30 maggio 1949 - Prima che comincino ad avvicendarsi sulla pedana coloro che sono stati chiamati a dimostrare la falsità delle accuse lanciate contro il sen. D'Onofrio, il querelante deve ascoltare ancora la voce, non certo gradita, del ten. Giuseppe Cangiano della Divisione Torino, il quale non fece in tempo a deporre nella udienza precedente.
L’ultimo teste addotto dalla difesa ha raccontato che nel campo di Kiev, dove aveva conosciuto il cap. Magnani proveniente da Elabuga, fu invitato a sottoscrivere una dichiarazione nella quale si diceva pressappoco: «Il capitano Magnani e il tenente Giuseppe Ioli sono colpevoli dei massacri contro le popolazioni civili russe; sono colpevoli dell’incendio delle chiese russe; sono fascisti irriducibili. Essi perciò dovranno essere eliminati perché diversamente continueranno la loro opera nefasta». La dichiarazione, nella quale si aggiungeva che la morte dei prigionieri italiani nei campi di concentramento era avvenuta per malattie da essi contratte prima della cattura, era redatta in lingua italiana e recava, in calce, due firme...
D'Onofrio: — Lo dica pure... Una delle firme era la mia...
Cangiano: — Infatti, stavo per dirlo. Delle due firme l’una era di un certo cap. Gullino e l'altra era quella del D'Onofrio.
La dichiarazione era assolutamente falsa ed io naturalmente mi rifiutai di firmarla anche perché in essa si diceva che io avevo la certezza delle accuse ed ero a conoscenza degli episodi citati.
Fui rinchiuso in carcere per due mesi e, scontata la pena, nuovamente chiamato e nuovamente invitato a sottoscrivere la dichiarazione. Era il 26 dicembre del 1946. Al mio rifiuto, un soldato russo mi legò ad una sedia. Poi insieme ad un capitano sovietico cominciò, per ordine di quello, a picchiarmi a schiaffi, a calci, a pugni. Il capitano usava una riga di ferro. Ad un certo punto l'ufficiale mi disse: «Ma insomma perché lei si ostina a fare il martire? I veri italiani, non hanno esitato a firmare». Mi rifiutai ancora e loro ricominciarono a percuotermi finché non svenni.
D'Onofrio: — È falso. Tutto falso. Non ho mai fatto dichiarazioni del genere. Ho conosciuto il cap. Gullino nel campo di Skit, ma non ho parlato con lui di crimini di guerra. Per principio aborrisco la guerra e non avrei un attimo di esitazione nel denunciare chiunque di tali crimini si fosse macchiato. Ma non ho mai saputo che il cap. Magnani o il ten. Ioli abbiano commesso azioni del genere. Del resto io al fronte russo non ci sono mai stato.
Avv. Mastino Del Rio: — Se al D'Onofrio fossero stati noti crimini di guerra commessi da militari russi, li avrebbe, egli, denunciati?
D'Onofrio: — Pubblicamente. Ma non mi è mai risultato che soldati russi abbiano commesso crimini di guerra.
Prima che sia introdotto il primo teste della parte civile, l’avvocato Taddei ha fatto sapere al Collegio che la federazione comunista di Parma, prima che avesse inizio il processo, fece delle indagini presso i suoi organizzati allo scopo di sapere tutto quello che era possibile sul conto del signor Luigi Avalli, uno degli imputati: le sue idee politiche, quale fu il suo comportamento prima dell’8 settembre 1943 e dopo tale data e dopo il suo rientro dalla prigionia. Evidentemente la difesa ha voluto rendere la pariglia a quanto aveva detto in precedenza la parte civile a proposito di una circolare che l'Unione Reduci dalla Russia inviò a tutti i commilitoni per sollecitare testimonianze da servire nell'attuale processo. Ed è cominciata la serie dei testimoni addotti dal querelante.
Il primo è un ufficiale d'artiglieria Alessandro D’Alessandro che fu nei campi di Tamboff e Susdal.
D'Alessandro: — Avevamo una certa libertà e, se è vero che durante i primi tempi della prigionia il morale era molto depresso e le cose andavano piuttosto male, è pur vero che a poco a poco notammo un certo generale miglioramento della situazione. Nel campo potevamo servirci di una biblioteca discretamente fornita di libri di letteratura e di politica...
«Per compensare la mancanza del cibo necessario per vivere» s’è inteso gridare da qualcuno del pubblico.
D'Alessandro: — Cominciai a farmi una cultura politica e mi convertii all'antifascismo e osservai come il commissario politico del campo si prodigasse per migliorare sempre più le condizioni dei prigionieri.
Presidente: — Conobbe, lei, il D'Onofrio durante la sua permanenza al campo di Susdal?
D'Alessandro: — No. Durante la mia permanenza in terra di Russia non vidi mai Edoardo D'Onofrio. Ho conosciuto il senatore soltanto al mio ritorno in Italia.
Avv.. Mastino Del Rio: — Quanti morti vi furono a Valuiki?
D’Alessandro: — Nella mia baracca perirono 15 uomini su 60 occupanti.
Avv. Mastino del Rio: — E a Tamboff?
D’Alessandro: — A Tamboff le condizioni divennero più critiche e la percentuale dei morti crebbe (e ciò ad onta delle biblioteche!)
Il teste cade in contraddizioni evidenti, dimenticando che poco prima ha parlato di progressivo «generale miglioramento della situazione nei campi».
Avv. Taddei: — Il teste, per caso, è iscritto al partito comunista italiano?
Avv. Paone: — Abbiamo chiesto, noi, ai vostri testi se erano iscritti al movimento sociale italiano?
Il Presidente taglia corto dichiarando non valida la domanda e il teste viene congedato.
È la volta di un caporale di fanteria, Luigi Leggeri, il quale teste fu inviato in quella scuola per premio: aveva esaltato la vittoria delle armi russe.
Ricorda soltanto i nomi di Fiammenghi e di Vella, come insegnanti; nella scuola si studiava il movimento operaio e l'insegnamento era improntato a criteri antifascisti. Alla fine del corso il teste e tutti gli altri che erano in quel campo-scuola, furono fatti rientrare in Italia.
Avv. Taddei: — È vero che alla fine del corso si doveva prestare un giuramento?
Leggeri: — Sì. Ma era un giuramento di fedeltà al popolo italiano e non era obbligatorio.
Il teste a discarico Sergio Fiaschi, appositamente richiamato, riferisce la formula di tale giuramento: «Nel nome del popolo, giuro di non desistere dalla lotta intrapresa per il trionfo del proletariato e i miei compagni mi sopprimano nel sangue se verrò meno a tale giuramento». Il Fiaschi ha aggiunto, però, che l'ultima parte della formula fu abolita, perché alcuni frequentatori della scuola stessa vi si opposero.
Elio Pietrocola, ex sergente automobilista, chiamato a deporre successivamente, ha affermato che i discorsi tenuti dal D'Onofrio non erano affatto improntati a sentimenti antinazionali, ma auspicavano che il nostro Paese divenisse una nazione libera e indipendente. Il teste notò che le conferenze del D'Onofrio erano di tanto grande interesse, da «essere desiderate». Nel campo non mancava una «certa» libertà di critica.
Le dichiarazioni del teste Pietrocola, sottolineate dai lunghi mormorii dei reduci che si trovano nello spazio riservato al pubblico, concludono la seduta.