservato e adattato nel nuovo, tenuto calcolo del suo artistico disegno di stile barocco. E nello stesso anno il 19 aprile venne solenemente consacrato da mons. Oddo Bernacchia, vescovo di Larino e Termoli, mentre in antecedenza la chiesa era stata decorata e tinteggiata sobriamente con pitture, in relazione all’architettura e con carattere di rinascimento, dal decoratore Agostino Mazzanti di Bologna. Furono pure eseguite le balaustre.
E così, dopo 25 mesi di lavoro, dopo aver rifatto la volta della chiesa (più alta circa 50 cm. dell’antecedente, costruita in arella nel 1757) in pietrinfoglio, con tre chiavi di collegamento (e ciò nel 1925); dopo aver rifatto il pavimento sia del presbiterio e degli altari laterali, nonchè del battistero, in marmo (quello del presbiterio in mattonelle quadrate verdello e rosso di Verona; quello degli altari laterali e del battistero in esagone di marmo di Carrara); sia del corpo della chiesa (sagrestia alzata superiormente di 50 cm.) e corridoio, che immette in canonica, in mattonelle Appiani; dopo molte preoccupazioni e superando contrarietà e critiche da parte ancora di chi avrebbe dovuto prestare l’opera sua, il 22 aprile 1926 il card. Giovanni Battista Nasalli Rocca, arcivescovo di Bologna potè prendere visione di ogni cosa e manifestare la sua approvazione, dando un premio ai parrocchiani coll’insignire il parroco del titolo di arciprete.
Prima di finire queste note illustrative credesi bene esporre quelle che furono le spese e le offerte pei detti restauri (escluse quelle per la consacrazione dell’altare, triduo e s.visita pastorale). Spese, £ 47965.55; offerte straordinarie, £ 26499.65. Il passivo di £ 21465.90 venne coperto dall’avanzo al 31 dicembre 1923 di £ 6949.50; il resto dalle offerte ordinarie dei fedeli, dimodochè se al 31 dicembre 1926 si registrava un disavanzo di £ 9932.48 alla fine del 1927 questo era ridotto a sole £ 4286.22 e al dicembre 1928 questo pure era coperto al completo, anzi con un avanzo di £ 271.43. Sia benedetta la Divina Provvidenza!
Preparato il popolo con un triduo di santi esercizi, tenuti dal can. Luigi Modonesi dei Missionari di S.Luca nei giorni 19 - 20 - 21 aprile con apertura la sera del 18, è venuto in mezzo a noi il nostro amatissimo arcivescovo card. Giovanni Battista Nasalli Rocca per la prima visita pastorale. Ricevuto al crocevia del Cristo dal parroco, da mons. Dionigio Casaroli, arcipretevicario foraneo di San Giovanni in Persiceto, dagli altri parroci del vicariato nonchè da quelli di Bagno, Padulle, Sala; sua eminenza, incedendo sotto il baldacchino al canto del Benedictus è entrato in chiesa, dove, compiute le cerimonie di rito, ha celebrato la S.Messa, tenendo al Vangelo breve discorso e distribuendo la SS.Comunione a numerosi fedeli, fra canti musica ad archi. Più tardi ha amministrato la S. Cresima e quindi ha assistito alla S.Messa in musica, eseguita da un complesso di dodici cantori venuti espressamente da Bologna, i quali hanno pure prestato servizio al mattino e nel pomeriggio. Verso le 15 ha avuto luogo l’esame di catechismo, che è riuscito meschinamente, specialmente perchè i fanciulli, sia per un po’ di timor panico, sia perchè distratti dai festeggiamenti esterni,disertarono in grande numero l’esame. Sua eminenza fu tanto buono da non far caso a ciò e da manifestare medesimamente la sua soddisfazione. In seguito benedisse i vessilli dei due circoli maschile e femminile di Azione cattolica, esortando gli ascritti alla perseveranza e miglioramento spirituale. Infine ebbe luogo la funzione di chiusura della visita pastorale, col compimento delle altre cerimonie e col discorso dell’eminentissimo, il quale approvò con entusiasmo i restauri;si disse lieto di rendere grazie a quanti avevano coadiuvato il parroco, che nominò arciprete in attestato di approvazione e di encomio anche ai parrocchiani. Terminate le sante funzioni il cardinale, applaudito dal popolo festante, lasciò la nostra parrocchia per recarsi in quella di San Giovanni in Persiceto, dove l’aspettavano parimenti per la s. visita pastorale.
Seguirono i festeggiamenti esterni: già il tratto di via dal Cristo alla chiesa era pavesato dal mattino. La banda di San Matteo di Decima allietò delle sue note i parrocchiani e forestieri convenuti numerosissimi, attratti dalla presenza del cardinale, nonchè dalla banda e illuminazione alla veneziana, che incominciava dal Cristo fino oltre la chiesa. Furono spese: nei santi esercizi, £ 166, nella s. visita pastorale, £ 180; nella musica in chiesa, compreso il trasporto in autovettura, £ 585, nell’illuminazione, £ 126 (il parrocchiano Fantoni Giuseppe diede il materiale gratis); nella banda, £650; nella carta da bollo per l’istanza-permesso dei festeggiamenti, £ 5: totale £ 1712; se ne raccolsero £ 1361.
I giornali e specialmente il nostro "L’Avvenire d’Italia" dell’11 maggio 1926 portarono la fausta notizia della nomina del padre Giuseppe Antonio da San Giovanni in Persiceto, ministro generale dei minori cappuccini, ad arcivescovo di Modena e abate di Nonantola. Dalla notizia, per la nostra parrocchia faustissima, essendo la prelodata eccellenza nato il 10 febbraio 1869 nella casa del fondo Chiesa questo di benefizio parrocchiale (Ferdinando Bussolari), dove tuttora trovasi la sua famiglia, il parroco ricevette partecipazione dalla curia generale in Roma in data 10 maggio; alla quale si fece un dovere di rispondere ringraziando.
Nato, come detto, nella nostra parrocchia, fin da fanciullo manifestò segni di vocazione alla vita religiosa, alla quale fu avviato dal cappuccino frate Amedeo, che, addetto alla questua, notò nel giovanotto particolari segni, che non gli sfuggirono.
Entato nell’ordine e ordinato sacerdote, il 16 agosto 1891 celebrò la prima S.Messa nella chiesa di San Giuseppe in Bologna. Manifestando attidutini specialissime all’insegnamento e al governo, fu lettore, guardiano, provinciale; in seguito venne chiamato alla curia generalizia, prima definitore, poi procuratore generale e finalmente ministro generale dell’ordine per sei anni, allo scadere dei quali il Santo Padre lo elevò alla dignità di arcivescovo-abate e metropolita.
Invitati espressamente dall’eletto si recarono a Roma il parroco, i tre fratelli di sua eccellenza (Luigi, Paolo, Lucido), le signorine parrocchiane Amelia ed Ernestina Zucchi, mons. Dionigio Casaroli, arciprete, vicario foraneo di San Giovanni in Persiceto, e qualche altro. E nella domenica di Pentecoste 23 maggio nella chiesa della casa generalizia ebbe luogo la consacrazione dell’eletto per le mani del protettore dell’ordine sua eminenza Gennaro Granito di Belmonte, presenti numerosissimi amici , estimatori, conoscenti del presule, gloria e decoro dell’inclito ordine dei cappuccini, gloria e vanto della nostra parrocchia, verso la quale mons. Giuseppe Antonio Ferdinando Bussolari ha nutrito sempre grato ricordo, di cui diede prova col venire spesso in mezzo a noi, e tenendosi in corrispondenza col parroco che lo vide nascere don Didimo Bortolotti, il quale lo amò, riamato; ed anche coll’attuale; infine con generose offerte alla nostra chiesa, e precisamente £ 2000, il 10 giugno 1922; £ 3000, il 17 settembre 1923; £ 3000, il 12 giugno 1925.
Il 29 giugno 1926 mons. Giuseppe Antonio Ferdinando Bussolari fece solenne ingresso nel duomo di Modena, dov’era venuto la sera prima, accolto con giubilo da tutto il popolo festante, con a capo le autorità civili e militari. Alla solenne cerimonia fu presente anche il parroco nostro, unitamente ad una rappresentanza di parrocchiani (una quarantina), che poterono ossequiare il presule e riceverne la pastorale benedizione.
Il 4 giugno 1926, festa del Corpus Domini, moriva piamente il parrocchiano, conduttore del fondo della Chiesa di questo benefizio parrocchiale Lucido Bussolari. Si era egli recato a Roma per la consacrazione episcopale del fratello, ed era già febbricitante prima di partire (lo disse sul letto di morte); ma andò pel gran desiderio di assistere alla santa cerimonia; e questo strapazzo gli fu fatale: a Roma l’indisposizione si accentuò, e lo costrinse ad affrettare il ritorno con altissima temperatura. A nulla valsero le cure: la robusta sua fibra dovette cedere alla broncopolmonite bilaterale, fra lo strazio della moglie, dei teneri figli, dei fratelli e parenti. Di fede sinceramente vissuta, egli continuò col fratello germano di sua eccellenza (il padre Romano aveva avuto due mogli), Luigi, la tradizione di servire la chiesa natale e il parroco, da cui dipendeva da più che cento anni la sua famiglia, conduttrice del fondo Chiesa. Il fratello da Roma, impossibilitato, gli aveva mandato la pastorale benedizione, che lo consolò grandemente sul letto di morte.
Il 25 luglio 1926 fu in mezzo a noi per la prima volta dopo la sua consacrazione mons. Giuseppe Antonio Ferdinando Bussolari, arcivescovo di Modena e abate di Nonantola, per la festa del titolare. I festeggiamenti, specialmente pel recente lutto di sua eccellenza ed anche per suo espresso desiderio, furono modesti, limitandosi alle funzioni religiose: riuscirono tuttavia assai bene, perchè il popolo partecipò numerosissimo ai SS.Sacramenti, unanime alle ss. funzioni, e manifestò a sua eccellenza la gioia e il legittimo orgoglio di saperlo oriundo di questa parrocchia.
Sua eccellenza pure addimostrò la sua gioia nel trovarsi nella sua terra natale, e gradì l’omaggio del parroco e parrocchiani, i quali come all’arrivo l’accolsero con entusiasmo, così alla sua partenza vollero unanimi ridire il loro affetto e desiderio che sua eccellenza avesse a ritornare presto e spesso.
Alla messa di sua eccellenza colla Comunione generale e a quella in canto prestò servizio la corale "Giuseppe Verdi" di San Giovanni in Persiceto. Le spese furono: £ 500 a sua eccellenza quale elemosina per la S.Messa; £ 350 alla corale, £135 per altre spese. Furono offerte £ 605.
Il 12 settembre 1926 Giuseppe Antonio Ferdinando Bussolari prendeva solenne possesso della diocesi di Nonantola, facendo ingresso in quella vetusta e famosa abbazia, dove rimaneva nei giorni 13 e 14 e celebrando in quest’ultimo giorno, sacro all’esaltazione di S.Croce, il solenne pontificale, possedendo quell’abbazia una reliquia insigne del santo legno. Anche in tale occasione fu invitato il parroco, il quale intervenne con una cinquantina di parrocchiani, partecipando anche alla solenne processione.