La mattina di lunedì 20 febbraio 1939 si è tenuta nella nostra chiesa parrocchiale per ordine del card. arcivescovo una funzione di suffragio per l’anima di Sua Santità Pio XI, morto la mattina del 10 c.m., alla vigilia del decennale della conclusione dei patti lateranensi, in mezzo al generale compianto. Noi l’abbiamo ricordato, applicando la S. Messa, dando l’assoluzione dopo le esequie. Molti parrocchiani si sono accostati alla S. Mensa.
Dal giovedì al venerdì santo, 6-7 aprile 1939, si è vegliato davanti a Gesù sacramentato da numerosi parrocchiani, i quali si sono dato il cambio nella notte, come negli anni scorsi a cominciare dal 1933, in cui si è dato principio a questa bellissima pratica in occasione del XIX° centenario della Redenzione. In quest’anno forse più numerosi i parrocchiani hanno partecipato al santo anniversario; i giovani dell’Azione cattolica a due a due in cotta hanno prestato adorazione dalle 23 alle 6 del venerdì santo, dando bell’esempio di cristiana pietà.
Da tre anni, cioè dal 1936, si tengono nella nostra parrocchia la Giornata della madre e la Settimana parrocchiale, quella per le donne, per gli uomini questa. Nel 1939 il tema per la Settimana parrocchiale è stato vita più vita, cioè vita materiale e vita spirituale: vivere la cresima. E’ stata tenuta nei giorni 30 - 31 marzo, 1 aprile, con chiusura la domenica 2 aprile. Alla sera dopo l’Ave Maria un giovane dell’Azione cattolica ha parlato agli uomini raccolti sul piazzale della chiesa sui vari argomenti, mentre il venerdì 31 marzo si è fatta la Via Crucis, predicata sempre da giovani secolari, con itinerario dalla chiesa per via Biancolina vecchia - Cristo e ritorno pel palazzo Ca’ Rossa, chiudendosi colla benedizione del Santissimo. La Settimana della madre ha avuto luogo dal 30 gennaio al 2 febbraio di ogni anno, tenuta dal parroco. L’ordine della funzione è stato sempre identico: S. Messa, breve discorso, preghiera alla B. Vergine, benedizione col Santissimo. Il tema per quest’anno è stato incontro al domani. L’esito di queste manifestazioni, che vanno conservate e possibilmente sviluppate, è stato consolante. Va rilevato il bisogno di far riflettere, specialmente ai genitori, ma anche ai giovani, ai doveri del loro stato, che purtroppo da molti sono dimenticati.
Dagli ultimi di aprile fino a tutto maggio 1939 ha piovuto quasi ogni giorno. La domenica poi 28 maggio alle 17 si scatenò un forte uragano con tempesta, che però presso di noi ha causato lievi danni. La pioggia ha continuato durante la notte, tutto il lunedì e martedì, in cui il Samoggia è stato in grave pericolo: l’acqua ha raggiunto quasi la sommità degli argini e sopravvanzato il letto del ponte di Loreto di circa cm. 40. Per scongiurare il grave pericolo si è celebrata una funzione la mattina dello stesso giorno martedì 30 maggio alle 9.15 all’altare della Madonna di Loreto, cui dobbiamo ancora una volta rendere grazie per lo scampato pericolo.
Come detto addietro in questa cronistoria, alla fine del 1937 venne incominciato lo svasamento del Samoggia alla confluenza col Reno, sospeso poi nel gennaio 1938 per mancanza, si disse, di mezzi. Contemporaneamente a quel primo lavoro venne eseguita la massicciata alla base dei due argini a cominciare da circa un chilometro dal ponte dei Forcelli (inaugurato il 28 ottobre 1928) fino alla rotta, essendo stati corrosi (gli argini) dalla veemenza della corrente, sì da rendere urgente tal lavoro, dispendioso assai, essendo stati trasportati i sassi per la bisogna da Monselice a mezzo della ferrovia a San Giorgio di Piano, e di là con autotrasporti e biroccie sul posto. I lavori furono poi ripresi nel tardo autunno 1938. Per ovviare ai gravi pericoli derivanti dall’elevamento del letto del fiume causato dal diuturno sedimento di sabbia ed altri materiali portati dalla corrente, venne dal genio civile deliberato l’innalzamento degli argini e perciò anche del ponte, che era rimasto al disotto di essi di circa un metro a causa degli innalzamenti eseguiti dal 1886, anno in cui fu costruito il ponte stesso. Il lavoro venne incominciato, come si è detto, anche per l’innalzamento dell’argine da parte nostra, nel tardo autunno 1938, e proseguito, secondochè lo permetteva la stagione.
Per quanto riguarda il ponte e le relative rampe, la soluzione migliore sarebbe stata quella di trasportarlo rettilineamente alla via Biancolina e precisamente dove sorgeva l’oratorio di Loreto. Questo era il progetto di quando venne costruito il ponte: allora si fu in pericolo per questo di vedere demolito l’oratorio in discorso.
Ora che non esisteva più l’impedimento, era lecito pensare al raddrizzamento della strada. Ma per una malintesa economia l’idea è stata abbandonata: il ponte è stato innalzato di m. 2.50, mentre gli argini lo furono di m. 1. Per questo lavoro fu necessario interrompere il transito, per cui dal 19 maggio 1939 i veicoli dovettero transitare pel ponte dei Forcelli o deviare per Cento e Pieve, restando libero il passaggio ai soli pedoni, passaggio però assai malagevole. Si disse allora che l’interruzione sarebbe stata di breve durata, non più di due mesi; invece solo nella seconda metà di luglio 1940 fu tolta la tabella annunziante l’interruzione del transito: dall’ottobre al marzo si dovette passare sopra la ghiaia spezzata (breccia), messa lì alla rinfusa per uno strato di circa 50 cm., e prima ancora di questa ghiaia la fanghiglia, con incomodo grave dei pedoni, mentre era resa quasi impraticabile ai veicoli. Non parliamo poi del nuovo tracciato della via Samoggia, che era del tutto impraticabile. Per dare un’idea dell’imprevidenza (per non dire incoscienza) dei soprintendenti ai lavori, basti dire che in un primo tempo venne apprestato nelle due rampe un fondo sì instabile, che il compressore (pesante 80 quintali) affondava e faceva fuoriuscire il terreno attraverso la ghiaia. Fu perciò necessario estrarre la ghiaia (interrompendo ancora il transito, che era stato ripreso, per circa due mesi), e fare una massicciata di sassi e su questi rimettere la ghiaia, che venne poi pressata dagli ultimi di giugno al luglio 1940, in cui si potè finalmente liberamente transitare.
Ma il lavoro è riuscito infelicemente, a detta dei competenti, e ciò specie per la tortuosità delle rampe, che riusciranno molto scomode ai carichi, specialmente ai birocciai, che dovranno chiedere aiuto il più delle volte, o trasbordare, e ciò perchè si è voluto fare una male intesa economia, mentre assistiamo ad esecuzione di lavori in Italia o non necessari, o condotti con criteri di grandiosità e dispendio superiori certo alla loro importanza. Senza dire che mentre le rampe anteriori erano larghe metri 8, e perciò permettevano l’incontro di qualsiasi carico, le attuali sono di soli m. 6; e perciò non si sa come andrà a finire in qualche incontro difficile, che potrà darsi trattandosi di via molto frequentata.
Fu eseguito contemporaneamente l’escavo del torrente dal ponte di Forcelli fino al Reno; e il terreno estratto è servito per l’innalzamento e irrobustimento degli argini, nonchè per le due rampe, per le quali si usò pure di quello ricavato dai nuovi maceri scavati nei quattro fondi della parte più colpita dall’innondazione del 1937: San Cristoforo, Sant’Alò (Motta), Crocefisso, parte Crocefisso (presso la chiesa parrocchiale, formanti un triangolo avente per lati il Samoggia, via Biancolina e Biancolina vecchia. I vecchi maceri dei primi tre fondi nominati (mentre nell’ultimo fondo nominato non esisteva macero) rimasero talmente ostruiti dalla sabbia, ghiaia ed anche sassi e macigni nella suddetta innondazione, che si dovette abbandonare l’idea di servirsene ancora; anzi è da aggiungere che nè subito dopo il disastro, nè in seguito sarebbe stato possibile, a chi non li avesse visti in antecedenza, individuarli!
Per tutti i suddetti lavori le ditte appaltatrici (prima la ditta Benassi di San Pietro in Casale, poi la Ulisse Toschi di Bologna) si servirono di tre macchine a vapore e binari decauville coi relativi vagoncini. Detto materiale rimase sul posto fino al luglio 1940. A sede degli uffici e deposito delle macchine e materiale necessario ai lavori vennero costruiti in cotto nell’autunno 1937 due fabbricati al di qua del ponte a sinistra, ed un altro, per gli uffici, più piccolo oltre il ponte, a destra: questo è rimasto e rimarrà, dicono, allo stesso fine; mentre gli altri due furono demoliti nel 1941. Un altro piccolo fabbricato per gli uffici della ditta Benassi fu costruito subito dopo la rotta sulla rampa dell’argine di fronte alla via Biancolina vecchia al passo delle Salde in comune di Sala, e venne demolito nel 1939.
Questi lavori, non certo perfettamente eseguiti (dato anche lo svasamento molto relativo ed ineguale) danno a sperare che mai più abbia a verificarsi un sinistro così grave, quale quello del 30 agosto 1937.
Dal 2 maggio al 15 luglio 1939 vennero eseguiti alla casa per inquilini di proprietà della nostra chiesa parrocchiale radicali restauri, resi necessari dall’incuria. Il parroco pensò prima di tutto di dividere l’appartamento maggiore e di formarne due, anche per realizzare un reddito maggiore. Fu praticata quindi la riapertura della porta nella parte più antica, risultando così un primo appartamento, composto di cucina, piccola cantina, colla scala, e, a retro della scala, porcile e pollaio; al primo piano camera grande corrispondente alla cucina, ed altra più piccola in corrispondenza della cantina. L’appartamento medio venne ricavato dividendo in due l’ambiente che prima dei restauri serviva da entrata, destinando il primo ambiente ad entrata e cucina, l’altro a sinistra a secchiaio, cantina e legnaia. In quest’ultimo ambiente venne aperto un usciolo, per cui si accede al gabinetto e al piccolo pollaio addossato al muro della casa a sinistra, costruito durante i restauri. In corrispondenza dei detti due ambienti è rimasta l’ampia camera, cui si accede a mezzo di scala nuova di legno. L’ultimo appartamento è risultato di cucina, cantina (cui si accede dall’esterno), dalla quale si passa alla legnaia. Nella cantina è stato costruito un piccolo pollaio. Dalla cucina a mezzo di scala di legno (nascosta, come anche nell’appartamento medio) si accede al primo piano, composto di due camere, corrispondenti rispettivamente alla cucina e alla cantina. La legnaia di quest’ultimo appartamento è stata divisa orizzontalmente all’altezza del primo piano, risultandone così altro ambiente, destinato esso pure a legnaia, per l’inquilino del primo appartamento (cioè di quello a destra), con accesso dall’esterno a mezzo di rampanti in ferro. Venne demolita la parte di fabbricato quasi labente, formante angolo retto colla casa e che nascondeva parte dell’ultimo appartamento a sinistra.
La casa è riuscita, così, decorosa, quantunque di proporzioni modeste, e, stuccata a cemento, è risultata irrobustita, mentre dianzi si presentava malconnessa.
La spesa incontrata dall’amministrazione parrocchiale, detratto il ricavato dalla vendita di materiale ricavato dalla demolizione, è stata £. 5623.10, compresa la spesa per la lapide che, a ricordare la generosità del massimo benefattore, venne murata sul fronte della casa: Proprietà della chiesa parrocchiale/di San Giacomo di Lorenzatico/per la generosità/ di S.S. Benedetto XV/ già Arcivescovo di Bologna/(Giacomo della Chiesa).
Nel pomeriggio di lunedì 11 dicembre 1939 giunse al parroco un telegramma da Modena, così concepito: "Prego avvertire parenti condizioni salute improvvisamente aggravate. Biagi vicario generale Modena". Il parroco era assente per la pretina a suffragio di un carissimo amico (don Adelmo Scagliarini arciprete di Santa Maria in Strada). Fortunatamente il nipote di mons. Giuseppe Antonio Ferdinando Bussolari, arcivescovo di Modena e abate di Nonantola, (si trattava evidentemente di lui), intuendo qualcosa di grave, aveva aperto il telegramma ed era immantinenti partito. Il parroco invece, anche per la pessima stagione, e specialmente perchè nessuno poteva pensare a caso sì grave, partì solo la mattina seguente, unitamente alla cognata di sua eccellenza Maria Fabbri ved. Bussolari. Giunti a Modena, il suono lugubre delle campane della Ghirlandina fu segno non dubbio del ferale avvenimento: alle 2.30 di martedì 12 dicembre 1939 mons. Giuseppe Antonio Ferdinando Bussolari aveva esalato santamente l’anima benedetta, dopo aver dato esempio indimenticabile di invidiabile serenità di fronte alla morte, imitando così ancora una volta il padre San Francesco, di cui aveva ricopiata in sè fedelmente l’immagine.
La dipartita quasi improvvisa di sua eccellenza, nonchè i meriti preclari, la sua carità, serenità, spirito francescano, lo zelo e operosità indefessi, le grandi opere compiute ed altre iniziate, i magnifici restauri all’episcopio e specialmente la splendida cappella in esso eretta, tutto concorse a commuovere intensamente la sua città e le archidiocesi di Modena e Nonantola, che l’avevano avuto dal giugno 1926 vescovo zelantissimo.
Il parroco gli aveva fatto visita il lunedì 27 novembre, anche per invitarlo alla nostra festa del voto: lo trovò di ottimo aspetto e disse di sentirsi bene. Era nel suo studio, intento (erano le 8.30) a compulsare un libro, da cui prendeva appunti. Umilissimo com’era si alzò al vedere il povero parroco della terra natale, al quale domandò per prima cosa notizie della parrocchia e de’ suoi famigliari. Poi lo invitò a visitare i restauri all’episcopio e la cappella. "Ho speso molto - disse - ho ancora qualche debito: spero di rimediarvi presto; poi penserò anche al nostro campanile, non abbia fretta, è necessario fare un bel campanile, perchè le cose di Dio bisogna farle bene; e poi le campane lo meritano. Mi ricorderò - disse ancora - e spero che lei sarà contento". Il parroco ringraziò, come dovere, del proposito graditissimo. Chi poteva pensare che quella sarebbe stata l’ultima visita; e che quella promessa non avrebbe potuto avere seguito? Ma dal cielo egli pregherà anche per questo.
I funerali ebbero luogo il giovedì 14 dicembre e riuscirono solennissimi per partecipazione unanime delle autorità anche civili e militari, e specialmente per l’intensa commozione che era di tutti, clero e popolo, e che si leggeva su tutti i volti e la si sentiva esprimere colle parole di compianto del popolino e di quanti, numerosissimi, facevano ala al passaggio del feretro.
In duomo pontificò mons. arcivescovo principe di Reggio Emilia. Tenne discorso funebre mon . Carlo De Ferrari, vescovo di Carpi, e venne eseguita la Messa a 3 voci di Perosi; e così pure la musica alle cinque, assoluzioni di rito, dopo le quali ebbe luogo il trasporto al cimitero di San Cataldo per la tumulazione provvisoria, in attesa della definitiva in duomo. Seguirono la salma le dignità capitolari, qualche vescovo, il parroco nostro, i parenti e qualche altro. Ai funerali presero parte, col parroco, i due fratelli di sua eccellenza, Luigi e Paolo, la cognata Maria col figlio Donato (che assistette sua eccellenza fino al trapasso), un altro nipote figlio della sorella Angelica (rimasta forzatamente a casa), nonchè altri 15 di Lorenzatico. Intervenne pure il podestà di San Giovanni in Persiceto col gonfalone, unitamente ad alcuni addetti agli uffici comunali.
Il venerdì 22 dicembre i padri cappuccini di Bologna vollero ricordare il loro antico guardiano e provinciale con un solenne rito funebre, celebrato da mons. Gherardo Menegazzi, già vescovo di Comacchio, dei minori cappuccini, che fu intimo dell’estinto e lo assistette negli ultimi giorni fino alla morte, trovandosi presso di lui, come spesso faceva. Tenne l’elogio funebre, bellissimo, il cappuccino padre Samoggia; venne eseguita dagli studenti del convento musica scelta. Vi prese parte il parroco, il nipote Donato Bussolari e la madre del medesimo.
La nostra parrocchia non poteva nè doveva non ricordare il suo grande figlio e il giovedì 4 gennaio 1940, durante i santi esercizi al popolo, fu curato un solenne funerale con 9 Messe. Furono molti gli impediti a causa della pessima stagione. La chiesa venne parata a lutto; fu cantata la Messa in gregoriano con accompagnamento d’organo. I parrocchiani intervennero assai numerosi e numerosissime furono le SS. Comunioni. Alla Messa solenne ufficiò il parroco, mentre il padre Costante da Granaglione, minore cappuccino, sacro oratore degli esercizi, tenne l’elogio funebre, in cui ricordò egregiamente le virtù eccelse e i grandi meriti del grande scomparso, del quale durante la sacra cerimonia venne distribuito un ricordo con ritratto ed epigrafe, dettata dal nostro parroco: In memoria eterna/Sua Eccellenza Mons. Giuseppe Antonio Bussolari/Arciv. di Modena/Abate di Nonantola/Di umili natali/con volontà indomita/divenne grande/chiamato da Dio/illustrò l’Ordine dei Cappuccini/che lo vide/maestro di scienze divine e umane/Visitatore Apostolico/Procuratore Generale/Ministro Generale/Di umiltà profonda/pietà sentita/vita santa/incontrò sereno la morte/La parrocchia di S. Giacomo di Lorenzatico/con santo orgoglio al grande Figlio/oggi 4 gennaio 1940/innalza a Dio solenni suffragi/con animo riconoscente/fiduciosa di averlo protettore dal Cielo/Lorenzatico 10 febbraio 1869/Modena 12 dic. 1939.
Le spese vennero coperte da varie offerte e pel resto provvide l’amministrazione parrocchiale, doveroso omaggio a chi dal 1922 al 1925, allorchè ministro generale, offerse pei restauri della chiesa nostra e sua £. 8000; e si apprestava ad offrire pel nuovo campanile. La riconoscenza era dovuta anche perchè spesse volte sua eccellenza era venuto in mezzo a noi per condecorare sante funzioni (oltrechè privatamente), e sempre gentilmente, specialmente per la consacrazione della chiesa, pel III° centenario Lauretano e per la consacrazione delle nuove campane. E resta pure ricordo della sua generosità il bel messale finemente rilegato, edito da lui stesso durante il generalato. La sua memoria sarà in benedizione presso di noi, oggetto di giusto e santo orgoglio.
Cuius memoria in benedictione est.
Anche la parrocchia di San Giovanni in Persiceto ha voluto ricordare mons. Bussolari, e il 22 gennaio 1940 ha curato in quella collegiata un solenne ufficio, al quale ha preso parte anche il parroco nostro unitamente a famigliari dello scomparso, nonchè diversi parrocchiani. Vi è intervenuto pure il podestà col gonfalone del comune e tutte le autorità civili e militari. Ha ufficiato mons. arciprete, presenti i parroci tutti del vicariato, le scuole elementari e medie del capoluogo e inoltre quattro padri cappuccini del convento di Bologna, oltre al padre Donato da San Giovanni in Persiceto, cappuccino egli pure, che tenne il discorso, distribuito poi ai presenti alla fine della cerimonia.
Il 15 gennaio 1940 ebbe luogo nel duomo di Modena solenne ufficio di trigesima per l’anima di mons. Bussolari. Vi intervennero il parroco nostro con alcuni parenti dello scomparso. Pontificò il principe vescovo di Reggio Emilia e tenne l’elogio funebre mons. Vianello, vescovo di Fidenza, che applicò bellamente al compianto arcivescovo le parole che la Chiesa legge nella Messa di San Francesco d’Assisi: "pauper et humilis, dives Coelum ingreditur". La dimostrazione di cristiano, memore suffragio riuscì commovente e solennissima.
La mattina del 26 aprile 1940 nello stesso duomo ha avuto luogo la tumulazione della venerata salma del compianto arcivescovo. Sarebbe stato vivo desiderio del parroco nostro essere presente, ma impegno indeclinabile ne lo ha impedito. Vi assistette il nipote Donato Bussolari. La benedetta salma è stata tumulata nella cripta.
Perchè in mezzo a noi abbiano a rimanare perenni le sembianze di mons. Giuseppe Antonio Ferdinando Bussolari, il parroco ha acquistato il 2 luglio 1940 un ritratto ad olio del grande scomparso, ritratto riuscitissimo, eseguito dal pittore Angelo Persico di San Remo, marito di Anna Bussolari di Paolo, fratello di sua eccellenza. Il dipinto era stato già offerto alla Partecipanza di San Giovanni in Persiceto per £. 1000 (prezzo inferiore al reale), la quale l’aveva già acquistato. Essa però l’ha cambiato con altro dello stesso autore, di minori dimensioni, e questo perchè più confacente all’altro di mons. Federico Bencivenni, vescovo di Bertinoro, cappuccino e partecipante egli pure. Il quadro nostro è di maggior valore, a detta dell’autore, e l’ha ceduto alla nostra chiesa per sole £. 500, intendendo fare omaggio alla parrocchia natale della sposa e a’ suoi parenti, nonchè al parroco. La spesa è stata sostenuta dall’amministrazione parrocchiale, restando così il ritratto di proprietà della chiesa. E’ stato collocato nell’entrata della canonica, in attesa di posto migliore.